Informazioni su Giancarlo Frigieri

uno che suona la chitarra e canta

(Dis)Unità

L’Unità chiude.

“Quando chiude un giornale è comunque una sconfitta” è il ritornello che sentiamo ogni volta che un giornale chiude. Quando si tratta di un giornale storico, il ritornello si ripete più di una volta, come nelle canzoni. Quando il giornale è il simbolo di un’appartenenza, il ritornello diventa anche strofa, ponte, assolo e si sente solo quello.

Stiamo tutti a ricordare quando il giornale diede questa o quella notizia. Stiamo tutti a ricordare che nostro padre, nostro nonno…noi no.

E’ questo il punto. L’Unità, ma ogni giornale, ogni cosa in genere, saluta e se ne va quando non interessa più.

E’ un poco come quando noi suonatori da due soldi non andiamo mai a vedere un concerto in uno dei posti dove ci chiamano a suonare e poi un bel giorno, quando il posto chiude, diciamo “Che peccato”, ma in realtà siamo stati noi a far chiudere quel meraviglioso localino che era talmente meraviglioso che non ci siamo mai sognati di metterci piede.

Le cose non si cambiano piangendo e dicendo “Ooooh”. Si tengono vive, oppure muoiono.

Quand’è stata l’ultima volta che avete comprato e letto l’Unità? E la penultima? Ecco, bene. Ecco il motivo. Chiude per quello.

A me oggi non interessa, se chiude l’Unità.

Idem per qualsiasi altro giornale, non è una questione di appartenenza. Non li compro mai, i quotidiani. Al limite dò una letta alla stampa locale in un bar, al sabato, mentre faccio colazione.

Posso anche dire che mi interessa, posso anche dire “come sarebbe bello se mi fosse interessato per davvero”, ma la realtà è che non me ne frega niente, anche se magari mi viene da dire “Che peccato”.

Che peccato, vero?

Fischia il vento.

Ieri a Mantova c’è stato “ANCORA”, un piccolo festival dedicato ad Enrico Fontanelli, degli Offlaga Disco Pax. Ad un certo punto, durante il finale del set di “Spartiti”, Max Collini ha terminato il set con un pezzo dei Massimo Volume, poi è sceso giù dal palco e si è messo di fianco a noi. Mia moglie si era commossa e stava piangendo come una fontana. Max aveva la lacrimina che aspettava solo di scendere e quando ha visto Cristina piangere ha sorriso ed è andato ad abbracciarla. Intanto il finale sul palco era affidato al solo Jukka Reverberi, che con la sua Fender Telecaster cavava fuori suoni distorti e pieni di echi, in un crescendo emotivamente parecchio forte, pieno di trasporto. Si percepiva che pure lui era emotivamente scosso dalla cosa ed è partito con una scala ascendente su una singola corda fino ad arrivare alla fine del manico della chitarra, fin quando non ci sono state più note da suonare perché il manico della chitarra era finito. Allora ha indugiato sull’ultima posizione possibile andando a grattugiare le corde con la mano destra con tutta la forza possibile e poi ha accennato, per tentare di salire ancora, un bending, poi è ritornato su quell’ultima posizione perché comunque le sue dita e la sua chitarra non potevano andare a gridare più in là. A quel punto eravamo idealmente tutti con Jukka, rapiti dalla sua telecaster e complici di quello strano insieme di passione, impotenza, rabbia e amore che a volte riescono a stare in una corda di chitarra. Come si faceva ad arrivare più in là?

In quel momento lì, preciso, si è alzata improvvisamente una folata di vento. E secondo me abbiamo pensato tutti la stessa cosa.

Hai un bel da dire che…

Ieri a Rubiera c’è stato il lutto cittadino perché è successo che un’automobilista ha investito un bambino e sua madre. Il bambino è morto. La mamma non sta niente bene. In quel punto lì ogni tanto capita. Non sto a dire il perché, secondo me adesso faranno qualcosa.

Ieri in negozio da mia moglie c’erano alcune signore che si sono un poco scandalizzate che mia moglie non abbassasse la serranda per la durata del funerale del bambino in segno di lutto. Ieri alcune signore si sono scandalizzate addirittura perché mia moglie teneva aperto invece che chiudere in segno di lutto.

Dopo che hanno finito di scandalizzarsi si sono fatte fare i capelli belli in ordine, perché dicevano che al funerale c’era la RAI.

Quanto a me, ieri passavo per quel punto lì, ci passo tutti i giorni 4 volte al giorno.

Proprio su una delle sagome tracciate dalla polizia, un tipo ha messo la freccia per andare a prendere l’acqua al distributore dell’acqua pubblica. Da dietro gli hanno clacsonato e lo hanno offeso in malo modo con il braccio fuori dal finestrino.

Il tipo ha risposto in modo ancora più schifoso. Il tipo che ha clacsonato, tre metri dopo, ha inchiodato per non investire una signora sulle strisce.

Ieri sera sul pedonale che va da casa al negozio di mia moglie c’erano cinque persone che aspettavano di attraversare ma nessun autista le faceva passare.

Ogni giorno mentre torno a casa, e io lavoro a neanche un km da casa, vedo almeno cinque persone che hanno il telefono in mano e scancherano con il telefono mentre guidano.

Io ieri la cosa della clacsonata che vi ho raccontato qui sopra l’ho raccontata subito ad un mio collega, con il quale ero al telefono mentre stavo guidando.

Stasera suono a Fabbrico, alla Trattoria dell’Acero. Dice che chi ci va in bicicletta gli danno il dolce gratis.

Come sarebbe bello se

Come sarebbe bello se quando pubblico un disco nuovo vi scornaste e mi diceste in mille che è una merdata che fa schifo, che non so cantare, che non so suonare, che dal vivo faccio cagare, che sono la rovina della musica italiana, che sono uno stronzo esaltato, che la devo piantare di fare dischi, che al decimo commento su un socialcoso saltasse sempre fuori quello che dice “Frigieri chi?” e poi partiste a sfottermi in cinquemila, vomitandomi addosso tutta la merda che riuscite a scaricare. Invece esce un mio disco nuovo, anche se è registrato in tre giorni e missato in due e tutti a dire bravo, che meriterei di più, continua così, grande, tu sì che dici le cose come stanno, fighissimo, vai, alè.

Come sarebbe bello se quando esce un mio video su youtube vi scornaste e mi diceste in mille che è una merdata che fa schifo, che non so cantare, che non so suonare, che dal vivo faccio cagare, che sono la rovina della musica italiana, che sono uno stronzo esaltato, che la devo piantare di fare dischi, che al decimo commento su un socialcoso saltasse sempre fuori quello che dice “Frigieri chi?” e poi partiste a sfottermi in cinquemila, vomitandomi addosso tutta la merda che riuscite a scaricare. Invece esce un video e anche se è fatto con solo uno schermo nero fisso tutti a dire bravo, che meriterei di più, continua così, grande, tu sì che dici le cose come stanno, fighissimo, vai, alé.

Come sarebbe bello se quando esce una mia intervista vi scornaste e mi diceste in mille che è una merdata che fa schifo, che non so cantare, che non so suonare, che dal vivo faccio cagare, che sono la rovina della musica italiana, che sono uno stronzo esaltato, che la devo piantare di fare dischi, che al decimo commento su un socialcoso saltasse sempre fuori quello che dice “Frigieri chi?” e poi partiste a sfottermi in cinquemila, vomitandomi addosso tutta la merda che riuscite a scaricare. Invece esce un’intervista e tutti a dire bravo, che meriterei di più, continua così, grande, tu sì che dici le cose come stanno, fighissimo, vai, alè.

Come sarebbe bello se quando esce un mio video dove canto una cover vi scornaste e mi diceste in mille che è una merdata che fa schifo, che non so cantare, che non so suonare, che dal vivo faccio cagare, che sono la rovina della musica italiana, che sono uno stronzo esaltato, che la devo piantare di fare dischi, che al decimo commento su un socialcoso saltasse sempre fuori quello che dice “Frigieri chi?” e poi partiste a sfottermi in cinquemila, vomitandomi addosso tutta la merda che riuscite a scaricare. Invece esce un video dove canto una cover e anche se è “La solitudine” della Pausini tutti a dire bravo, che meriterei di più, continua così, grande, tu sì che dici le cose come stanno, fighissimo, vai, alè.

Questi improperi qui li riservate sempre e solo a quelli che vendono dei dischi, che hanno i concerti pieni, che prendono dei cachet a tre zeri o più. A me sempre tutti a dire bravo, che meriterei di più, continua così, grande, tu sì che dici le cose come stanno, fighissimo, vai, alè.

Poi suono e quando siete in venti è molto.

Beh, andate a fare in culo, che è ora. Stronzi.

Io l’avevo detto subito.

Io c’ero. E io l’avevo detto.

Li vidi entrare in scena. Tutti e tre. Era il loro primo concerto. Sapevano a malapena suonare gli strumenti che si erano scelti. Basso, chitarra e batteria. La bassista suonava seduta, perché in piedi diceva che non le riusciva. Faceva soltanto la nota singola. Mai un riff. Mai. Il batterista suonava sempre un quattro quarti tutt’altro che metronomico e con minuscole variazioni. Mai una rullata, o quasi. Il chitarrista ogni tanto partiva per la tangente mettendo le dita un poco dove veniva o faceva riff estremamente semplici. Per il resto si limitava a fare gli accordi, suonati tutti con la sola pennata in giù. Mai un barré. Mai.

Dopo un minuto tra il pubblico c’era qualcuno che rideva e ad un certo punto alcuni amici della bassista si alzarono per andare ad applaudirla proprio davanti a lei con una specie di tifo da stadio improvvisato, una cosa che se vieni da fuori non capisci mai dove finisce l’affetto e inizia la presa in giro.

Fecero un set di circa trentacinque minuti, con tutti brani originali e una cover di “Summer babe” dei Pavement.  Ora, io posso dirlo che ve l’avevo detto. Perché erano la band più figa che avessi mai visto. Avevano l’indolenza dei Pavement e la faccia tosta dei Ramones. E le canzoni erano buone. Semplici, dirette, senza niente più del necessario.

Glielo dissi, che erano i migliori. Dissi che volevo una copia della cassetta sulla quale avevano registrato il loro concerto. Il primo.

Qualche mese dopo passai nella loro sala prove, stavano registrando un demo. Facevano questo pezzo che avevano chiamato “Erotic City (By Sarah Young)” come un sexy shop che avevano visto a Berlino. Mi dissero “Vuoi suonare?” e io risposi “Si, però la batteria”. Non avevo mai suonato la batteria in vita mia. Mi piaceva molto fare finta mentre andavano i dischi, con due bacchette da ristorante cinese che picchiavano l’aria dove la mia mente aveva messo dei tamburi. Ogni tanto nelle pause delle prove delle band che avevo avuto provavo a suonicchiare la batteria e insomma, qualche cosa ci cavavo fuori. Ma non avevo mai registrato un pezzo suonando la batteria.

Suonai. Buona la prima, o la seconda. A loro piacque, il pezzo finì sul demo con me come batterista. Ci pensai tanto a quanto era stato figo suonare la batteria con loro.

Dopo qualche mese mi vennero a dire che il batterista aveva intenzione di passare alla chitarra perché alla batteria si annoiava. Mi dissero, più o meno, che cercavano uno che suonasse la batteria e non un batterista. Capii perfettamente cosa intendevano. Accettai subito, non vedevo l’ora che me lo chiedessero. Il fatto di non possedere una batteria non mi appariva come un serio impedimento. In sala prove una batteria c’era. Avrei usato quella.

Funzionavamo alla grande. Suonavamo canzoni semplici e dirette, senza fronzoli, con linee melodiche orecchiabili e strutture semplici. Intanto la bassista aveva imparato a suonare in piedi e di tanto in tanto cantava. Cantavano tutti e tre. Spesso insieme.

Iniziammo a suonare dal vivo in quartetto. Andavamo forte. Ogni concerto andava sempre meglio, il pubblico aumentava sempre. Nel giro di un anno arrivammo a suonare davanti anche a centinaia di persone. In generale quando suonavamo succedeva che c’era sempre qualcuno che si metteva a ballare o a ondeggiare con la testa e alla fine vendevamo un sacco di demo. Avevamo fatto un demo su cassetta che vendeva talmente bene che il nostro chitarrista aveva dovuto comprarsi una piastra doppia che usava solo per duplicare i demo o almeno così mi ricordo io.

Arrivavamo a suonare in tutti questi posti dove ci trovavamo a dividere il palco con band con competenze decisamente maggiori delle nostre. Una volta un fonico, dopo avermi visto infilare un piatto senza fissarlo con il sostegno di sopra e dopo avermi fatto delle domande alle quali non sapevo rispondere mi disse “Ma ascolta, il batterista quando arriva?” e dovetti spiegargli che ero io il batterista della band. Lui fece una faccia come dire “O mio Dio!”.

Dividevamo il palco con gente che disquisiva delle differenze tra un compressore di una marca e quello di un’altra per una mezz’ora, che faceva assoli su assoli e che quando vedeva le nostre chitarre economiche a volte si faceva una risata. Io mi trovavo davanti batteristi con il doppio pedale che mi chiedevano cose sull’accordatura del rullante e in generale facevano delle domande alle quali non sapevo minimamente rispondere, arrivando anche a sfottermi nemmeno troppo velatamente quando capivano che non avevo idee precise sull’argomento “montare la batteria”.

Poi  però succedeva che salivamo sul palco e li facevamo a pezzi. Eravamo una band di quelle che non ti conviene suonare dopo, detto senza false modestie.

Continuò così per un paio di anni, nei quali io cominciai di tanto in tanto a sentire male alle braccia quando suonavo. Sempre più spesso e dopo ogni volta che suonavo il dolore aumentava. Finché nel maggio del 1997 dopo un concerto il dolore non passava. Un dottore mi disse di prendermi una pausa, mi fece fare degli esami, mi disse che non avrei mai più dovuto suonare la batteria in maniera continuativa se ci tenevo ai miei gomiti e che quantomeno avrei dovuto stare fermo un bel po’. Le braccia mi facevano male persino a guidare la macchina. Tanto.

Consigliai loro un batterista, un ragazzo che suonava con una band di amici con i quali ci eravamo incrociati spesso. Dissi loro “Lui secondo me per voi va bene” e il solo fatto di dire “Voi” per dire la band mi faceva stare male. Perché avevo capito che era finita.

Era vero. Andava bene. Eccome se andava bene. Con lui di lì a pochissimo avrebbero registrato il primo album. Nel primo disco diverse parti di batteria ricalcavano le mie (anche se erano suonate molto meglio) e la cosa mi faceva piacere. Il disco era stupendo e infatti se ne accorsero tutti. Il gruppo cominciò a finire sui giornali specializzati, poi su Mtv quando finire su Mtv era la differenza tra essere un gruppo nel calderone e un gruppo come si deve.

E’ dura essere al settimo cielo per come vanno le cose ai tuoi amici e sentirti una merda perché tu dovevi essere lì e invece non ci sei. E’ dura da matti. E’ come zucchero e sale insieme.

Poi ne fecero un altro di dischi. Il consenso crebbe ulteriormente. Una sera ero al Velvet a Rimini e misero un loro pezzo e la pista si riempì di colpo, come quando metti “Smells like teen spirit” o “Killing in the name”. Zucchero e sale, anche qui.

Poi iniziarono ad includere nuovi musicisti e a stravolgere la formazione. Stravolsero poco a poco anche la loro musica, disco dopo disco, cambiando sempre la loro proposta.

Oggi sono forse il gruppo, tra gli “indipendenti”, che gode di maggior rispetto in tutta Italia. Hanno suonato in tutti i posti più importanti, hanno fatto dei tour in Europa, i loro dischi vengono distribuiti all’estero. Hanno collaborato con grandi musicisti, compreso alcuni compositori d’avanguardia americani piuttosto celebrati. Ogni tanto mi chiedono di suonare o cantare con loro e se non ho impegni dico subito di sì, perché suonare con loro è fighissimo.

Beh… io l’avevo detto subito. Dal primissimo momento che li avevo visti suonare insieme, la sera del 28 Maggio del 1994, esattamente venti anni fa al teatrino della casa nel parco di Sassuolo.

 

La cassetta con il bootleg del primo concerto dei Julie’s Haircut al Teatrino della Casa nel Parco di Sassuolo è solo per oggi disponibile al link

http://julieshaircut.bandcamp.com/album/live-at-fahrenheit-451-28-05-1994

Credo, senza esagerare, che sia un documento di notevole importanza storica per la musica del nostro paese. Il fatto di averla conservata per vent’anni e di esserne a tutt’oggi l’unico possessore mi rende particolamente orgoglioso, inutile negarlo.

Cose che ho fatto una volta sola in 5 anni.

– Sono andato a vedere uno spettacolo di tango. In prima fila. Contro la cassa con la musica a manetta.

(A mia moglie piace il tango. Lo adora. Quando sente un bandoneon le si muove un qualcosa dentro. A me fa venire due coglioni grandi come l’Atomium di Bruxelles. Ma era per il suo compleanno. Ho pagato io, mi sono sciroppato lo spettacolo, a lei è piaciuto. Per dire, lei si è sciroppata un concerto di musica sinfonica o una partita di baseball. Son cose che si fanno. Io sono contento di averlo fatto, anche se il tango mi fa venire due coglioni come l’Atomium di Bruxelles)

– Mi sono lavato a pezzi e ho dormito dentro a tre autogrill nel corso dello stesso pomeriggio (Avevo fatto un concerto in un posto dove non avevo dormito niente, che di fianco alla mia porta c’era la madre di tutte le feste e un volume allucinante e io al mattino quando la luce mi arriva negli occhi mi sveglio, punto e basta. Il giorno dopo avevo un altro concerto in un posto e quindi mi sono arrangiato, dormendo un poco alla volta quando crollavo dal sonno)

– Ho suonato con i Fairport Convention. (Ho aperto un loro concerto. Figata. Loro sono dei mostri. Ho avuto fortuna, mi sono proposto e il tipo del locale ha accettato. Alla fine del set Dave Pegg mi ha detto che ero stato davvero molto bravo e ha preso un mio disco, dicendomi che magari mi avrebbe invitato al Cropredy, il festival che organizzano loro. Poi non mi ha invitato e io immagino che lo avesse detto per dire, ma io me ne vanto ancora adesso)

– Ho pagato 20 euri per vedere una tribute band.
(“The Watch” si chiamano. Fanno i pezzi dei Genesis del periodo Gabriel. Li fanno identici, la voce è identica a Gabriel. I pezzi dei Genesis del periodo progressivo sono una cosa difficilissima da suonare, ci vogliono dei musicisti con i controcazzi. Vederli suonati dal vivo a 10 metri di distanza mi ha consentito di guardare per bene cosa fanno i musicisti che suonano quelle cose lì. Sono contento di averlo fatto. Non pagherei 20 euro per un’altra tribute band)

– Ho dato della testa di cazzo pubblicamente a uno che mi ha recensito male. (Scanzi. Scrisse che avevo dei toni da “cantacronache afono” e che la canzone mia che recensiva era “postuma”. Il tutto mentre io ero DAVVERO afono e non sapevo ancora come mai e qualche dottore di quelli che prendono un sacco di soldi per una visita aveva detto “Ah, lei non canta più” e io avevo pubblicato la notizia del mio stop a tempo indeterminato su questo blog. Quando ho letto “afono” e “postuma” mi sono detto “Ma che cazzo fa? Sfotte?”. Lui, chiaramente, non lo sapeva. Non che su Scanzi abbia poi cambiato granché opinione, ma avrei potuto dirlo in maniera civile invece che sbottare. Anche perché se uno mi recensisce male non me ne frega davvero niente. Il risultato fu che lui cambiò le due parole nella recensione, ma i miei commenti al veleno rimasero sotto e quindi tutti quelli che andarono a leggere dopo si vedevano una recensione equilibrata con un tipo che dava di matto. Io comunque canto ancora, alla faccia dei primari di Otorinolaringoiatria. Colgo l’occasione invece per ringraziare pubblicamente il Dottor Franco Fussi di Ravenna, un foniatra che è bravo davvero e vale ogni euro speso e sa anche come parlare con un paziente)

– Ho seppellito un cane (Poldo. Ne ho parlato una volta, quando è morto. Non lo avevo mai fatto. Non mi è piaciuto. Sono contento che sia nel nostro giardino, anche se non so spiegare perché)

– Ho pagato un uomo per infilarmi un dito nel culo.
(Un urologo. Visita privata. Un controllino alla prostata. Sono contento di averlo fatto, perché dopo ero più tranquillo. Durante non ero tanto tranquillo. Spero di non doverlo fare di nuovo nel breve periodo. Mica per dire, però insomma, ecco…)

– Sono andato a mangiare libanese.
(Per provare. Buono, ma piuttosto speziato e il prezzo non era esattamente conveniente)

– Ho comprato un libro su Ulrike Meinhof.
(Mi incuriosiva la sua storia, non conoscevo bene quegli anni lì in Germania e ne avevo solo sentito parlare. Bel libro. Piuttosto equilibrato. L’ho tenuto ma non l’ho riletto)

– Ho fatto una gastroscopia (2, a dire il vero. Dice il dottore che devo. Proprio per via di quella cosa del diventare afono di cui parlavamo prima. Mi fido)

– Ho tirato i remi in barca ad un concerto, ho fatto il minimo sindacale e poi me ne sono andato senza nemmeno provare a tirare il pubblico dalla mia (E’ successo quest’anno. Ero davvero molto stanco e abbattuto, me ne sono andato dopo neanche un’ora. Ho preso i soldi e sono praticamente fuggito verso casa. Di solito io suono ALMENO un’ora e tre quarti, anche se ci sono tre persone. E mi danno l’anima, anche se ci sono tre persone. Quella volta lì non ce l’ho fatta.)

Non ve ne frega niente, vero? Immagino. Trovo che abbiate perfettamente ragione.

Se raggruppando queste cose senza minimamente leggere quello che c’è scritto tra parentesi uno dicesse:

“Lo conosci Frigieri? Dai, quel tipo che adora la cucina libanese, quello che è culo e camicia con Dave Pegg dei Fairport Convention. Quel tipo che fa va avanti e indietro dall’ospedale a fare delle gastroscopie, figurati. Dai, quello che suona. Oddio, fa il compitino e va via appena può, che non ne ha nemmeno voglia. Non fa altro che dare della testa di cazzo ai giornalisti che parlano male di lui, poi va a vedersi le tribute band e ci lascia un sacco di soldi. Quando non è dietro a seppellire cani. Ah, deve essere un mezzo terrorista, so che è appassionato di Ulrike Meinhof. Anche se la vera sua passione è il TANGO, naturalmente. Oltre a frequentare i bagni degli autogrill. So che ci va a dormire, anche più di un autogrill alla volta.  Ma da uno che paga per farsi mettere un dito nel culo qualche frequentazione equivoca te la devi aspettare”.

Beh, sarebbe un coglione che di me non ha capito proprio una mazza. Credo che il giochino qui sopra possa essere fatto anche con te che stai leggendo.

Quindi riassumendo.

1) Di una cosa che fate una volta in cinque anni non ce ne frega un cazzo.
2) Una cosa che fate una volta in cinque anni non ci dice niente di così illuminante su di voi. Anzi, probabilmente è causa di equivoci.

Quindi: La prossima campagna elettorale, se riuscite, scassateci meno i coglioni.

Meno di una tribute band.

In principio fu Rocky.

L’ho visto mille volte. Il primo, che dopo ne hanno fatto talmente tanti che tra un poco faranno “Il figlio di Rocky” oppure “Rocky contro Godzilla” così come fecero “Zorro contro Maciste” (giuro, esiste). L’ho visto mille volte e poi un giorno l’ho guardato in lingua originale, che non lo avevo mai visto in lingua originale. Era tanto che dicevo che i film io li volevo vedere in lingua originale, solo che mia moglie (che smonta e rimonta ogni cosa del mondo e ha un talento naturale, dove io invece devo prendere appunti per fare una lavatrice) le lingue straniere non le mastica tanto e quindi diceva sempre che dopo avrebbe fatto fatica eccetera.

Poi una sera ha detto “Dai, va bene. Tanto “Rocky” lo so a memoria, guardiamolo in lingua originale”. Con i sottotitoli, chiaro.

Eh niente. Stallone, Talia Shire e gli altri personaggi, che in italiano sembravano comunque dei sempliciotti che vivevano nei sobborghi di Philadelphia una vita grama da sempliciotti ma che comunque si vivevano tutto sommato la loro vita grama da sempliciotti con una certa serenità tutta loro, in lingua originale si capisce bene che sono gli ultimi. Degli emarginati. Gente che non ha niente dalla vita, gente disperata della quale a nessuno importa nulla. Arrivi alla fine del film che capisci il capolavoro che è, mentre fino a quel momento ti sembrava solo “Un film su un pugile mediocre e sempliciotto che vive a Philadelphia e che di colpo ha una chance e combatte per il titolo”.

Da quella volta non guardiamo mai più un film con il doppiaggio. Anche al cinema cerchiamo di andare dove i film vengono proiettati in lingua originale. Altrimenti, spesso, non andiamo a vederli al cinema. Mia moglie sta imparando l’inglese senza accorgersene, anche se lei crede di no, proprio perché non se ne sta accorgendo. Hai presente quando impari una cosa divertendoti? Ecco, così. Unico neo, il film visto al cinema è più bello e non credo di dovere spiegare perché.

Ultimo caso, ieri sera, “Dallas Buyers Club”. Non eravamo stati al cinema, perché avevamo un impegno la sera che veniva proiettato in lingua con i sottotitoli. Visto in dvd. Bello, molto bello.

Poi, quando il film è finito, abbiamo guardato un poco di contenuti speciali del dvd. Quelli dove ogni tanto c’è una ripresa delle scene del film, tra un commento e l’altro. E quindi abbiamo rivisto qualche scena del film, doppiata in italiano, con queste voci carichissime di bassi, modulate ed equalizzate in maniera fighissima, dove i protagonisti sembrano sempre dei fighi più furbi degli altri e dove l’interpretazione dell’attore semplicemente scompare in favore di una copia in carta carbone venuta male. E ci siamo detti (ormai la frase è un mantra) “Oh, è un altro film”. In italiano non credo mi sarebbe piaciuto. Non così.

Ogni tanto ci capita di parlarne con qualcuno e in genere senti dire che “I sottotitoli distraggono” oppure che abbiamo “I doppiatori migliori del mondo”.

Beh, a me ieri sera è venuto in mente un paragone con la musica. Perché oggi vanno forte le tribute band. Quelle che rifanno i repertori interi di un singolo artista. Mica che li traducono in italiano. Farebbe ridere, vero?

Eppure…negli anni sessanta/settanta, in Italia le canzoni straniere si traducevano. Mica che qui da noi sentissi alla radio “Bang Bang” di Sonny Bono. Sentivi quella dell’Equipe 84. D’altra parte cosa ci volete fare, così capiamo le parole che altrimenti la musica distrae. Quindi mi sono immaginato…

Cosa ve ne fate di “A whiter shade of pale” dei Procol Harum o di “California Dreaming” dei Mamas & Papas quando potete avere “Senza luce” e “Sognando California” dei Dik Dik?

Che vi frega di “I ain’t no miracle worker” della Chocolate Watchband quando potete avere “Un ragazzo di strada” dei Corvi?

E Lou Reed? Ma cosa ve ne fate di “Walk on the wild side”? Ci sono “I giardini di Kensington” di Patty Pravo.

“Space oddity” di Bowie? Robetta in confronto a “Ragazzo solo, Ragazza sola” con il testo di Mogol.

I Moody Blues? Meglio i Nomadi. E meglio l’Equipe 84 di (fate voi la lista, non ho tutto il giorno).

E poi scusate, cosa ce ne frega a noi di Bob Dylan quando possiamo avere Tito Schipa Jr. che ce le ricanta tutte in italiano?

Perché noi abbiamo inventato il bel canto. L’Opera, quelli sì che erano cantanti. Da Monteverdi a Puccini, fior fiore di compositori. E che cavolo.

(Domani, sabato 24 Maggio, al Tabacchi Blues di Rubiera c’è una giornata dedicata a Neil Young. La aprirò io alle 15, cantando 5 pezzi suoi. In inglese. Senza sottotitoli)

UNA PIADINA E UNA BIRRA ovvero “Dal Rigo al fare squadra basta un’altra angolazione”

Io una volta ero uno di quelli che oggi chiamano hipster, o indie, o come vi pare. Insomma, ero uno snob, un pallone gonfiato pieno di boria. Non che adesso le cose vadano molto meglio, perché comunque quella malattia lì non è che ti passa mai completamente. E’ un poco come la sciatica, che ci sono i giorni che non la senti quasi, i giorni che stai benissimo e ti sembra che ti sia passata, però poi succede che un giorno viene a piovere e c’è umido e TRAC! Un male della madonna. Ecco, con la snobbite (oh, io non so come si chiami in italiano) è un poco così. Però sappiate che una volta era molto peggio. E una volta Rigo Righetti suonava con Ligabue. A me Ligabue non stava simpatico. Non è che non stesse simpatico perché lo conoscevo e quindi potevo dire con cognizione di causa “Quello lì è uno stronzo”. Era uno stronzo e basta, principalmente perché aveva successo e poi soprattutto perché aveva delle canzoni che secondo me, oh…sono sempre state piuttosto deboli. E Rigo, suonando con Ligabue, beh…per me era uno stronzo anche lui. Per la proprietà transitiva della lassativa. Il sillogismo di Guttalax, dopo quello di Aristotele.

Poi un giorno l’ho conosciuto. Non Ligabue, dico Rigo Righetti. L’ho conosciuto e ho scoperto che lo stronzo ero io. Non è mica bello sentire odore di cacca dappertutto di continuo e poi svegliarsi e accorgersi che sei te. Ti rendi conto delle figure (figure di merda, naturalmente) che hai fatto nel corso di un tempo prolungato. E ti penti. Ma ormai è tardi. Sono tutti scappati fuori per la puzza. Mica ti hanno detto niente, che quando uno fa una puzza in ascensore nessuno dice niente, ci si guarda con sguardo imbarazzato e poi tutti zitti. Perché la prima gallina che canta ha fatto l’uovo. E qui, che tutti cantiamo e suoniamo, di pollaio se ne fa già abbastanza. Comunque, quando Rigo ha fatto il primo Campovolo, “Il giorno dei giorni” e tutte quelle robe lì, la cosa é venuta male. Dal palco loro non se ne erano mica accorti, ma non so cosa sia successo di preciso però l’impianto non funzionava mica bene e un casino di gente che era al concerto non ha sentito una mazza, tanto che c’erano dei filmati dove la gente cantava “Alba Chiara” in coro e copriva il Liga e la banda. Il Liga il giorno dopo allora butta un comunicato stampa dove chiede scusa. Mi immagino la vergogna per una cosa così, insomma…son cose imbarazzanti. E’ stato un momento in cui il Liga lo prendevano per il culo tutti. Gli avevano anche rubato in casa, quella sera lì. E noi tutti lo sfottevamo. Io qualche sera dopo suonavo a Sassuolo con la mia band e prima di cominciare ritenni particolarmente spiritoso leggere il comunicato del Liga parola per parola dicendo alla fine “Vai a cagare te e chi c’era” e poi attaccando con il primo pezzo. Il nostro concerto andò bene, ma non se lo ricorda più nessuno. A noi anche se ci si fosse rotto l’impianto, a chiedere scusa non ci voleva neanche il microfono che tanto sentivano tutti, che non erano mica tanti.

La settimana dopo sono nello stesso posto e arriva Rigo assieme a Pellati (il batterista) e a un ragazzo con la chitarra che non conoscevo. Ero lì, mi son detto “Ma dai, sentiamo un poco il bassista del Liga”. Perché per me Rigo era “Il bassista del Liga”, anche se sapevo dei Rocking Chairs e tutto, per me che sono un pallone gonfiato pieno di boria Rigo Righetti era il simbolo del male. Mica come Hitler, diciamo boh…un Kappler, una cosa così. E lo spettacolo più bello Rigo lo ha dato prima di suonare. E’ lì che mi ha steso. Si è seduto con Pellati e quell’altro. Di fianco a me, si son seduti. Non volevo mica origliare, o forse sì. Comunque… non sentire era impossibile. E il tipo del locale è arrivato e gli ha chiesto se andassero bene una piadina e una birra. Loro hanno detto di sì. Il tipo del locale allora ha dato loro dei buoni per bere, che quando suoni nei posti un poco sfigati ti danno i buoni per bere. Ricordo che gliene ha dati meno di quelli che aveva dato a noi e loro non hanno battuto ciglio, si sono presi i loro due buoni a testa, di cui uno durante la piadina e poi ridevano e scherzavano, parlavano tra loro della musica che avrebbero suonato di lì a poco. Io, che non so se vi ricordate vi ho già detto all’inizio che sono uno snob, un fighetto, uno che viene dall’indie e tutte quelle robe lì, mi sono detto che in anni di concertini sfigati come i miei avevo visto suonatori che non erano nessuno fare delle menate vergognose per un paio di buoni birra. Non escludo di averle fatte pure io, qualche volta.

Ebbene, vedere uno che dieci giorni prima suonava di fronte a centinaia di migliaia di persone, che aveva fatto le tournée negli stadi e tutte quelle robe grosse lì e che adesso si sedeva a mangiarsi la sua piadina pensando solo a “Che figata che stasera suoniamo, dai dai dai dai” in una maniera che glielo leggevi proprio in faccia, beh è stata una bella lezione. Ci ero rimasto talmente di sasso che la mia boria ha straripato e sono andato subito dal tipo del locale, che è un mio amico, e gli ho detto “Oh, ma quanto gli dai di cachet a Rigo, Pellati e a quell’altro?” e non mi ricordo quanto mi ha detto, ma mi ricordo che gli dava gli stessi soldi che aveva dato a noi. Con la differenza che loro avevano tirato qualche persona in più, perché ovviamente se fai gli stadi e suoni davanti a delle migliaia di persone di continuo un motivo ci sarà. Io dopo ho incontrato Rigo altre volte, anche se non abbiamo mai suonato insieme. Ma ‘sta cosa non gliel’ho mai confessata.

L’ultima volta che ci siamo visti è stato a vedere Bob Dylan a Milano. Sono lì che aspetto e ad un certo punto vedo Rigo Righetti che passa. Penso “Adesso vado a salutarlo” solo che mi ferma un tipo che conosco e TAC!, mi torna a fregare il bastardo. Si, perché mi ha salutato prima lui. Che sembra poco, ma invece non lo è, che io se avessi suonato davanti a centinaia di migliaia di persone per un casino di tempo come lui secondo me mi salutereste sempre tutti prima voi. A dirla tutta, probabilmente dovrei girare con dei mattoni ai piedi per non camminarvi sopra e pisciarvi sopra la testa dal gran che sono uno stupido pallone gonfiato pieno di boria. Invece a lui no, a lui volare basso gli viene così. Che bastardo, certa gente ha tutte le fortune. Pensa che oggi non mi sta più sulle palle neanche Ligabue, anzi mi sta simpatico. Oddio, continuo a pensare che abbia canzoni che in linea di massima sono piuttosto deboli e poi non ho mica capito perché adesso non suoni più con Righetti, Pellati, Previte e abbia preso tutti quei musicisti americani che tanto poi quando parte una canzone alla radio di Ligabue sembra che suoni sempre uguale.

Forse però è stato meglio così. Non per Rigo, magari. Perché secondo me suonare con il Liga gli faceva comodo mica poco. Però è stato meglio per tutti noi, così che lo possiamo incontrare da vicino anche quando suona, che possiamo vederci uno che canta e suona con una passione che neanche un ragazzino, perché ha capito cosa fa e perché. Perché il segreto è tutto lì. Capire chi sei, cosa fai e perché. Trovarsi. Trovare l’essenza, come direbbe Battiato. E a volte uno se vuole ritrovare l’essenza in quello che fa, ritrovare sé stesso, mica c’è bisogno che vada che ne so… in India o da che non so che santone. Perché le grandi verità della vita, stanno nascoste nei posti più assurdi. Tipo tra una piadina e una birra.

(Stasera, 15/5/2014, ho fatto una serata con Rigo Righetti dove abbiamo chiacchierato di musica e letto alcuni brani dai suoi libri e dal mio blog. Io ho letto anche questo qui, a sorpresa. Ed anche se non le ho viste, direi che debba essere stato piuttosto divertente vedere le nostre facce, la mia e la sua, mentre leggevo)

Il concetto del primo maggio (Numero 2)

Ieri sono stato a Reggio Emilia. C’era il concerto di Eugenio Finardi, per la festa del Primo Maggio. Il concerto era preceduto da discorsi fatti da sindacalisti.

Sono arrivato che i discorsi erano in corso. C’era una piazza con gente che parlava dei cavoli propri, lontana dal palco. Nessuno ascoltava quello che avevano da dire. Io ho provato a farlo, ma dopo due minuti mi stavo addormentando. Ogni tanto provavo a buttare l’orecchio, ma passavano altri due minuti e mi stavo addormentando. Mi sembrava parlassero una lingua straniera, una specie di politichese dove dicevano le solite cose da sindacalisti o da politici, una serie di paroloni retorici che ti fanno venire sonno e che non riesci minimamente a far calare nella tua realtà lavorativa. Parole tipo “Rimettere al centro il lavoro”, cose così.

Davanti al palco c’erano delle bandiere che sventolavano. Sventolavano di continuo, tutto il tempo. Erano disposte a distanze in base alle quali se uno veniva da lontano sembrava una gran folla in mezzo allo sventolio, però se ti avvicinavi erano quattro gatti. Non so, saranno state trenta persone a sventolare, di continuo. Poi c’era un gruppetto più nutrito che aspettava che iniziasse Finardi ed era sotto il palco per quello.

Ad un certo punto hanno fatto partire “Bella Ciao”. Non la versione delle Mondine, la versione partigiana. Poi una tipa ha tentato di dire “Grazie” alla piazza. Le ci è voluto un poco perché il microfono era spento, poi alla fine l’hanno acceso e ha detto una cosa del tipo “Grazie ai partigiani che hanno fatto sì che ci fossero giornate come questa”. Dovessi tradurre in quello che in realtà ho pensato io era più o meno un “Visto che se mettiamo l’Internazionale ci prendono per il culo e probabilmente hanno pure ragione, cosa ne dite se mettiamo Bella Ciao, così ci attacchiamo il 25 Aprile che in fondo era solo la settimana scorsa e così riusciamo a fare una bella figura?”. A quel punto le bandiere con gli sbandieratori hanno sbandierato più forte, poi come è finita e doveva cominciare Finardi di colpo le bandiere non hanno più sventolato, si sono tutte abbassate quasi come se fossero state spente da un telecomando. A esser maligni sembrava che fossero state sbandierate da tipi a comando ai quali fosse stato detto di sbandierare a manetta in favor di eventuali telecamere e far sì che sembrasse che in piazza ci fosse tanta gente, che così le dichiarazioni dei politici e dei sindacalisti locali sui giornali locali fossero giustificate.

Quando ha cominciato Finardi invece ci siamo un poco tutti avvicinati al palco e a quel punto eravamo proprio di più, a stare attenti a quel che succedeva sul palco.

Non so bene perché ho voluto raccontare questa cosa. So solo che per me vuol dire qualcosa, anche se non so bene cosa.

IL CONCETTO (del primo maggio)

Una volta, il primo maggio di qualche anno fa, stavamo andando a vedere un nostro amico al pronto soccorso che era caduto in moto. Io e mia moglie stavamo ascoltando alla radio il concerto del primo maggio. Stava suonando Caparezza. Ad un certo punto arrivò la presentatrice di turno e disse che dovevano dare la linea al tg3. Caparezza e i suoi vennero fatti scendere dal palco e dopo il tg3 suonarono i pezzi mancanti, stando a quello che dicevano gli speaker radiofonici.

C’erano qualcosa tipo cinquecentomila persone, un numero di quelli lì che non riesci neanche a quantificarlo. Una folla enorme.

Però il concerto si doveva interrompere. Tutta quella folla che saltava e ballava e si divertiva come pazzi dovette fermarsi, perché se non c’era la televisione non esisteva.

Quando tornò la tv il concerto riprese e la folla saltava cantando “Chi non salta Berlusconi è”, mostrava le bandiere del Che, i presentatori dicevano che loro erano dalla parte dei lavoratori, tutte quelle robe lì.

Il pubblico quando veniva inquadrato salutava la tv con la manina, come se li avessero accesi di colpo. A parte le bandiere rosse e quelle robe lì sembrava di essere al Festivalbar negli anni 80.

I cantanti quando salivano su dicevano “ROMAAAAAAAAAA” e “SIETE TANTISSIMIIIIIII”.

Avrebbero dovuto dire “Siete tantissimi, ma non contate un cazzo”.