Informazioni su Giancarlo Frigieri

uno che suona la chitarra e canta

Carmen Consoli, David Byrne, Bob Dylan, Dave Van Ronk.

Quando Bob Dylan scrisse “Blowin in the wind” e iniziò a suonarla al Cafè Wha? nel Greenwich Village di New York, ci furono un paio di cantanti appartenenti a quella scena folk che si stava facendo strada che iniziarono a parodiarla istantaneamente prendendo in giro quel giovane cantautore puzzolente e sfrontato del Minnesota.

Cantavano tra loro “The answer, my friend, is blowin’ up you end” per prendersi gioco di lui.

Dave Van Ronk, eccellente folksinger anche lui facente parte della piccola comunità, drizzò le antenne e si mise a pensare. Pensò che se Dylan aveva cantato la canzone solo una volta e già girava la parodia tra i suoi “colleghi”, probabilmente questo voleva dire che la canzone era maledettamente buona e che sarebbe rimasta lì a lungo. Pensò che Dylan non aveva una gran voce, suonava la chitarra in maniera poco precisa, l’armonica non ne parliamo. Però aveva uno stile, lo sentivi subito che era lui e ti rimaneva impresso nella memoria talmente tanto che bastava un ascolto.

Carmen Consoli è stata invitata al Meltdown Festival a suonare, unica italiana. Il festival è curato da David Byrne, ex cantante dei Talking Heads. Qualcuno dice “Brava”, qualcuno dice che David Byrne si è rincoglionito, qualcuno dice che la Consoli fa schifo.

La Consoli ha uno stile. Canta in un modo che lo senti subito che è lei. Può anche farti schifo, ma capisci subito che non è nessun altro. Quei singhiozzini lì si fanno prendere in giro con enorme facilità, se uno vuole fare una imitazione della Consoli per ridere ci mette due secondi. Segno ulteriore che la signora ha uno stile. Il suo.

Non so chi sia Dylan e chi sia Van Ronk, in questa storia. Credo però che tutti quelli che stanno dicendo su alla Consoli e a Byrne siano come quei due cantautorini che cantavano “Is blowin’ up your end” al Café Wha?.

Due tizi dei quali non è rimasta alcuna traccia. Nessuno sa chi sono, perché effettivamente non sono nessuno.

INDIPENDENTE? BASTA.

Dichiaro ufficialmente che da oggi in avanti non utilizzerò mai più il termine “INDIPENDENTE” a sproposito in ambito musicale.

Una parola, quando tolta da un contesto e infilata a forza in un altro, produce una distorsione del linguaggio e crea solo confusione.

Le parole esistono già. Si può dire “piccolo” in maniera generica, ma anche “autoprodotto”, “autodistribuito” e ci sono miriadi di termini che ci possono rendere la vita facile senza bisogno di svuotare di significato una parola così nobile.

In particolare, qualora uno non riesca a provvedere al proprio sostentamento con la musica , la parola “DILETTANTE” è perfettamente calzante. Se suona male non è colpa dei dilettanti e nemmeno dei professionisti, ma solo di chi rifiuta la realtà.

Chiedo a tutti coloro che leggono questa dichiarazione pubblica di ammonirmi qualora in futuro io dovessi malauguratamente, per abitudine o per distrazione, riutilizzare la parola che non voglio più usare a sproposito.

24 Luglio 1908

“Quando passo Hefferon egli mi guarda a lungo con un’occhiata tanto triste e poi si sdraia a terra. Sono primo. Potrei rallentare, ma invece sono preso da una furia di andare più in fretta. Mi sono dominato sicché avevo dinanzi a me qualcun altro: ora che la via è libera davanti a me non so più frenarmi. Passiamo fra due ali di pubblico che non vedo, ma odo. Guardo sempre in fronte per cercare qualche cosa che non vedo ancora perché la strada fa molti giri. Ad un tratto, ad uno svolto, do un balzo. Vedo là in fondo una massa grigia, che pare un bastimento col ponte imbandierato. È lo stadio. E poi non ricordo più.”

(Dorando Pietri)

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Jovanotti, gratis, l’esperienza insegna.

Quando morì il mio amico Luca Giacometti detto “Gabibbo”, il mandolinista dei Modena City Ramblers, andammo al funerale. Fu un bel funerale. C’era un sacco di gente, il Gabibbo era uno che si sapeva far volere bene.
Luca era iscritto a Rifondazione Comunista. Un ragazzo della sede locale venne dunque al funerale con una bandiera con la falce e martello. Un altro venne con la bandiera della CGIL. Erano in mezzo al corteo funebre, non li avevamo neanche notati, a momenti, in mezzo a tutta quella gente.
La sera a cena accendemmo il telegiornale di TeleReggio e il tipo disse la notizia così:

“Tra bandiere di Rifondazione Comunista e della CGIL si sono svolti oggi a Correggio i funerali di Luca Giacometti”

Se non fossi stato lì mi sarei immaginato uno sventolio da perdere la testa. Poteva dire anche “Tra sciarpe del Genoa e carri funebri si sono svolti oggi a Correggio…” visto che c’era anche una sciarpa del Genoa e un carro funebre.

Ciao Luca, scusa se ti ho tirato in ballo.

Jovanotti, dicono, avrebbe detto che lavorare gratis nella cultura per fare esperienza non è poi tutta ‘sta tragedia. Non so se ha detto proprio così, ai titoli di giornale non credo più dopo la cosa del Gabibbo. Mai. O leggo tutto l’articolo oppure non me ne frega niente.

E’ molto interessante invece la levata di scudi nei commenti sui socialcosi, dove tutti dicono dietro al Cherubini perché lavorare gratis, la cultura, la musica è lavoro, bla bla bla.

Suonare a 300 km di distanza per 150 €uri, facendo un soundcheck alle 16 che poi ti aprono il locale alle 18 perché “arrivo subito”, che ti eri preso mezza giornata di ferie apposta. Restare nel posto fino ad un’ora tarda perché “Aspettiamo che arrivi un po’ di gente” in preda ad una noia mortale. Poi suonare, tieni basso mi raccomando che i vicini (se iniziassi prima, magari i vicini avrebbero meno da dire), poi litigare su una decurtazione del cachet fatta in nome di una non meglio identificata appartenenza ad una non meglio specificata “indipendenza” (si dice DILETTANTISMO, ma per darsi un tono questo e altro), tornare in notturna, dormire tre ore e tornare a lavorare. Al momento in cui ti scuce i soldi, sentirti chiedere “Ma perché tu hai anche UN ALTRO lavoro?” e resistere alla tentazione di dargli un cazzotto in faccia. I soldi, naturalmente, in rigoroso nero, che fa comodo a tutti. Il borderò della SIAE magari manco lo fai, che si sa che alla SIAE sono dei ladri. Firma qui che scriviamo che sei venuto gratis, scusa sai le cose burocratiche, che schifo l’Italia eh…

Se hai fatto almeno una volta queste cose qui, soprattutto se la continui a fare e se lo rifaresti domani che in fondo ti va benissimo, pensaci due volte prima di pontificare su un titolo di giornale.

Che al tuo funerale chissà cosa scriveranno. E tu non ci potrai fare un cazzo di niente, sarà troppo tardi.

Quattro lesbiche. Due coglioni.

Sembra che il presidente della Lega Nazionale Dilettanti di Calcio abbia detto, durante una riunione, della sua intenzione di non dare troppi soldi al calcio femminile.

La frase, che è finita a verbale, è la seguente

«Basta! Non si può sempre parlare di dare soldi a queste quattro lesbiche»

Il soggetto in questione sostiene di non aver mai detto nulla del genere.

La verità non la so.

Stamattina la Gazzetta dello Sport riportava la cosa in prima pagina. Articolo, titolo, occhiello.

Nell’occhiello c’era scritto “Le frasi contro le lesbiche”.

Stessa frase nell’articolo a pagina numero boh.

Non “contro le calciatrici”. Contro le lesbiche.

http://www.gazzetta.it/primapagina/

L’articolo, dentro, è a firma di due tizi che non mi ricordo come si chiamano. Ma sono due. Come i coglioni.

Facciamoceli noi

Quando ero piccolo, giocavamo a pallone per strada. Se si era in pochi (in cinque o sei) allora si giocava a porta unica. La porta spesso era un cancello di un’abitazione, il campo era la strada e per fare il “contropiede” si doveva tornare indietro fino ad un certo punto. Così fingevamo di avere un campo da calcio vero. Spesso fingevamo anche di avere un pubblico, nel senso che quando segnavamo correvamo urlando e ci arrampicavamo su una qualche staccionata esultando come i calciatori facevano negli stadi. Spesso, quando facevamo questo, urlavamo anche il nome di un calciatore. Tipo che se avevi appena segnato con un gran gol, correvi esultando e urlavi “PLATINI” o cose del genere, per sottolineare la tua grande prestazione in strada.

Ieri sera sono stato dai miei, in quelle strade dove giocavo a pallone da bambino.
Quando vado dai miei finisce che guardo sempre un poco di televisione, i miei la guardano.

C’era un dibattito, su RaiDue, dove parlavano dei NoTav, NoExpo, Nostocazzo. Si chiamava “I blocca Italia” o una roba del genere. C’erano ospiti in studio. Direttori di giornali, opinionisti e cose così. Gente che dava l’impressione di essere ben pagata.

Ognuno diceva la sua, litigavano tra loro, andavano uno più fuori tema dell’altro, non arrivavano mai da nessuna parte, non portavano uno straccio di dato a quel che dicevano, ogni volta che andavano fuori tema il conduttore mica spiegava loro che stavano andando fuori tema da dove erano partiti, ma li lasciava parlare. Poi, dopo qualche minuto il conduttore diceva “Ma adesso vorrei parlare di…” e cambiavano un poco discorso. Stesso schema.

Sembrava di essere su Facebook, però con dieci giorni di ritardo per gli argomenti trattati.

Ecco, volevo dire che secondo me se quei programmi lì li facessimo noi cittadini comuni, sorteggiandoci la partecipazione a turno, servirebbero tanto uguale e si risparmierebbero un sacco di soldi.

TROPPO TARDI

Il mio prossimo album si chiamerà “TROPPO TARDI”, uscirà ufficialmente il 2 settembre 2015, esattamente settant’anni dopo la fine della seconda guerra mondiale.

Ci saranno 8 canzoni. I titoli? Eccoli.

1. NAKAMURA
2. GALLERIA
3. NEL MONDO CHE FAREMO
4. ELICOTTERI E CANI
5. IL LIMITE
6. MOTIVI FAMILIARI
7. FIORI
8. IL CHIODO

Il disco è stato registrato a Gennaio all’Igloo Audio Factory di San Prospero di Correggio (RE) da Andrea Sologni con l’aiuto di Raffaele Marchetti.

Uscirà per New Model Label/Controrecords.

Il disco è stato registrato utilizzando solamente chitarre e voci, ai quali abbiamo applicato ogni sorta di effetto digitale o analogico, per farle sembrare (anche) decisamente qualcos’altro. Non aspettatevi un disco folk.

La copertina e l’artwork saranno di mia moglie Cristina.

25 Aprile – Fatela finita una buona volta. (La memoria condivisa)

A me quelli che si lamentano che “anche i partigiani uccisero della gente innocente” e dicono che “i partigiani si resero protagonisti di diverse vendette anche dopo il 25 Aprile” e che “poi hanno ammazzato Mussolini senza processarlo e quindi alla fine sono tutti uguali”, un poco mi viene anche da compatirli.

Mica che lo voglio negare io, che ci possa essere stata una giustizia sommaria. Così come vedo che i dittatori capita che li ammazzino anche oggi, mica sempre gli fanno fare il libro di aforismi per la Mondadori e l’intervista dalla Bignardi.

Il punto è che quelli che dicono così, io me li immagino. Tutti questi qui, che appena una famiglia straniera gli passa davanti in graduatoria all’asilo perché ha 6 figli e i nonni sono in Marocco, cominciano subito a dire che bisognerebbe gasarli tutti e sterminarli con la bomba atomica. Avete presente no?

Ecco. Io me li immagino, questi tizi qui,  esser presi per vent’anni a bastonate, botte, olio di ricino, sequestri e confische dei beni, gente che ti manda a morire a cazzo, la fame, la miseria, il mercato nero, le case che non ci sono più perché le hanno bombardate, qualche parente o amico trucidato davanti agli occhi, le mogli stuprate una volta alla settimana quando va bene, il tutto per vent’anni senza mai poter dire un cazzo altrimenti altre bastonate, botte, olio di ricino, sequestri e confische dei beni, gente che ti manda a morire a cazzo, la fame, la miseria, il mercato nero, le case che non ci sono più perché le hanno bombardate, qualche parente o amico trucidato davanti agli occhi, le mogli stuprate una volta alla settimana quando va bene, il tutto per vent’anni senza mai poter dire un cazzo.

Me li immagino che dopo VENT’ANNI COSI’ ad un certo punto uno dice “STOP”, tipo l’arbitro che fischia la fine della partita. E loro, belli come il sole… OPLA’, a stringere la mano all’avversario e tutti a fare il terzo tempo a bere insieme al bar. E se anche solo uno prova a toccarne uno dopo sentirsi dire “Eh no, allora hai menato anche tu. Quindi uguale”. E naturalmente loro a quel punto a dire “Eh sì, hai proprio ragione. Uguale, uguale” abbassando la testa e sorridendo chiedendo magari anche scusa.

Me li immagino. Ce li vedo proprio.

Stando a quanto dice un saggio piuttosto bello chiamato “Il continente selvaggio – L’Europa alla fine della seconda guerra mondiale”, che è un libro di Keith Lowe che sto leggendo adesso e che vi consiglio anche se ci vuole dello stomaco, parecchi ebrei liberati dai lager nazisti (giusto per fare un esempio) si resero protagonisti di episodi di violenza su diversi civili tedeschi, spesso massacrando donne e bambini in branco con particolare efferatezza solo perché erano tedeschi. Andate in Israele a dire ai loro nipoti che “i loro nonni allora erano uguali ai nazisti”. Fossi in voi mi porterei dietro delle garze.

 

Votate per me.

Non è tanto che in tanti suonatori ti chiedano di votarli per andare a suonare al primo maggio a Roma in piazza. Quello è normale, si prova un concorso e si tenta la fortuna facendosi pubblicità come si riesce.

E’ quando scrivono “Aiutaci a realizzare un sogno”.

Sogno? Suonerete 3 canzoni se va bene, in un palco dove sentirete tutto a cazzo di cane, il tempo che si gira il palco e avete già finito, il pubblico è lontanissimo e non vedrete nulla, non capirete manco dove siete.

Se quello è un trampolino per sperare di arrivare altrove, capisco benissimo. E allora magari farete di tutto per farvi notare, lancerete un proclama politico da due soldi o farete come quello che si è tirato giù le mutande e l’unica cosa che abbiamo capito è che ha il cazzo piccolo.

Ma se il vostro sogno è quello, se quello è il vostro punto di arrivo, lasciatevelo dire: siete messi male.

Allievi di Allevi.

E’ uscito un libro di Saturnino, il bassista di Jovanotti (e non solo, ma si fa per capirsi). Parla di un sacco di colleghi, dicono parli bene di tutti più o meno.

Parla male di Allevi.

Dice, in sostanza, che era un tignoso rompicazzo e che spara un sacco di balle. Tipo che racconta che questo o quel pezzo sono stati scritti in una particolare occasione e invece li aveva già nel cassetto. Dice che sua moglie, che gli fa da manager, è una cagacazzi. Ovviamente non dice così, il tutto è più circostanziato e attendibile.

C’è un passaggio che mi è rimasto impresso. Quando parla del manager di Allevi che lo ha fatto emergere, un tale che si chiama Vitanza, una di quelle figure del music business che nessuno conosce tranne gli addetti ai lavori e che spesso fanno la differenza tra un artista famoso e uno no.

Dice che Vitanza era un maestro della comunicazione e che, per fare un esempio, ebbe la grande idea di fare un concerto al Blue Note di New York e poi dire “Tutto esaurito al Blue Note di New York”. Il che era vero, badate bene. C’è che poi il Blue Note è un buco che (parole di Saturnino, più o meno) se ci metti quelli dell’ambasciata italiana e del consolato su invito, allora è già pieno.

Questa cosa qui, del fare sembrare la cosa di più di quel che si è, la facciamo tutti. Ognuno fa quel che può, però ad esempio io potrei dire che ieri sera al Pantagruel di Casale Monferrato (dove ho suonato) non c’era un tavolo libero. Tutto esaurito. Altre volte ci ho suonato (tre o quattro) e c’erano persone in piedi ammassate all’entrata.

Ora, vi sembra una cosa molto figa, in realtà ieri sera al Pantagruel c’erano venti persone. Il posto è molto piccolo, se uno occupa un tavolo da solo, in un altro sono tre, in un altro due, insomma…. Il posto sembra pieno. O meglio, lo è. Ma se dico “posto pieno” fa un certo effetto, se dico “Ieri sera erano in venti” sembra una schifezza.

Il concerto ieri sera è stato molto bello. Le venti persone che c’erano erano molto contente, hanno tutti comprato qualche disco, è stata una serata molto piacevole dove ci siamo divertiti tutti. Un tizio è venuto da Torino, da solo in macchina, fino a Casale Monferrato apposta. Era contento come una pasqua e io non lo avevo mai visto in faccia in vita mia. Che figata. Penso che il Pantagruel sia uno di quei posti dove io suonerò sempre, mi basterà chiedere quando sono liberi. Ne sono contento. Molto.

Ecco, questa cosa qui, dello svelare le cose, del cercare il più possibile di dire la verità, io la vado predicando da tempo. Sono perfettamente cosciente che a dire la verità ci si rimette, a fare come fa il Vitanza si fa il proprio lavoro come si deve fare. Non è mica che io sono un santo. Ho sparato balle per un sacco di tempo, pure io. Oggi non ho niente da perdere, ho deciso che è ora di cambiare rotta.

Perchè?

Perché credo che, se non avete vent’anni e ormai le prospettive che avete davanti sono quelle di una vita di lavoro e di suonare soltanto nel tempo libero, guidati dalla vostra passione, sia un dovere sociale cercare di dire la verità.

CERCARE, perché i vizi sono duri a morire e come si può stare vent’anni senza fumare e poi ripartire di colpo, anche il vizio di ingigantire una bella cosa può ripresentarsi in maniera involontaria.

Però credo che noi che abbiamo passato i 35-40 dovremmo cercare di farlo sempre. Perché credo che lo dobbiamo alle nuove generazioni. Se noi raccontiamo loro la verità, a loro non toccherà perdere tempo inseguendo sogni che non valgono nulla, trovandosi con un pugno di mosche in mano quando magari si erano fatti un’idea sbagliata. Un’idea che gli avevamo dato noi. Inoltre, in questo modo chi verrà dopo di noi riconoscerà prima i mille trucchetti del caso.

Forse in questo modo faremo davvero crescere una scena musicale consapevole. Forse no. Quantomeno, avremo meno Allevi tra i coglioni.