Informazioni su Giancarlo Frigieri

uno che suona la chitarra e canta

Il giorno del disco.

Oggi è la giornata dei negozi di dischi.

Se c’è una cosa che ho capito in tutti questi anni è che “la giornata del (riempite lo spazio)” si fa quando una cosa non c’è più e bisogna inventarsi una “giornata del (riempite lo spazio)” altrimenti la cosa che avete messo nel “riempite lo spazio” non ce la fileremmo mai e poi mai.

In questo modo c’è chi non se lo ricorda mai e va alla caccia del “riempite lo spazio” con enfasi, pronto a salvare il “riempite lo spazio” dal resto del mondo cattivo.

Ieri sera ho letto una bella intervista a Maurizio Blatto, uno che scrive e che ha un negozio di dischi. Ha fatto un libro chiamato “L’ultimo disco dei mohicani” che è più o meno la versione italiana di “Alta fedeltà” e devo dire si legge che è un piacere. In questa intervista Blatto dice che odia il “Record Store Day”.

A me è capitato solo una volta di essere in un negozio durante il “Record store day” e ho visto quelle facce un poco saputelle dei clienti che vengono in negozio solo quel giorno a comprarsi una stronzata, guardando il negoziante un poco con quella faccina da saputelli che vengono a farti un favore e solo per il fatto di essersi presentati in negozio un giorno all’anno vorrebbero pure un “grazie”, magari. “Altrimenti col cazzo che mi rivedi l’anno prossimo” sembrano dirti, hanno quella faccia che nei legal thriller americani hanno gli avvocati dei cattivi quando sembrano averti in pugno a tre quarti del film. Il negoziante ha la faccia dell’avvocato eroe del buono, solo che è rassegnato perché difficilmente troverà la soluzione del caso mentre guarda un sottobicchiere in un bar del Kentucky per una trovata del regista.

Blatto l’idea geniale l’ha trovata. L’ha trovata guardando i vecchi 45 giri che non voleva mai nessuno a 50 centesimi. Ci ha scritto sopra “Esclusiva Backdoor record store day 2013” (“Backdoor” è il nome del suo negozio a Torino) e poi li ha esposti in bella vista.

Un sacco di gente li ha comprati, diventandone di colpo avida.

Non so cosa voglia dire, so solo che la cosa mi sta facendo riflettere.

So che ho pensato che prima o poi arriveremo pure a un “Small Club Concert day”, dove una volta all’anno suoneremo davanti ad un locale pieno che ci segue con attenzione, perché quel giorno devono concedercela a noi canzonettisti. Quel giorno non parleranno di cazzate, non sorseggeranno gli spritz a 6 euro l’uno facendoti una foto con lo smartphone per poi dire “Io c’ero” oppure si limiteranno a non farsi mai e poi mai vedere per poi dire di continuo quanto è importante la musica per loro e che è un peccato che i piccoli club chiudono e che è uno scandalo che la musica in Italia sia in mano a quei talent show che peraltro guardano tutte le settimane conoscendo a memoria concorrenti, giudici, pettinature, battibecchi e così via.

Già ho il terrore delle facce che troveremo una volta scesi dal palco. Intanto vado a vedere su google qualche bar nel Kentucky, non si sa mai…

…soltanto per confondere la gente.

Vent’anni fa, poco dopo il suicidio di Cobain, uscì la versione italiana della biografia dei Nirvana di Michael Azerrad chiamata “Come as you are – The story of Nirvana”. Un libro che comprai subito, lo conservo ancora bello sgualcito, l’ho letto e riletto alla nausea, l’ho tenuto sulla vasca da bagno davanti al cesso per una vita, poi l’ho prestato che lo sapevo a memoria e poi l’ho ripreso dopo un paio di anni che lo avevo prestato e l’ho rimesso sulla vasca davanti al cesso per altri non so quanti anni, ne leggevo dei pezzetti e lo sapevo sempre più a memoria. Raramente mi capitava di capire benissimo quello che l’autore in una biografia volesse dire tra le righe e mai più mi capitò come in quella biografia, che descrive benissimo i pregi e i difetti della musica di quei perdenti che ascoltavano quelle cose lì tra la fine degli anni 80 e la metà degli anni 90. Tutta quella ricerca della purezza e il dogmatismo che ne derivava, l’iconoclastia spinta derivata dal punk che provava a trasformarsi in libertà fino a implodere in un colpo di fucile che qualcuno si era infilato in bocca per noi, anche se non voleva rappresentare nessuno che non fosse sé stesso, esattamente come ognuno di noi voleva essere unico e non una pecora di un gregge.

C’era un passo che raccontava di quando un giovanissimo Cobain, insieme a Buzz Osborne e ad un tale chiamato Steve Shillinger andavano a disegnare graffiti con lo spray, scrivendo frasi come “Abortisci Cristo” e altre cazzate del genere.

Azerrad dice che Cobain a volte scriveva apposta cose senza senso come “amputate gli acrobati” oppure “Boat Akk” solo per confondere la gente.

Questa cosa mi ha sempre fatto molto ridere e l’ho sempre trovata molto significativa, non so spiegare esattamente perché.

Da qualche anno vado in vacanza a Venturina, in provincia di Livorno. Lì vicino c’è una strada che va da Campiglia Marittima fino a vari paesi limitrofi. Se si va in direzione di un paese chiamato CAFAGGIO, proprio quando da Campiglia vedi il cartello con scritto CAFAGGIO, c’è una cabina dell’Enel.

La prima volta che ci sono passato, tre anni fa, ho visto due scritte fatte con lo spray. Dicevano “AMPUTATE ACROBATS” e “BOAT AKK”.

Ricordo di aver riso moltissimo e di aver pensato che magari, in una di quelle case lì vicino, c’era una copia di “Come as you are – The story of Nirvana” nella vasca davanti al cesso, sgualcita.

Non mi ricordo neanche più perché volessi raccontare ‘sta cosa. Ma anche quest’anno andrò a vedere se la scritta c’è ancora.

Musica, giornali,web. Una bella cosa che mi è successa.

Si dice spesso che le riviste che parlano di musica siano, come tutte le riviste in generale, sempre più in crisi. D’altro canto in rete possono scrivere tutti e quindi proliferano le fanzine ma la qualità della scrittura spesso si abbassa drasticamente. Tutte cose che abbiamo già sentito più volte, non so fin quanto vere.

La cosa che mi ha sempre lasciato perplesso delle fanzine sul web è il loro voler essere delle scimmiottature delle riviste tradizionali. Credo che se uno vuole farsi leggere debba cercare di proporre qualcosa che sia un minimo diverso dalla classica rivista e invece siamo pieni di webzine che prendono le agenzie per dare le notizie e fanno i copia e incolla, fanno le recensioni dei dischi che possono stare in una colonna come se fossero riviste, fanno le interviste di rito mandando un file di word con dieci domande e magari ti tagliano pure le risposte perché sono “troppo lunghe”.

Strano perché sul web in teoria lo spazio non manca, anzi.

Però la soglia di attenzione, l’hype, quelle cose lì. Finiscono per fare una rivistina in miniatura, spesso senza adeguata professionalità. E infatti dopo non molto vengono trascurate, principalmente per mancanza di lettori e per conseguente frustrazione degli scrittori, esattamente come accade ad un gruppo che si fa il culo come una capanna e vede che ai propri concerti ci sono venti idioti che bevono lo spritz chiacchierando senza ascoltare una mazza e poi commentando il concerto sui socialcosi come se lo avessero ascoltato. Li chiamano come quelli che andavano a sentire il Be Bop, ma sarebbe ora di cominciarli a chiamare con il loro nome.

Il sottoscritto, al giro promozionale di “Togliamoci il pensiero” aveva pensato, per ovviare a questa monotonia del giro di interviste da dieci domande con le stesse identiche domande sempre, di fare una cosa particolare. L’intento era fintamente provocatorio, in realtà avevo voglia di riuscire a parlare dell’album in maniera compiuta. Per quella volta feci le “interviste alla rovescia”, su idea del Dottor Manicardi. In pratica intervistavo io i giornalisti, così avrei evitato domande del tipo “Quali sono le differenze tra questo disco e i precedenti?” (“Siamo entrati in studio camminando all’indietro” dei Mudhoney, rimane la risposta del secolo a questa domanda) oppure “Cosa credi che manchi alla scena musicale italiana per crescere?” (“Se lo sapessi no spedirei piastrelle, credimi” sarebbe l’unica risposta onesta e invece sono talmente ipocrita che non l’ho mai data).

Beh, non funzionarono, le interviste alla rovescia. Dopo un poco mi resi conto di quanto sia mortalmente noioso fare domande su un disco a perfetti sconosciuti o quasi e dopo poco tempo mollai l’iniziativa. Mi dissi anche che i giornalisti musicali e i fanzinari, che ti fanno interviste a nastro a te e a tutti, sono veramente dei martiri, fanno un lavoro noiosissimo.

Negli ultimi tempi non sono mancate le boccate di aria fresca. Trovo che un blog come BASTONATE, ad esempio, faccia spesso le uniche interviste che vale la pena leggere. Il tono è colloquiale, sono chiacchierate e non hanno paura di chiedere “Ma com’è che suoniamo tutti da vent’anni e abbiamo ancora le pezze al culo?” invece che “Cosa manca alla scena italiana…” e questo genera risposte interessanti e autentiche, spesso. Ragion per cui ogni tanto escono queste interviste che sono lunghissime, ma si leggono così bene che a confronto le mini interviste di 3 domande di Vanity Fair sembrano noiose come un’enciclopedia.

E’ successo di recente che la rivista (fanzine, webzine, chiamatela come cazzo volete) chiamata SENTIREASCOLTARE, che opera sul web da tempo, mi abbia recensito molto bene “Distacco”. In seguito a questo, Stefano Solventi mi ha chiesto, invece di fare la consueta intervista a pappetta, di scrivergli qualcosa sul disco. Mi ha detto che potevo scrivere tutto quello che volevo, senza limitazioni, dovevo raccontargli tutto. Mi ha detto che avrebbe pensato lui poi a sfrondare qui e là e a inserire commenti a quello che raccontavo. A quel punto ho accettato.

A chiunque fa piacere raccontare della propria musica.

Ho scritto qualcosa come sette pagine fitte di word, lui ha tagliato a destra e sinistra e poi ha inserito i suoi commenti. Gli avevo chiesto, prima di pubblicarlo, di mandarmi il file definitivo, giusto perché a volta tagliando qui è là magari finisce che uno, anche senza volere, estrapola frasi dal contesto e chi si ritrova a leggere poi capisce il contrario. Ieri sera mi è arrivato il file, l’ho letto, Solventi ha fatto un buon lavoro.

Dice che ha dovuto un poco discutere per farlo pubblicare, perché anche se lui ha comunque tagliato parecchio è venuta una cosa bella lunga per gli standard ai quali è abituata l’editoria musicale. Dice che gli hanno detto che sai com’è, la soglia di attenzione e l’hype attorno a un disco e blah blah blah.

Beh, io volevo complimentarmi con lui e con il suo direttore per avere avuto le palle di fare una scelta del genere. Credo che se la facessero per tutti gli italiani che recensiscono bene, dando loro la possibilità di raccontarsi compiutamente, a quel punto cresceremmo davvero. Magari non come pubblico, magari non saremo fighi e alla moda, ma saremmo cresciuti, così come da bambini si diventa ragazzi e poi, finalmente, adulti.

A giorni la lettura.

2001 – Odissea nel profumo

Abbiamo un deodorante per ambienti in casa. Di quelli che vanno da soli. Quelli che ci infili la fragranza e ogni tanto fa un rumorino e ZUFF!!! Fa lo spruzzo e deodora l’ambiente.

Nota: io quando sento che un commesso dice “la fragranza” lo guardo sempre fisso negli occhi e poi penso “Dai, cazzo. Ridi, stai resistendo ma adesso ridi!!!”.

Dicevo, abbiamo questo coso della Johnson & Son o qualcosa del genere, che ha comprato mia moglie (Lo comprano SEMPRE le donne una cosa così, per noi uomini “deodorare l’ambiente” in genere significa fare un rutto o toglierci le scarpe) e ci ha messo la fragranza denominata ZEN.

Ogni tanto il coso va da solo. Parte quando gli passi davanti, specialmente nel cuore della notte facendoti venire un infarto, e ZUFF!!!. Poi non è che si ferma, lo fa altre “n” volte e non abbiamo ancora capito quando smette e con che criterio. A volte se accendiamo la luce parte e ALEEEE”’, vai col liscio.

Dopo due minuti c’è un odore molto ZEN che però fa schifo, il tutto causa risate mica da ridere, scusate il calembour.

Di recente gli abbiamo dato un nome. Siamo soliti dare un nome alle cose, in casa nostra. Lo abbiamo chiamato HAL 9000, visto che ormai è completamente autonomo.

Stasera HAL 9000 è partito dopo la visione di un film a sputazzare fuori tutto il suo ZEN, fin quando la mia signora non si è decisa, preda dei miasmi del robo, a togliere la pila.

Attendiamo ulteriori sviluppi.

(Nel frattempo, ascolto consigliato, il Requiem di Ligeti:
https://www.youtube.com/watch?v=wawSCvuGj4o)

La moda dello zero.

Non so quando sia successo e non lo voglio neanche sapere.

Non so chi sia stato il primo e non lo voglio neanche sapere.

La DATA ZERO.

Una volta quando cominciavi un giro di concerti, gli davi un nome e morta lì. Cominciavi e finivi.

A dirla tutta, già qui ne approfittiamo parecchio, chiamando TOUR una cosa che comprende un numero minimo di due date per le quali torniamo a dormire a casa e tra la prima e la seconda passano quattro settimane.

Poi è partita la moda della DATA ZERO.

Cosa vuol dire DATA ZERO? Quando cominci, cominci.

E’ il PRIMO GIORNO DI SCUOLA. Il PRIMO GIORNO DI LAVORO. Il PRIMO (riempite voi lo spazio).

DATA ZERO a me sembra: 1) Che non sei sicuro di quello che vuoi fare e magari se poi viene male ti puoi tirare indietro 2) Un film di fantascienza degli anni ’70 3) Un album perduto dei Kraftwerk o dei Devo 4) Non so se avete fatto caso che anche questo elenco del cavolo comincia da UNO e l’avete trovata una cosa normale.

DATA ZERO? Beh, se si paga un biglietto io vorrei costasse tanto come la data.

(Domani 8 Marzo, festa della donna, suono a Soazza, in Svizzera. E’ la prima volta che suono in Svizzera, da solista. PRIMA. UNO. Oh)

Ad Arceto

Suono sia il primo marzo che il due marzo. Il due marzo inizio alle 19. La data è stata aggiunta perché il posto non è molto grande e le richieste superavano i posti, che son soddisfazioni. Non lo abbiamo scritto sul sito perché io queste cose qui non le so mica fare e il Dottor Manicardi invece ha avuto una settimana molto impegnativa, che lui fa un lavoro serio, lavora in una ditta di attrezzature ospedaliere e quindi se ad esempio andate a fare una dialisi e tutto funziona bene è un poco merito suo, quindi ho deciso di non menargliela più di tanto per questo fatto.

Anche se, detto per inciso, adesso legge questa cosa qui e secondo me si incazza, che pensa che ho voluto fare la pugnetta a dirvelo a tutti e invece era solo per completezza di informazione. E’ un brav’uomo il Manicardi, vogliategli bene.

Il Banco vince

A me il Banco non ha mai detto nulla. Non che non mi piacciano tante cose di rock progressivo, ma il Banco non mi ha mai detto niente di speciale. Ci ho anche provato. Ho comprato il disco con il salvadanaio ma niente. L’ho rivenduto. Non è una cosa che faccio spesso. Un mio amico e fan che ama molto il Banco mi ha scritto sull’onda dell’emozione per la scomparsa di Di Giacomo. Gli ho chiesto di poter pubblicare quello che mi aveva scritto. Mi ha detto di si, ma non voleva che facessi il suo nome. Lo pubblico qui sotto perché quando mi è arrivata questa mail mi sono pentito di aver rivenduto il disco con il salvadanaio e quando una mail fa questo effetto secondo me è una bella cosa. Eccola:
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Non è facile da spiegare.

Tensione pazzesca e delicatezza insieme, nello stesso brano. E nelle stesse persone, quando li vedevi suonare dal vivo. Da sotto il palco tu lo sentivi, fisicamente, il piacere che loro provavano a suonare. Quando per divertirti non hai bisogno di fare stronzate, quando il divertimento sta nel fare bene quello che stai facendo. A 25 anni trovare tanta energia e passione in persone di 50, per me era qualcosa di assurdo, una roba inspiegabile. Allo stesso tempo è come essere preso a calci in culo ogni volta che non ho la motivazione per continuare a suonare io.

Ti parlo soprattutto dei primi dischi: Salvadanaio, Darwin, Come in un’ultima cena, e anche Canto di primavera ha due o tre pezzi interessanti.
Quelli degli anni ’80 non li ho mai ascoltati. Ho controllato la discografia adesso e ci sono almeno quattro o cinque album di cui non sapevo niente di niente, nemmeno i titoli. Non hanno mai fatto neanche uno di quei pezzi nei concerti a cui sono stato.

Sicuramente dipende anche dalla provenienza geografica. I castelli romani sono posti bellissimi da vedere, ma almeno in quello dove ho vissuto io il tessuto sociale è veramente una merda. Ecco, il fatto che un gruppo del genere sia uscito da quei paesi e da quei licei, per me che ci sono cresciuto è qualcosa di molto simile a un miracolo.

Francesco poi era incredibile. Durante i passaggi strumentali (lunghissimi, praticamente metà del concerto) se ne stava in un angolo e tu dovevi metterti a cercarlo con lo sguardo, se volevi sapere dov’era. Poi a un certo punto, quando mancavano 15-20 secondi alla prossima parte cantata, sbucava fuori e lo vedevi
avvicinarsi al centro del palco. Arrivava pianissimo, zoppicando. Certe volte avevi la sensazione che non ce l’avrebbe fatta in tempo per attaccare, ti veniva quasi da urlargli “Cazzo, sbrigati!” mentre gli altri suonavano.
Invece arrivava. Quando toccava a lui, lui c’era: apriva la bocca e ti rovesciava in faccia la sua musica, le sue parole. Tu lo sentivi, non potevi non sentirlo, e di colpo ti sembrava di essere tu quello brutto, basso, grasso, calvo e sciancato, e lui diventava un dio greco.

Mai presuntuoso, mai una frase sopra le righe, mai un atteggiamento del cazzo.
Solo voce, grinta e qualcosa da dire.
La musica è questo, nient’altro. Vaffanculo ai maxischermi, le ballerine, i coriandoli e i fuochi d’artificio.

Quella che oggi compie gli anni

Quella che oggi compie gli anni aveva lavorato tutto il giorno, era uscita dal lavoro e senza neanche passare da casa era montata in macchina che veniva a sentirmi suonare in un paesino della Val di Chiana chiamato CIGGIANO. E’ un paesino remotissimo, dove suonavamo con la seconda incarnazione dei Joe Leaman. Era un periodo che le cose non ci andavano mica tanto bene e io iniziavo a suonare con sempre meno voglia, che avevamo ogni volta meno gente davanti e finiva che i concerti memorabili, carichi o anche solo dove saltava fuori l’entusiasmo erano sempre meno.

Quella sera lì, nel paesino disperso della Val di Chiana, ci saranno stati in dieci. Si facevano bellamente i cazzi loro, si vedeva che avevano organizzato questa cosa ma a parte ai due che avevano organizzato a nessuno degli altri 8 fregava nulla, probabilmente.

Mangiammo e poi salimmo sul palco. Nel momento esatto in cui dovevamo salire stavamo dietro, io e gli altri due, a parlocchiare e dire cazzate. Avevamo la faccia spenta e rassegnata di chi sta andando a fare il compitino. A me scappò anche uno sbadiglio, probabilmente.

Quella che oggi compie gli anni a quel punto arrivò incazzata come una iena dietro al palco e mi chiamò in un angolo e poi mi disse, parola più parola meno, quanto segue:

“Allora, io oggi sono passata dal negozio alla macchina e ora sono qui, sono stanca e sporca ma l’ho fatto solo per stare con te e per sentirvi suonare. E tu cosa fai? Monti su sbadigliando e cazzeggiando? Come me ci sono altre dieci persone. Non me ne frega un bel cazzo di niente se sono dieci cretini che ascoltano RTL e non capiscono un cazzo di musica. Sono quelli che ti meriti oggi, altrimenti ce ne sarebbero altri e di più. Quindi tu adesso, per rispetto di questi qui e anche per rispetto mio, che mi sono fatta un culo come una capanna e sono in piedi dalle 7 di stamattina, vai su e SPACCHI IL CULO, fai un concerto della madonna o quantomeno CE LA METTI TUTTA e solo quando sei venuto giù alla fine e ce l’hai messa davvero tutta potrai dirmi che non è andata bene, ma prima tu lo fai. ORA! Altrimenti tu non mi vedrai mai più tra il pubblico quando suoni e quando mi chiederanno come sei a suonare io dirò che sei un cazzone che suona solo per fare il fighetto davanti agli altri e che non ti viene a sentire nessuno, perché in fondo sei uno sfigato di merda. Adesso muoviti, vai su e facci sentire cosa sai fare!”

Se devo dire un momento della mia vita nel quale ho capito cosa volevo dalla musica e cosa dovevo fare con la musica, oh…è stato quel momento lì. Quelli che mi conoscono questa storia qui l’hanno già sentita mille volte.

Quella che oggi compie gli anni non riceverà mai un regalo del genere. A me ci sono delle volte che anche ad averla sposata mi sembra di non averle dato abbastanza. Però vi assicuro che da quel momento lì ce l’ho sempre messa tutta. Sempre. E sempre lo farò.

Auguri, Cri.

Freak

La prima volta che ho visto Freak Antoni non mi ricordo quanti anni avessi. Secondo me facevo le scuole medie, ma potrei sbagliarmi di qualche anno. Faceva uno spettacolo con il “Gran pavese Varietà”, che era tutta la ghenga che poi di lì a poco ci saremmo ritrovati su “Lupo Solitario”, trasmissione di Italia 1.

Uscì e recitò una poesia che diceva

“Non sanguinarmi davanti
sai che sono un ragazzo
particolarmente sensibile
se proprio devi sanguinare
fallo sul retro
magari in cucina.
Grazie”

Non ho mai capito se quel “grazie” fosse parte del testo della poesia o un ringraziamento al pubblico. Mi ero sempre ripromesso di chiederglielo quando l’avessi incontrato di nuovo. Invece le successive volte che ci ebbi a che fare non glielo chiesi mai. Avevo paura della risposta, forse, che Freak Antoni dava di quelle risposte che mica sapevi mai come ci saresti rimasto.

Adesso non glielo potrò più chiedere. Pensa te.