Informazioni su Giancarlo Frigieri

uno che suona la chitarra e canta

Il voto è segreto

Mia madre (si, proprio quella che si metteva alla finestra a urlare) una volta quando ero piccolino mi porto con sè a votare. Non capivo cosa dovesse votare, lei mi spiego che erano le elezioni, che si andava a votare chi governava il paese, che c’erano i partiti e che ogni tanto c’era un giorno che dovevi andare a votare. Quindi prendemmo la macchina e andammo. Io non potevo votare, mi spiegò. Non avevo ancora 18 anni. Quando avrei avuto 18 anni avrei potuto votare anche io. Arrivati al seggio elettorale aspettammo in fila, poi ad un certo punto mia madre (proprio quella che si metteva alla finestra a urlare) mi disse che dovevo aspettarla lì (immaginatevi una panchina con un carabiniere) che quando si votava si votava da soli, non si poteva entrare in due. Lei entrò e due minuti dopo ce ne andammo. Io, mentre aspettavo, avevo dato una guardata a tutti i simboli dei partiti con le liste appese ai muri e così quando mia madre (si, proprio quella che si metteva alla finestra a urlare) uscì le chiesi subito, ad alta voce come fanno i bambini “Mamma, chi hai votato?”. Il modo in cui rispose me lo ricorderò sempre. Mi disse “Shhhh. Il voto è segreto.”

Nel corso degli anni, a parte brevi periodi di infervoramento che penso siano fisiologici (alle elezioni del 1994 quando vidi il coso “scendere in campo” persi la testa, lo ammetto. Niente ti rende forte un’idea come un nemico. Ci ho fatto pure una canzone sopra, per fare ammenda) uno dei più grandi complimenti che mi son sentito fare è stato “Ma te per chi voti? Perché non l’ho mica capito”, cosa che mi viene ripetuta sempre più spesso in periodo elettorale e della quale mi vanto pure un poco, perché la vanità è un difetto che chi monta su un palco ha in un qualche cromosoma, probabilmente. A questa domanda io in genere rispondo come mi rispose mia madre. “Il voto è segreto” cari miei.

Ecco, invito tutti quelli che cominciano a stra-fracassarmi il cazzo (scusa mamma, lo sai che dico le parolacce) con le tribune elettorali da bar, oggi estese anche sui socialcosi in discussioni e liti più sterili di una garza in un ospedale, di piantarla e di tenere la bocca chiusa. Il voto è segreto e se non siete capaci di mantenere un segreto, allora di voi non ci si può fidare granché.

Qui le domande le faccio io: Intervista alla rovescia ad ENRICO TALLARINI (Osservatori Esterni)

Enrico Tallarini l’ho conosciuto all’estero. Ero a San Marino. Lui e Anita Magnani realizzarono un video reportage di un mio concerto al “Localino del Giulietti” che potete vedervi su OSSERVATORI ESTERNI, la webzine dove Enrico scrive. Poi l’ho incontrato altre volte. Mi è venuto a vedere suonare 3 o 4 volte, non ricordo esattamente. Una volta ha scritto che sono “alto e magro”. E’ la più bella cosa che abbiano mai scritto di me. Nel senso che quando nella vita sei stato un obeso, come sono stato io, vedere scrivere che sei alto e magro è una bella soddisfazione. Vado a mangiarmi una pasta alla crema, così metto su chili.

La recensione dell’album è qui: http://www.osservatoriesterni.it/novita/giancarlo-frigieri-togliamoci-il-pensiero

Eccovi l’intervista. Io domando, Enrico risponde

1. Hai parlato di “pugno nello stomaco” per definire il brano conclusivo dell’album (Criceti). Spiegami meglio.
Non “pugno”, ma “cazzotto nello stomaco”, che fa ancora più male.
“Perché per domare un uomo non c’è metodo migliore che farlo lavorare ogni giorno sulle nove o dieci ore.” Non è per pigrizia, ma c’è davvero poco da spiegare. Facciamola ascoltare a un operaio che ha passato gli ultimi quarant’anni della sua vita a fare qualcosa che non gli piace fare e vedrai che cazzotto che gli arriva. Spesso si passa il tempo a scivolare, perché le domande fanno male e spesso come risposta danno: “hai sbagliato tutto”. Ecco, “Criceti” più che la risposta è la domanda. Ma è la risposta che è la stessa.

2. Quand’è stata l’ultima volta che ti sei davvero vergognato in vita tua? Ti va di raccontarcelo? Ma non una vergogna di cinque minuti. Intendo una roba che a pensarci ti brucia ancora adesso.
Guarda, potrà sembrare strano ma è da diverso tempo che ho smesso di vergognarmi, di qualunque cosa. Cerco di esorcizzare ogni aspetto che mi riguarda, compresi handicap, problemi e debolezze, senza tabù o filtri di sorta. È una delle cose di cui vado più fiero. E poi basta guardarsi in faccia per capire che non c’è niente di cui vergognarsi, che facciamo tutti schifo allo stesso modo.

3. Parlando dopo un concerto, mi avevi detto che ti eri un poco disilluso sulla scena musicale indipendente (o come dico io, la “messinscena indipendente”). Mi dici, pane al pane e vino al vino, le tre o quattro cose più patetiche e ridicole che hai incontrato lungo il cammino dello scrivere di musica?
La più patetica, una telefonata di prima mattina per chiedermi di ammorbidire una recensione non proprio entusiastica di una band spalla a un concerto di un cantautore inglese piuttosto famoso, che era di una bruttezza tale che quasi andrebbe preservata. Hanno anche minacciato di dare fuoco alla mia macchina (la band un’altra ma il motivo lo stesso). Per il resto niente, cerco di restare fuori il più possibile dalla scena (?), anche perché da buon claustrofobico evito i circuiti chiusi . Senza una ragione precisa. Solo che odio le scene e resto indifferente alle mode. Preferisco ascoltare Paolo Conte, tanto per dirne uno, più indipendente di tutta la scena indipendente messa assieme.

4. Quanti sono gli “Osservatori esterni”?
Siamo sei, più vari collaboratori e “osservatori” occasionali. Siamo pochi ma siamo ovunque, come le malattie veneree.

5. Perché si scrive di musica? Mi dici un giornalista italiano musicale che ti ha influenzato quando hai cominciato?
Il perché non te lo so proprio dire. Forse “perché non avevo niente da fare”, tanto per citare Tenco, che le citazioni fanno sempre il loro effetto. E comunque è nato tutto per caso. Non faccio altro che ascoltare dischi e andare a concerti da quando ho quindici anni. Lo facevo prima, e lo faccio adesso, con lo stesso piacere.
Detto questo, l’unico giornalista musicale che mi viene alla mente, anche se non credo abbia avuto poi tutta ‘sta influenza, era Zombie Kid, alter ego di nonsochi che aveva una rubrichetta stronca-demo sul Rumore di una decina di anni fa.
Puniva e massacrava i demo di giovani band e mi faceva ridere. L’unico vero stroncatore di classe che abbia conosciuto, non a caso sotto falso nome.

6. Mi trovi un difetto nel mio disco? Argomentando, chiaro.
Adesso che scrivo mi trovo in Emilia. Il tuo disco è a più di trecento chilometri da qui. Ma se non ne ho trovati al tempo della recensione, non vedo perché dovrei trovarne ora.

7. Mi trovi il pregio del mio disco che non trovi in nessun altro disco? Sempre che ci sia, chiaro.
Vedi sopra.

8. Lo sai, vero, che nella recensione hai scritto “WALZER” per dire “Valzer”? E mi spieghi in che pezzo suono un valzer? (Se dici “Il nemico”, sappi che è una beguine, stavolta ti ho incastrato).
Potrei entrare subito in amministrazione e cancellare per sempre ogni traccia di questo refuso. Anzi, l’ho fatto.

9. Sull’onda della domanda precedente. Ma non pensi che per scrivere di musica un pochino di musica a livello teorico, anche solo una piccola infarinatura sia necessaria? Altrimenti a cosa si guarda? Quali sono gli elementi che ti fanno dire “Questo si, questo no”?
Allora, anche no, dipende da come la si vede e la si propone. Osservatori Esterni nasce con l’intento di staccarsi da una visione tecnicistica e assolutistica del trattare la musica, il cinema e compagnia artistica.
Siamo prima di tutto appassionati, e di conseguenza preparati. E questo sono io, uno che si guarda tre concerti a settimana e si ascolta una marea di dischi. La tecnica è fondamentale per farla, la musica. Per ascoltarla e consigliarla bastano un paio di orecchie, passione ed esperienza, soprattutto per la musica che sono solito trattare.
I tecnicismi mi hanno sempre dato il voltastomaco. Se una cosa mi piace, è sì. Altrimenti no. Non sono un critico, piuttosto un dispensatore di consigli. E la musica a livello teorico la conosco anche. Porto avanti la tradizione dell’artista mancato e frustrato e passato all’altra sponda.

10. Durante una conversazione preparatoria a questa intervista mi hai beccato le somiglianze evidenti tra “Grappoli” e “Gambadilegno a Parigi” di De Gregori e ti riconosco un grande orecchio. Fra l’altro della cosa mi accorsi anche io (Dopo averla scritta, “Grappoli”) e decisi di fregarmene, come già ti avevo raccontato. Mi ripeti il giochino con altre 3 canzoni che hai sentito quest’anno da artisti indipendenti italiani?
Occhio, che De Gregori ha già sguinzagliato i legali. A parte gli scherzi, su due piedi non mi vengono in mente altri casi sospetti.

11. Carta di identità. Nome, cognome, data e luogo di nascita, titolo di studio.
Enrico Tallarini
15/04/1983 Urbino (PU)
Laurea Magistrale in Editoria, Media e Giornalismo

12. I tre migliori locali per la musica dal vivo in Italia dove sei stato, tra quelli che non hanno bisogno di un biglietto di ingresso. Sul migliore in assoluto metti anche il motivo.
3. Il “Dalla Cira” di Pesaro,
2. Il “Neon” di Rimini
1. L’”Hana Bi” di Marina di Ravenna, versione estiva del Bronson, in assoluto il posto più incredibile dove ascoltare musica dal vivo e gratis. Sulla sabbia a due passi dal mare, in un palco alto si è no 15 centimetri, ci ho visto suonare Steve Wynn e Robyn Hitchcock, Bonnie Prince Billy, Wovenhand, dEUS, Iron & Wine, Liars, Anna Calvi, Akron Family, Badly Drawn Boy, Destroyer, Massimo Volume, Local Natives e chissà quanti ne sto saltando e chissà quanti ne ho persi, tutti gratis a venti centimetri dal palco e con una birra in mano. Se non è un paradiso, poco ci manca.

13. Secondo te quali sono i miei progetti per il futuro, musicalmente? Insomma, farò una virata acustica intimista oppure un album grind-core?
Continuerai a fare quello che stai già facendo, ovvero scrivere belle canzoni fregandotene di chi le andrà poi ad ascoltare. E non è poco.

14. Un disco di cui non parla nessuno e che invece è bellissimo.
“The Soul of Spain”, degli Spain. Non sono italiani e non ci azzeccano niente, ma non ne parla nessuno ed è un album fantastico.

15. Un disco di cui parlano tutti e che invece è una cagata pazzesca. (Motivando, si capisce)
Le cagate pazzesche le lascio ascoltare ad altri. Non ci perdo neanche tempo.
PS: ma chi sono sti “tutti”?

16. Il disco dell’anno del 2013 potrebbe essere quello di?
Nick Cave & The Bad Seeds. Lo sarà di sicuro.

17. Fammi una domanda tu.
La prima volta che ci siamo incontrati ti avevo consigliato di ascoltare più a fondo i dischi di Francesco Guccini, che è molto di più di un cantautore “impegnato” e “La Locomotiva” ecc ecc. L’hai fatto? Se sì, ne è valsa la pena?

(Sì. L’ho fatto. Sì. Ne è valsa la pena, porco cane)

INTUDEUAILD – Ricordi.

(Dico il finale del film “Into the wild”, quindi se non l’avete visto e ci tenete smettete di leggere.)

C’è una scena di “INTO THE WILD”, il film di Sean Penn sul tipo che va a vivere in mezzo ai boschi, dove il tipo che va a vivere in mezzo ai boschi e che è un tipo figlio di genitori benestanti, che vogliono che il tipo che va a vivere in mezzo ai boschi faccia l’università e poi si trovi un lavoro come si deve invece di andare a vivere in mezzo ai boschi, dicevo c’è una scena dove il tipo abbandona tutto e si dedica al vagabondaggio per prepararsi meglio ad andare in mezzo ai boschi. C’è una scena dove lui brucia dei soldi. Prende delle banconote e le brucia. E poi inizia a girare a caso, scroccando da dormire e da mangiare, che tanto tutti gli vogliono bene. Trova un paio di fricchettoni che lo ospitano e gli vogliono bene, trova una strafiga che casualmente gliela molla lì, anche perché nel film lui è uno strafigo pure lui.

Non è che il tipo va dai fricchettoni con quella mazzetta di banconote e gliele allunga dicendo “Tutti amici”. No. Le brucia. Così. Un simbolismo da Mallarmé alla quarta pinta di Guinness.

Poi il tipo, che per tutto il tempo è stato nella “società civile” a farsi i cazzi suoi che tanto il mondo andava avanti e lui si poteva attaccare alla mammella di qualcuno quando gli pareva (anche a quella della strafiga), ad un certo punto va finalmente nei boschi. A contatto con la natura aperta, lui e la natura da soli. Into the wild.

Il tipo dura due ore, in mezzo alla natura. Ammazza un animalazzo gigante ma non sa come conservarlo e quindi spreca tutto quel ben di Dio. Poi mangia delle bacche che non sa essere velenose e schiatta. Perché con la natura non si scherza, la natura lo sa benissimo quando la tua è una velleità e comunque anche se non lo sa non è che gliene frega niente. La natura non è madre, è matrigna. Ed è anche un poco zoccola.

Usciti dal cinema, ricordo alcune frasi sentite a mezz’orecchia su “La bellezza della natura” sugli “spazi sconfinati”, su “Ma però deve essere bello vivere così”, con quello sguardo trasognato di chi tanto poi torna a casa sua, in città. Dove accende il computer, la tv, la lavastoviglie, la lavatrice, il forno a microonde. Che son cose fighissime, sia chiaro. Infatti una volta arrivati a casa rimane giusto la colonna sonora di Eddie Vedder.

Il tipo che voleva andare nei boschi invece, alla fine si vede la foto vera del tipo che è andato a morire nei boschi.

Bel coglione.

 

 

 

L’isola dei famosi (The recruiting sergeant)

Tra poco ci saranno le elezioni. Nascono partiti come funghi. Ora si chiamano “Movimenti” perché la parola “Partito” fa schifo e puzza, ma in realtà sono “Partiti”. Nel senso che hanno cominciato. E la cosa, se ci pensate, è poco rassicurante. Ve lo dicono in faccia, che sono partiti? No, preferisco tenervi sulle spine. Sono “Movimenti”. Si stanno muovendo, se partiranno ve lo diranno poi. Intanto si muovono. E’ come quando avete qualcosa nello stomaco che vi arreca fastidio e non sapete se mangiando qualcosa vi passi o vi aumenti. Tu chiamali, se vuoi, “Movimenti”.

In periodi di cambio generazionale della politica i movimenti si moltiplicano. Ognuno pensa che forse è la volta buona e che quando grande è la confusione, si può pure tentare. Qualcuno ci potrebbe cascare. Ma non è di questo che voglio parlare.

Voglio parlare del reclutamento. Lorsignori parlano della “scelta” degli uomini e donne più capaci per “guidare il paese fuori dalla crisi”. A dirla tutta, più passa il tempo e più mi convinco che la “crisi” sia una condizione permanente, come la guerra in “1984” di Orwell. Serve da giustificazione per ogni porcata che tolga spazio allo stato sociale. Ma non è di questo che voglio parlare.

Dico “reclutamento” perché la scelta presuppone che si prendano le menti migliori. Invece il “reclutamento” indica bene come si vada a pescare nel mucchio quelle che sono vere e proprie calamite da voto, specchietti per le allodole. Il metodo è più o meno quello de “L’isola dei famosi”.

Un metodo del genere portò Berlusconi a mettersi dietro soubrettes, attricette e cose simili. Ci siamo trovati Ferrara ministro (“La cosa più bella di Ferrara è la Spal. E gioca in serie C” disse mio fratello all’epoca), ci siamo trovati la Carfagna ministro (“La cosa più bella della Carfagna non la posso vedere se non in fascia protetta” disse un mio collega) e la Carlucci parlamentare (“La cosa più bella della Carlucci è quando non c’è” disse non so chi, riferendosi probabilmente a Milly).

Insomma, la destra reclutava persone in grado di dare un’immagine familiare e rassicurante di allegria e spensieratezza. Il tutto con calciatori e sportivi (Alberto Cova, il campione che si faceva cambiare il sangue da Conconi e quando ha smesso di farlo non entrava più neanche in una finale. Pietro Mennea, la “freccia di Barletta”, Iva Zanicchi, Ombretta Colli e cose così).

Anche a  sinistra  si attua, a volte lo stesso metodo. Gigliola Cinquetti (che adesso l’età ce l’ha), il calciatore Massimo Mauro, cose così. Ma a sinistra prevale un altro metodo ancora più subdolo, un metodo che definirei “parafulmine”. Visto che a sinistra si è per definizione diversi e si è più intelligenti e più profondi di pensiero, visto che si è più solidali eccetera eccetera eccetara… Ecco, a sinistra si prediligono le disgrazie. Perchè siamo di sinistra e noi siamo “cuori agitati nel vento” come cantava Leonard Cohen (o Ramazzotti? Va bene, non stiamo a sottilizzare, non è questo il punto).

A sinistra si prende il protagonista di una disgrazia e lo si candida. Se non puoi farlo con lui direttamente, allora si prende uno dei suoi parenti. L’essere parente di un morto celebre automaticamente ti fa diventare un genio, uno che risolve tutti i tuoi problemi, uno capace di decidere su scuola, sanità, amministrazione, tutto. E guai a dire qualcosa, perché mica vorremmo togliere il diritto ad un disgraziato di essere eletto “come qualsiasi italiano”. Mica hanno meno diritti degli altri? Certo che no. Però il discorso mi ricorda molto quello dei figli dei registi e degli attori che guarda caso fanno i registi e gli attori anch’essi e poi ci chiediamo perché quando gli stranieri parlano del nostro cinema dicono “Rosi, Fellini, De Sica” (Non intendono Cristian De Sica, almeno credo). Inoltre, cari “Sergenti reclutatori”, mi chiedo come mai queste menti illuminate non siano apparse in tutto il loro splendore prima della disgrazia di turno. Come mai ve ne siete accorti soltanto dopo, voi che avete in mano il termometro del paese (e per provarci la febbre siete soliti infilarcelo là, come si fa con i cani)?

Per fare qualche esempio. Come mai Rita Borsellino è stata candidata soltanto nel 2005, quando suo fratello è stato disintegrato nel 1992?  Nel 92 lei aveva 47 anni. Era forse troppo giovane?

Certamente Sabina Rossa era troppo giovane nel 1979 quando le Brigate Rosse uccisero suo padre (aveva solo 17 anni) e si è dovuto aspettare il 2006 per candidarla. Ma come mai è finita alla sesta commissione permanente Finanze e Tesoro, lei che è laureata in Scienze Motorie e diplomata all’Isef? Dovevano fare sedute di stretching mattutine prima di cominciare? Il sospetto di una candidatura di facciata, francamente, affiora.

Giuliana Sgrena è stata candidata nel 2009 per “Sinistra e Libertà”. Venne rapita nel 2005, nelle circostanze ancora oscure delle quali tutti abbiamo sentito parlare. Scriveva per “Il manifesto” dal 1998 e anche per “Die Zeit”, pregevolissimo giornale tedesco. Insomma, una mente fine. Come mai ci se ne è accorti solo nel 2009, cari i miei segretari di partito? Viene francamente il sospetto che il suo merito, “partitocraticamente parlando”, sia stato quello di farsi rapire.

Parole grosse che però sembrerebbero confermate dal tentativo recentissimo del PD di candidare Rossella Urru. Circostanze analoghe a quelle della Sgrena (Un rapimento) e PUFF… ecco la candidatura pronta. Parola di Franco Marras, responsabile del PD in Sardegna che già due mesi fa (Secondo il “Sardinia Post”) aveva incontrato a Samugheo la Urru dicendole che era pronta per lei una poltrona. La Urru però ha detto no. Ma passano due mesi e il PD ci riprova, con pressioni da parte del segretario nazionale. La Urru risponde ancora picche, dicendo che per lei “Non è il momento opportuno”. Perché quando sarà il momento opportuno state tranquilli, una poltrona arriverà. Naturalmente prima del rapimento la Urru non era nei piani del PD né di nessuno. Non era un “nome”. Non era “spendibile”.

Ecco, io dei parafulmini mi sono rotto il cazzo. Tuoni e fulmini, lampi e saette. Basta con le candidature dei VIP e con quelle delle “VIPTTIME”, per parafrasare un bel libro chiamato “Ricordare stanca” di Massimo Coco, figlio di un giudice assassinato delle BR.  Avete visto com’è semplice usare qualcuno da parafulmine? L’ho appena fatto. Funziona sempre.

(Mi viene in mente sempre la coppia Gaber-Luporini quando disse “Un politico qualunque, basta che gli abbia sparato un brigatista e diventa subito statista”. Non sto criticando la possibilità di candidarsi di nessuno. Non sto criticando le vittime del terrorismo o quelle di mafia e i loro parenti. Semplicemente chi usa questa sofferenza per scopi strumentali mi fa schifo. Lo dico perché di solito “Quando il dito indica la luna, lo stolto guarda il dito”. Lo disse Confucio. Fosse vivo, la cittadinanza italiana in 24 ore trovando un finto nonno di Reggio Calabria e uno scranno al Senato non glieli leverebbe nessuno.)

 

E se fossimo noi a dare l’esempio, una volta tanto?

Il calcio mi piaceva tantissimo e ora non lo guardo più. Magari mi capita pure di vedere una partita, ma in generale non lo guardo più. L’ultima partita che ho guardato intera è stata Italia-Germania agli ultimi europei, ma forse giusto perché ero in vacanza e me la son vista in agriturismo, con un paio di birre in mano mentre cenavo in totale relax. Per dire, nel 2006 durante la finale del mondiale, quando ho visto che andavano ai rigori mi sono messo in macchina per tornare a casa. Così schivavo il casino, che secondo me una finale del mondiale non deve finire ai rigori. A dirla tutta, nel 1994, quando perdemmo contro il Brasile, sentivo tantissimi che la pensavano così. Ovviamente adesso la pensiamo diversamente :-)

A me il calcio piaceva. Tanto. Tantissimo. Pensate che ogni tanto guardo su Youtube, per nostalgia pura, come fanno i tossici, le partite del mondiale 74 o delle vecchie coppe europee. Non perché “Una volta il calcio era pulito”, che non ci credo. Semplicemente perché ogni tanto ho nostalgia dei giorni in cui io guardavo il calcio in quel modo lì. So dirvi tutti i risultati delle finali dei campionati del mondo (a parte gli ultimi due forse, avevo già smesso), spesso con i marcatori, se vi si rompe wikipedia chiedete a me. Non scherzo.

Il calcio ha un grosso problema, secondo me. Il tifo. Io il tifo non l’ho mai capito del tutto. Capisco sì… Ma penso che allo stesso tempo sia un’abitudine che dovresti cercare un poco di toglierti, come tracannare una bottiglia di rosso a cena o fumarti 20 sigarette al giorno. Non ho mai capito, nemmeno da piccolo, perché uno debba scegliersi una squadra a 4 anni o giù di lì e poi tenersela tutta la vita. Mi sembra che sia un poco come i matrimoni combinati in India. Una puttanata micidiale. Si lo so…”LA FEDE”. A parte che la fede è quella cosa che vi fa credere che una donna vergine possa partorire un figlio (se capitasse a vostra moglie vedi dove ve la mettete la fede) oppure che non potete mangiare carne di maiale (il pollo sì, il maiale no. Siete ben strani…) e poi per me “la Fede” è una mia collega che fa l’oltremare, che vi devo dire? Se l’avete scelta a 4 anni è UN TRAUMA INFANTILE.  Tipo aver visto i vostri genitori che scopano, cose così. Riuscire a rimuoverlo quanto prima è indice di sanità mentale. Poi certo, gli individui maschi si tengono tutti il trauma e quindi alla fine è una cosa socialmente accettata, ragion per cui non è che la meni tutti i giorni e riesci comunque ad andare d’accordo con persone che in questo trauma infantile ci sguazzano. Nella mia vita sono riuscito ad andar d’accordo con tossici da eroina, gente che votava Rauti, miserie varie. Figurati uno che ha una malattia che ho avuto anche io, facilissimo.

Comunque: in questi giorni è successo che un giocatore del Milan sia stato offeso da qualche coro razzista o cose del genere e la squadra abbia lasciato il campo. Un gesto simbolico. Un grande gesto. Era ora, ho pensato. Poi si è saputo che era una partita contro la Pro Patria che non contava nulla. Il sindaco di Busto Arsizio (Gigi Farioli, si chiama) ha posto l’accento su questo, dicendo che “Al Bernabeu non sarebbe successo”. Può essere. Sicuramente quando non ci sono interessi economici pesanti in gioco è più facile, esattamente come il Farioli avrà dovuto metaforicamente ingoiare qualche barile di merda ogni tanto, altrimenti qualche azienda del varesotto delocalizzava. Plausibile, no? Diciamo che in genere, almeno secondo me, quando la tua città fa una figura di merda e tu sei sindaco, ti prendi la figura di merda e te la porti a casa, ma saranno cazzi di quelli di Busto Arsizio che il Farioli se lo vedono tutti i giorni in giro.

In questi giorni si parla molto di questa cosa e si discute proprio su questo. Le fazioni si dividono in chi dice che il Milan “ha fatto bene e basta” e chi invece dice che la scelta è ipocrita perché “Al Bernabeu non sarebbe accaduto”. La cosa è pesantemente influenzata dall’essere o meno tifoso del Milan. Se fosse stata la Juve, l’Inter, il Torino, il Pizzighettone, sarebbe identico. La cosa è palesemente influenzata dalla tifoseria. Pensi a quello che fa più comodo, esattamente come i rigori del 1994 e quelli del 2006.

Intanto si noti la genialità di spostare il punto della questione così che il problema non venga affrontato; infatti, invece di parlare delle curve degli stadi dove l’ultradestra va ad arruolare vere e proprie orde di miliziani armati fino ai denti, si punta il dito verso “Il negro” che sarebbe ipocrita. Lui. E così il dito resta puntato su di lui e noi siamo comunque assolti.

Ecco, secondo me l’ipocrisia sta invece in casa nostra. Mentre discutete in tutti i bar, in tutti i luoghi di lavoro, dappertutto insomma… Chiedetevi cosa farete VOI la prossima volta che sentite un “BUUUU” oppure diecimila persone che imitano il verso di un gorilla non appena un africano tocca palla. Perché cari miei tutti, forse sarebbe il caso di abbandonare VOI il campo. Anche se la partita va avanti. Uscite dallo stadio. Spegnete la tv. Non andate per due o tre domeniche nel bar che fa vedere la partita e che paga l’abbonamento a Sky. Spiegate anche il perché. Spiegate che vi dispiace, ma state provando a disintossicarvi.

A cosa potete rinunciare, per dare l’esempio?

Qui le domande le faccio io: Intervista a Fabrizio Zampighi di Sentire-Ascoltare.

Fabrizio Zampighi ha curato la recensione di “Togliamoci il pensiero” su Sentireascoltare.com, il magazine che aveva ospitato l’anteprima esclusiva in streaming del disco. Eccovi la sua recensione e, sotto, l’intervista che gli ho fatto in merito. Buona lettura.
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Si definisce un cantante “povero”, Giancarlo Frigieri, facendo torto a sé stesso. Anche se un mood involontariamente scompigliato lo cogli davvero in una poetica che rimane comunque riconoscibile, per certi versi tradizionale, innegabilmente autarchica. Quinto disco in carniere e un immaginario sonoro in bilico tra rock ad ampio spettro e Giorgio Gaber, Francesco Guccini e Pierangelo Bertoli, ma anche, per dire, un Mauro Mercatanti dei tempi di Infedele alla linea. Tanto per sottolineare che qui di laccature ordinarie e ben codificabili legate a una riscoperta à la page della canzone all’italiana ne troverete ben poche. Al massimo una sensibilità d’autore che mira al quotidiano, a una dimensione locale e da essere umano con tutti i pregi e i difetti del caso.
Del resto l’ex Love Flower/Julie’s Haircut/Joe Leaman ci ha abituati a un punto di vista tutto suo sul mondo e sulla la vita, rinnovato con stile ad ogni passaggio discografico. Anche con un Togliamoci il pensiero che non fa eccezione in questo senso, adottando il linguaggio della semplicità folk-rock (la title-track) e mescolandolo, di volta in volta, a richiami tra i più disparati: il Messico di frontiera de Il nemico, la chiusa quasi hardcore del L’altra, il blues-funk di Senza canditi. Con quel valore aggiunto di cui si diceva poche righe più su, ovvero la capacità di scrivere su un attualità semplice e legata a filo doppio alle umane solitudini. Quel che accade soprattutto in una La polisportiva che nei suoi cinque minuti riesce a dipingere un universo ristretto, contestualizzato, ma anche commovente e con le sue regole, tra badanti e pensionati, gnocco fritto e balli di gruppo.
Fabrizio Zampighi
(6.8/10)
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Intervista alla rovescia:

1) E chi cavolo è Mauro Mercatanti? Non lo conosco assolutamente. Già che ci
siamo. Mi consigli qualche altro personaggio che tu trovi affine alle cose
che faccio e che potrei non conoscere?
Mauro Mercatanti è fondamentalmente un cantautore. Nel 2006 mi capitò tra le mai il suo “Infedele alla linea” (http://www.sentireascoltare.com/recensione/1726/mauro-mercatanti-infedele-alla-linea.html) e mi piacque molto. Lo trovai un disco molto diretto, formalmente anche imperfetto se vuoi, di certo fuori dai giri soliti. Feci anche un’intervista (http://www.sentireascoltare.com/articolo/515/mauro-mercatanti-fascino-dellantagonismo-e-teatro-canzone.html).
Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, tolto Mercatanti, ti risponderei forse il Tenca cantante dei Manzoni per una sorta di neorealismo aggiornato che c’è nei testi di entrambi, nonostante le evidenti differenze stilistiche. E’ un giudizio, comunque, molto soggettivo.

2) Mi racconti quando è stata la prima volta che ti ricordi di aver preso un
pugno in vita tua? Ti ricordi perché te lo hanno mollato? Te lo meritavi? Il
nome di chi è stato?Credo di non averne mai presi (o se ne ho presi, non ricordo quando è successo). Di solito cerco di risolvere i problemi parlando.

3)Dici, nella recensione de “Togliamoci il pensiero”, che si trovano ben poche “laccature ordinarie e ben codificabili legate ad una riscoperta à lapage della canzone all’italiana” e lo dici con un’accezione positiva. Chi

secondo te, nell’attuale messinscena indipendente italiana, cade invece nel
tranello di cui sopra? I nomi e le motivazioni, guai a te se ti sottrai.
E’ un accezione positiva, è vero, ma non è detto che sia negativo a prescindere il fatto di “laccare” o “codificare”, se alla base c’è un contenuto di valore. Penso all’ultimo disco di Brunori Sas, per esempio, un’opera che non mira certo ad evolvere il concetto di canzone d’autore (ecco quindi il codificare, il rendere riconoscibile) pur contenendo ottime canzoni. Dente è un altro che lavora moltissimo sulla riconoscibilità e le laccature, ottenendo a volte risultati interessanti, a volte meno. D’altra parte ci sono band come i Santo Barbaro che stravolgono il concetto di canzone d’autore in maniera efficacissima piegandolo a quello che è il loro immaginario o magari musicisti acuti e poliedrici come 33 Ore.

4) Visto che ti è piaciuta molto “La polisportiva”. Come ti vedi a 70 anni?

“La polisportiva” mi è piaciuto molto perché è un brano commovente. In più sono romagnolo – e quindi legato all’immaginario dei bar e dei circoli di partito – e ho vissuto un paio di anni in zona Modena. Conosco bene, quindi, ciò di cui parli nel testo. A 70 anni non so se ci arriverò. Se dovessi farcela, comunque, sarò presumibilmente obbligato a non sentirmi troppo stanco, visto che la pensione me la posso scordare

Tre versi del disco che ti sono piaciuti tanto ma tanto, che hai detto
“Cavoli, ma Frigieri è proprio bravo”.
1) Così a guardarla imborghesita e persa / dentro a un atteggiamento superiore / ci suona strana questa tenerezza / mentre leggiamo in faccia il suo dolore
2) Con l’espressione sempre un po’ più seria / di chi vuol solo chiudere con dignità la propria storia
3) Tra coppie che nel tempo di una firma son passate / dal tempo delle mele / a quello delle rate

6) Mi trovi una definizione per me, di quelle che siete bravi voi scriba,
del tipo “Il Savonarola della musica indipendente italiana” ? Questa però
non vale, l’ha detta un DJ che si fa chiamare Klaus Augenthaler ma che in
realtà mette spesso i dischi tra Carpi e Correggio.
Non saprei. L’immagine che ho di te, però, è di un punk prestato al cantautorato. Non tanto per un fatto squisitamente musicale, quanto per una questione di attitudine.

7) Il disco italiano più importante di tutti i tempi, a titolo puramente
personale di Fabrizio Zampighi. Se fai scattare l’aneddoto guadagni cento
punti in più, naturalmente.
Impossibile risponderti in questi termini. Potrei parlarti al massimo di un disco importante per me. Un critico istituzionale e con tutti i crismi ti citerebbe forse un De André, un CCCP o un Gaber (artisti che ho ascoltato per vie traverse in gioventù e che continuo ovviamente ad ascoltare anche ora). Io in realtà devo molto, per quello che sono e che faccio (bello o brutto che sia), a “Hai paura del buio?” degli Afterhours. Quel disco mi ha cambiato. Quando uscì, nel 1997, ero un ventiduenne della provincia che non scriveva di musica e ascoltava (quando aveva soldi da spendere) quasi esclusivamente materiare proveniente dall’estero. Gli Afterhours di quel disco mi fecero capire che si poteva “osare”, liberare la creatività anche con pochi mezzi (e in italiano) e che in fondo era tutto lì a portata di mano. Un concetto da applicare alla musica, ma non solo a quella.

8) Il disco straniero più importante di tutti i tempi, a titolo puramente
personale di Fabrizio Zampighi. Qui va bene anche senza aneddoto, se ti
vergogni.
Anche qui scendo sul personale, perché non avrebbero molto senso i giudizi netti. Non avendo collezioni di dischi di fratelli maggiori o di genitori di cui godere, ho cominciato tardissimo ad ascoltare musica in maniera sistematica (anche grazie a un dj di una piccolissima radio locale, una persona che non ringrazierò mai abbastanza). “Sucking In The Seventies” e “Steel Wheels” degli Stones sono state le prime cassette che ho comprato. “Steel Wheels” lo ritengo ancora un buon disco, nonostante parte della critica lo abbia degradato a incidente di percorso. Parlando invece di dischi da isola deserta, potrei citarti un “Pink Moon” di Nick Drake o un “Monk Alone” di Thelonious Monk. E’ roba da cui non riesco a separarmi.

9) Visto che mi hai dato un 6.8 di voto, adesso mi spieghi anche cosa non ti
piace del mio disco. Oppure, se proprio vuoi fare la personcina ben educata,
almeno mi spieghi cosa significa “mood involontariamente scompigliato”?

Su sentireascoltare.com il voto massimo è 8 (a parte rarissime eccezioni) e quindi 6.8 non è un brutto voto. “Mood involontariamente scompigliato” si ricollega all’immagine punk a cui ti associavo poche righe più su. Il tuo mi pare un cantautorato molto di sostanza, terreno, dagli arrangiamenti diretti e senza troppi fronzoli.

10) Mi dici cosa ne pensi della scena musicale italiana e come secondo te è
destinata ad evolversi, sia a livello di spazi che di proposte, nei prossimi
10 anni. Non sto parlando di dare delle ipotesi tanto per dire. Ti chiedo di
fare una previsione e di azzeccarla, per il 2022. Chiaro che non è facile,
lo so benissimo. Insomma, sbilanciati.
Non so. Ho come l’impressione che la crisi discografica che c’è in Italia (anche per i musicisti più commerciali, che di solito contano su un seguito generalista e forse meno appassionato di musica) potrebbe paradossalmente spingere le major a investire su qualche talento della scena indipendente. Segnali in questo senso ce ne sono. Penso al boom dei Baustelle, al fatto che produzioni come Amor Fou e Il teatro degli orrori vengano distribuite da major, ai Marta sui Tubi a Sanremo 2013. Di buono, la scena indipendente ha da offrire un pubblico dedicato e consapevole. In termini più prosaici, un mercato affezionato a cui vendere, se non un disco, almeno una serie di concerti. Sono solo ipotesi, comunque.

11) Gli ultimi 3 concerti di musicisti poveri (o indipendenti) italiani chehai visto e dove, con uno stringato giudizio.

Comaneci, Bronson (Ravenna)
Come al solito emozionanti. Sembra folk e invece è blues

Honeybird & The Birdies, Club BenTivoglio (Bologna)
Un tuffo nei Novanta di Ani Di Franco e di Manu Chao

Confusional Quartet, Locomotiv (Bologna)
Tiratissimi

12) Perché “noi alternativi” non riusciamo ad ascoltare un pezzo rock con
delle parole stupide nella nostra lingua e riusciamo a farlo con la lingua
inglese esaltandoci come pazzi? Sempre che tu condivida la cosa, altrimenti
dimmi come la vedi.
Perché in fondo siamo dei provinciali. Che si stia a Bologna, Milano, Roma o Bagnacavallo non importa. Credo che all’italiano medio manchi molto spesso una buona dose di capacità critica. Lo si vede nella musica, ma anche nei fatti della politica. Troppo sentimento, troppo tifo calcistico e poca voglia di capire, di informarsi, di giudicare razionalmente.

13) Il nome ed una descrizione minuziosa sull’onda dei ricordi della prima
persona della quale ti sei innamorato, a parte la mamma.
Scherzi? Mai.

13bis) Sei un codardo. Lo sai, vero? :-)

14)In genere l’ultima domanda delle interviste è “Progetti per il futuro?”.
Mi dici tu quali sono i MIEI progetti per il futuro, secondo te?

Credo che sarebbe un obiettivo interessante (se già non lo fai) riuscire a vivere esclusivamente di musica.

Qui le domande le faccio io: Intervista alla rovescia con Gustavo Tagliaferri (Mag-Music)

Gustavo ha fatto una recensione entusiastica del mio album e la metto qui sotto. Poi sono partito io a fare domande. A differenza dele altre due interviste pubblicate finora questa è avvenuta con il classico sistema delle domande mandate in un file di word, che mi è stato rimandato indietro il giorno seguente con le risposte. Il tono è meno colloquiale e più ufficiale, diciamo. Diciamo anche che l’idea è quella di non fare tutte le interviste allo stesso modo e quindi cambieremo metodo di volta in volta, senza particolari calcoli ma assecondando soltanto quello che è lo stato del nostro umore. La cosa divertente è che ad un certo punto, leggendo l’intervista, sembra che il disco l’abbia fatto lui e io sia il giornalista :-) Buona Lettura.

RECENSIONE DI “TOGLIAMOCI IL PENSIERO”  a cura di GUSTAVO TAGLIAFERRI

Sassolini nelle scarpe, rospi in gola, tracce da dissotterrare, idee brulicanti nella testa. Togliersi il pensiero significa tante cose, ed è una pratica che può avvenire nei momenti più inaspettati, per non dire nel corso di un periodo particolarmente fruttuoso per se stessi. Ma può significare anche tenere da parte l’autoproduzione, dopo essere stata d’uso comune per diversi anni, e ricominciare ad affidarsi a diverse label non da poco conto, tanto alla New Model Label di Govind Khurana quanto alla Controrecords di Davide Tosches. E se il soggetto in questione risponde al nome di Giancarlo Frigieri, allora la descrizione, di conseguenza, calza a pennello. Già, “Togliamoci il pensiero“.
Un pensiero che prende forma ad un solo anno da “I sonnambuli“, ma le cui radici corrispondono a molte cose nell’aria per il cantore di Rubiera, che in quanto ad eredità della vecchia corrente d’autore made in Italy ne sa a pacchi, vista la sua capacità di frullare le diverse caratteristiche e punti vincenti dei suoi molteplici esponenti creando un songwriting proprio, dove ad ogni lezione corrisponde un’apprensione portata a termine. Un pensiero che è un punto di svolta su tutti i fronti, non solo quelli della produzione.
Là dove c’erano anche Guccini e Bennato si aggiungono il diletto, il ludico, la cattedrale di Winchester ed altre storie che sono di casa in quel de La polisportiva, solo una tappa in chiave western di un viaggio dove, come in una staffetta, si passano il turno la religione, la politica, Rino Gaetano e il Vasco Rossi degli esordi (viene in mente Sballi ravvicinati del 3° tipo) che vengono fuori nel ritmo che travolge la ballata Diversi dagli altri, lo Jannacci malinconico che permea Grappoli, Gaber e mariachi che vanno incontro in una Il nemico più attuale che mai, il country-blues della title-track e colpi di scena come il garage-rock di La nostalgia, l’impennata tribale, con tanto di galvanizzante conclusione, di L’altra, il groove di scuola disco ’70s di Senza canditi, fino a che le tinte noir con retrogusto etno-jazz che tracciano il profilo dei Criceti, con grazia, non chiudono l’album.
Cambiamenti che, per certi versi, non potevano essere estranei per colui che ha cominciato la sua carriera anche come uno dei primi batteristi dei Julie’s Haircut. Un passato che non muore mai per un disco come questo “Togliamoci il pensiero”, che, sembrerebbe un’eresia, eppure probabilmente è un disco punk, per quello che è il percorso di Frigieri. Punk in senso di attitudine, di voglia di continuare a fare quello che si sente dentro, di scrollarsi di dosso ogni preoccupazione. Un sentimento pienamente condiviso dagli ascoltatori, senza alcun dubbio.

Gustavo Tagliaferri

 

INTERVISTA (Quello con i numeri sono io che faccio le domande, l’altro è Gustavo che risponde)

1. Mi racconti la prima volta che hai fatto una recensione? Che disco era, che voto hai messo, chi è stato l’incosciente che ti ha dato fiducia e ti ha fatto scrivere?

Avevo 17 anni e scrivevo servendomi del sistema track-by-track, una tecnica di cui tutt’ora mi vergogno particolarmente, visto che non è quello più consono per quanto riguarda l’analisi di un disco. L’opera in questione era “Trama Tenue” di Ginevra Di Marco. Del 1999, sì, del resto era il 2007 e recensivo solo vecchi dischi in quel di DeBaser.it, sito dove ogni tanto ancora faccio un salto. Ho continuato su questa linea d’onda per un po’ di tempo, decidendo anche, ad un certo punto, di eliminare una volta per tutte quel dannato track-by-track, preferendo un’analisi generale di ogni singola opera, andando alla rinfusa per quanto riguarda l’ordine delle tracce e focalizzandomi sulle influenze, sulla verve, sui pregi e sui difetti, se presenti. Nel mentre già conoscevo, cosa avvenuta per caso, Marco Gargiulo, il deus ex machina di Mag-Music, e da lì, poco a poco, sono diventato quello che sono adesso. Pur nel mio essere uno scrittore mediocre.

2. Mi sembra che il disco ti sia piaciuto davvero tanto. Mi dici quali sono le canzoni più riuscite e perché, ma senza il linguaggio giornalistico. Insomma, me lo dici come se fossimo al bar davanti ad una birra?

Eccome se mi è piaciuto! Le canzoni più riuscite non so, quelle a cui tengo particolarmente senza dubbio (l’assolutismo non è un mio dogma quando parlo di certi ambiti artistici). Difatti mi vengono subito in mente “Il Nemico”, “L’Altra” e “La Polisportiva”. La prima la sento mia dal punto di vista non solo musicale, ma anche sociale, e sa essere proprio sociale senza perdersi in pinzillacchere nonsense, la seconda, nel mostrare un lato inedito del tuo modo di fare (con il contributo vocale di Riccardo Bregoli), lascia facilmente esterrefatti a tal punto da rimanere, al contempo, belli che soddisfatti, e la terza, un viaggio all’interno delle proprie memorie, riesce ad essere lo stesso viaggio di altre persone che ascoltano la tua musica, come me.

3. Come facevi a sapere che di tanto in tanto faccio una cover di “Sballi ravvicinati del terzo tipo” di Vasco Rossi?

Vuoi sapere la verità? Io non lo sapevo proprio! Io sono legato al Rossi di un tempo, dagli esordi fino a “Fronte Del Palco” incluso, e “Non Siamo Mica Gli Americani”, disco a cui sono tutt’ora affezionato, è stata una delle mie colonne sonore di un viaggio fatto prima della maggiore età, che se dovessi rifare sceglierei altre compagnie (basta con i parenti!). Ecco, una traccia su cui mi focalizzavo, ed oggi ora più che mai. era proprio questa. Non è da tutti i giorni ritrovare il mood di un brano simile in un album come il tuo…

4. Raccontami un rifiuto che ti è rimasto impresso, della tua vita. Una volta che ti hanno detto di no. Non importa l’ambito, che sia musicale o affettivo o che sia di quando ti hanno messo in panchina da piccolo nella squadra di pallone. Scegli tu.

Mah, così a due piedi è difficile stabilire quale. Diciamo che mi sono rimaste maggiormente impresse certe tristi storie avvenute tra le medie e il liceo, ma lì ammetto che la responsabilità era anche mia.
Musicalmente parlando, per fortuna, ricevo meno rifiuti…

5. Ci sarà qualcosa del disco che hai pensato potesse venir meglio. Qualcosa che hai detto “Ma che cavolata, da Frigieri non me lo aspettavo.” Sfogati pure.

Nulla. No, giuro, nulla che mi abbia fatto storcere il naso! Ci fosse stato lo avrei scritto pure, come faccio da tempo quando mi metto di buona lena a buttare giù pensieri.

6. Personalmente trovo che il termine “indipendente” sia stato usato come specchietto per le allodole talmente tanto che oggi sarebbe meglio dire “povero”. Tu cosa ne pensi?

Premettendo che non parlo quasi mai dell’uso di questo termine, perché preferisco focalizzarmi sul genere che fa un determinato artista, il problema non è essere indipendente, ma ben altro, e va dal fatto che ci sia qualcuno che sarà anche indipendente ma che fa musica che a me non attira al pensare che esistano solo un tot di nomi degni di nota nella scena made in Italy, fino al rischio di bollare tutto quello che ti cattura come “indie” diventa un vero e proprio harakiri. Se cito tra i più blasonati Dente, Brunori e Dimartino, che a me piacciono pure, dico che fanno pop con influenze d’autore, non li chiamo “indie”. Se devo parlare di indie parlo di indie rock, come i Pavement e i Grandaddy, giusto per tornare indie-tro (sic!) nel tempo, pur frugando nell’estero.

7. Di questa fantomatica “messinscena indipendente”, mi fai un nome che secondo te è sopravvalutato e uno che invece è sottovalutato?

Di sopravvalutatissimi dico senza alcuna remora i Nobraino. Sottovalutato? Eh, gli Elettrofandango sono i primi che mi vengono.

8. Argomentando, chiaramente.

I Nobraino, che un tempo mi incuriosivano pure, trovo siano l’unica mela marcia di una buona etichetta come la MArteLabel, in quanto a sound sono la brutta copia di altri progetti ben più interessanti e anche vocalmente non c’è proprio da essere felici. Certi (non tutti) li ricorderanno solo perché Lorenzo Kruger, il cantante, si è fatto la barba mentre cantava al concerto del 1° maggio di quest’anno. Io per fortuna ho provato ad andare oltre e posso confermare quanto sopra.
Gli Elettrofandango sono un vero e proprio uragano spaccatutto, quello che oggi il Teatro Degli Orrori non è, e mi ha sorpreso scoprire che sono anche molto amici di Remo Remotti. Non so se hai avuto modo di ascoltare “Achab”, lavoro che hanno pubblicato proprio quest’anno. Trovo sia qualcosa di fenomenale e ti anticipo che lo inserirò nella mia “”””classifica”””” (metto le virgolette perché non credo nelle posizioni, ma nel valore delle opere) di fine 2012. Come da mia precedente recensione, ad un certo punto sono gli Alice In Chains che incontrano i Neurosis…

9. Qual è il concerto più bello che tu abbia visto nella tua vita in assoluto e perché? Ovviamente racconta anche un particolare.

Nel corso di quest’anno ne avrò visti una marea, dopo aver fatto l’enorme errore (ancora me ne pento) di non girare per la mia città credendo di perdermi da un momento all’altro. Se dovessi scegliere, ne tirerei in ballo due a cui sono particolarmente affezionato, entrambi di quest’anno: il primo di inizio giugno, al Circolo Degli Artisti, che ha visto sullo stesso palco i Luminal e i Kardia, non solo per la bella musica che ho sentito, ma anche perché ho avuto modo di conoscere e rivedere tante persone a cui voglio un bene dell’anima, il secondo di metà luglio, al SuperSanto’s di San Lorenzo, con Giardini Di Mirò e Massimo Volume. In due ore la mia mente ha cominciato a volare in altre dimensioni…

10. Mi dici tre versi del disco che ti sono rimasti in mente in modo particolare? Tre versi e basta, sempre ammesso che tu riesca ad arrivare a tre. E spiegami pure il perché, naturalmente.

1) “Ah, che bei tempi quelli lì, non ne fan mica più di nemici così.” (“Il Nemico”)

Dovrei citare il testo completo, ma mi fermo solo su questo verso. Credo sia emblematico per chi, come me, ha capito la differenza tra chi è semplicemente una triste macchietta e chi invece è un vero e proprio despota. Potrei fare un esempio politico a proposito: la differenza tra Bettino Craxi e Mario Monti. Pur non essendo io un ammiratore di Craxi (sono troppo anarchico, o perlomeno ci provo, per esserlo), e pur ammettendo diversi suoi inciuci, non nego che qualche buona idea improvvisamente gli è venuta, perlomeno per quanto riguarda la tematica della sovranità nazionale e il rapporto con il Medio Oriente. Monti invece, da burattino dell’elite di banchieri, multinazionali e simili che non parla in mio nome, è un’incarnazione della distruzione, spacciato come alternativa ad un poveraccio come Berlusconi. E non lo dico io, lo dicono le testimonianze dei cittadini che non ci stanno, No TAV inclusi. Poi non stupiamoci se certe tematiche che erano tipiche dei movimenti rivoluzionari, oltre che della sinistra di un tempo, siano finite in mano o a gentaglia di estrema destra (magari gli stessi che ignorano che Mussolini se la faceva con l’elite di cui sopra, o perlomeno con certi suoi abbinati) o a frutti marci come Scilipoti (chi ha detto IDV?).
Veramente, è più facile riconoscere la triste macchietta piuttosto che il despota.

“Con l’espressione sempre più un po’ più seria di chi vuol solo chiudere con dignità la propria storia.” (“La Polisportiva”)

Sono le memorie di cui sopra che includono un invito ad andare avanti a testa alta fino alla fine del proprio ciclo. Un invito che non vale solo per “La Polisportiva”, per quanto mi riguarda, ma proprio per la vita in sé.

“…se tutti qui vogliono essere sempre diversi dagli altri, ma uguali tra loro.” (“Diversi Dagli Altri”)

Anche qui dovrei citare un intero testo. Quello di un brano che ondeggia tra teologia e sociale, che parla di necessità di capire chi si è veramente, senza ergersi a chissà quale alto livello solo per fare chissà quale bella figura. Nel più triste dei casi si finisce a fare la figura di chi non ha ancora capito cosa basta per stare in pace con se stessi, in quello più deprecabile si diventa parte di quella che io chiamo “la società dell’orrore”.

11. La domanda di rito a tutti quelli che sto intervistando a rovescio. Suoni uno strumento? A che livello? E se hai cominciato e mollato, racconta qualcosa a riguardo.

Suonavo, semmai. Mi sono dilettato qualche volta con la batteria, un po’ di più con la chitarra acustica e maggiormente con la tastiera, andando dal mediocre all’accettabile in quanto a risultati. Non ho mai avuto modo di provare l’esperienza di suonare in una band vera e propria, forse perché non ho mai sentito un input vero e proprio fare strada dentro di me.

12. Mi dici cosa ne pensi della grafica del disco, della copertina in particolare e che legami ci vedi con i temi trattati?

Trovo faccia da ciliegina sulla torta, sia in quanto ad artwork che nella scelta del formato digipack. Le scale facenti da copertina, per certi versi, le vedo come un collegamento proprio con “La Polisportiva”. Sono delle memorie le cui testimonianze scritte le puoi trovare in uno scantinato o in una soffitta senza neanche ricordare di averle ancora. Luoghi che possono anche diventare spunto di ispirazione per le canzoni a venire. Come da titolo: “Togliamoci Il Pensiero”!

13. Tre dischi e tre libri. Al volo, senza pensarci troppo.

Dischi: “The Downward Spiral”, Nine Inch Nails. “Dig Your Own Hole”, The Chemical Brothers. “Sanacore 1.9.9.5.”, Almamegretta.
Libri: “Favole Al Telefono”, Gianni Rodari. “Il Bar Sotto Il Mare”, Stefano Benni. “Parola Di Giobbe”, Giobbe Covatta.

14. Qual è stata la volta della tua vita nella quale, se ci ripensi, dici a te stesso che “quella volta sono proprio stato un bastardo”?

Ti dirò, pur avendo pensato in certi momenti di esserlo stato, forse non lo sono mai stato del tutto. Al massimo ci sono state occasioni in cui mi sono reso conto di aver avuto una certa responsabilità nei confronti di persone che non sono comunque state proprio corrette con me. Ma se quelle persone non si sono rese conto dei propri difetti è un problema esclusivamente loro, io cerco di capire dove ho sbagliato.

15. La cover che io farei benissimo, secondo te.

Che ne dici di qualcosa di Claudio Lolli? “Borghesia”, “L’Amore E’ Una Metamorfosi”, o persino “Notte Americana”…

16. Vuoi farmi una domanda tu? Giuro che rispondo.

Pensi che tra le tue tappe live future ci sarà anche qualcosa in quel di Roma? Magari in uno dei tanti locali di San Lorenzo. Se la cosa andasse in porto, ci sarebbe modo di incontrarsi dal vivo…

(E qui rispondo dicendo che mi piacerebbe molto e che magari, se qualcuno che ha un locale a Roma rispondesse a qualche messaggio invece di cazzeggiare… )

Qui le domande le faccio io: intervista alla rovescia con Carlo Bordone

Questa è la recensione di Bordone su DISTORSIONI e a seguire la chiacchierata via Skype, così come l’abbiamo fatta, coi refusi e tutto. Et voilà.

Togliamoci subito il pensiero: in ambito “nuovi cantautori italiani” (definizione fastidiosamente pedante, e proprio per questo abbastanza precisa), Giancarlo Frigieri è uno dei migliori. Per tutta una serie di motivi. Per cominciare ha le canzoni, e questo  non è un dato del tutto irrilevante. In molti si cantano addosso sbrodolandosi il colletto di retorica, oppure all’altro estremo barattano la capacità di comunicare con una presunta ”ricerca sul suono”. Frigieri, molto più modestamente, abbina musica e parole in modo che si sostengano a vicenda e che esprimano una visione del mondo , un frammento di realtà, un barlume di poesia.  In fondo è quello il senso dello scrivere canzoni. Parole e musica. Delle prime il nostro emiliano con la “r” gucciniana ne ha tantissime, e le sa usare con una abilità non comune. Le mette in rigorosa rima alternata, e se si pensa che questo alla lunga possa essere uno schema un po’ soffocante o semplicistico basterebbe citare un certo Bob Dylan che lo fa da cinquant’anni, con risultati – pare – soddisfacenti. I testi hanno ritmo, procedono  per associazioni efficaci nelle descrizioni e spesso evocative (un esempio: “quando te ne vai e fai entrare l’altra/io come un signore in epoca feudale/scelgo per me il taglio di carne migliore/e poi frano a valle sui detriti del tuo amore”),  e  spesso attingono a citazioni prese argutamente dallo stupidario linguistico e intellettuale nel quale siamo immersi (la “chiacchiera”, la chiamava Heidegger) per rielaborare un minimo di senso a cui aggrapparsi.  Pur non arrivando mai all’invettiva aperta, è evidente che Frigieri è un moralista. Intesa in senso alto, non è una parolaccia. Se avessimo la coda di paglia, vi aggiungeremmo subito l’aggettivo “gaberiano”, ma non lo facciamo perché l’apparente complimento nasconderebbe l’individuazione di un limite. Gaber – che rappresenta certamente un’influenza sulla poetica frigeriana, si pensi al titolo del disco che richiama un altro famoso calembour come “e pensare che c’era il pensiero”, oppure a frasi ultra-gaberiane come “una massa critica è pur sempre massa” – è stato un grande eretico ma anche uno snob inacidito, un borghese che lanciava strali alla borghesia più che altro perché si annoiava. Ecco, benché brani come Diversi dagli altri corrano il rischio di suonare moralisti nel senso peggiore del termine, con bersagli anche un po’scontati, Frigieri è tutt’altro tipo di artista e di osservatore. Lo dimostra una canzone come La polisportiva, bello squarcio di vita popolaresca da Guareschi redivivo– badanti ucraine, vecchi ex ballerini, comari che tagliano i panni alle spalle e in sottofondo le note di Winchester Cathedral – oppure i ritratti di persone consumate dalla routine del lavoro di Criceti, oppure ancor la poesia dell’ebrezza evocata in Grappoli. E la musica? C’è anche quella, e per fortuna  non si limita allo strimpellamento voce chitarra. Rispetto agli album che lo hanno preceduto – L’età della ragione, Chi ha rubato le strade ai bambini? e I Sonnambuli – questo è quello che denuncia maggiormente le origini rock di Frigieri (quando cantava in inglese con i Joe Leaman). La nostalgia e la parte finale di L’altra sono incalzanti e persino dure,  mentre il r’n’r/folk di Togliamoci il pensiero fa venire in mente il miglior Bennato. Altrove gli arrangiamenti provano a battere strade inusuali: l’indolenza da mariachi misto Casadei de Il nemico, il funky leggero di Senza canditi. Il pregio più grande rimane comunque l’accessibilità melodica, al servizio di concetti sui quali si può anche non essere d’accordo ma sempre espressi in modo chiaro e diretto.  Musica e parole di Giancarlo Frigieri. Uno che ha delle cose da dire, e le sa dire sempre meglio.

carlo bordone 12.40
io sono qua

GiancarloFrigieri 12.40
due secondi che apro ai cani, che devono pisciare. Preparo una tisana ai 700 all’ora e arrivo

carlo bordone 12.40
sto qua

GiancarloFrigieri 12.42
regola base. quando uno ha finito dice (finito) tra parentesi, così l’altro può cominciare, ok?
(finito)

12.44
Ci sei?

carlo bordone 12.45
eccomi
(finito)

GiancarloFrigieri 12.45
Allora, cominciamo:

carlo bordone 12.45
vai vai, che so’ caldo

GiancarloFrigieri 12.46
Per cominciare. La tua recensione. L’ho letta. Manca il tuo codice IBAN. Nel senso che quando l’ho letta ho pensato di doverti qualcosa. Davvero pensi così bene di me?
(finito)

carlo bordone 12.48
penso bene del disco, non di te. ah ah, scherzo. beh, sì, il disco mi è piaciuto. anche più degli altri prima, che già avevo apprezzato (sopratutto I Sonnambuli). se non mi fosse piaciuto lo avrei scritto (comunque l’IBAN te lo mando via sms)
(finito)

GiancarloFrigieri 12.49
Ho letto però un commento su Gaber che personalmente non condivido. Come mai pensi che fosse un vecchio borghese inacidito e annoiato?
(finito)

12.53
(Sei vivo?)

carlo bordone 12.54
Eh eh, lo sapevo che me l’avresti chiesto. Beh, lo era, soprattutto nell’ultima parte della sua vita: vecchio, inacidito e (questo in raltà lo era da almeno 40 anni) borghese. La vena delle prime cose di teatro-canzone si era inaridita in un fastidio generalizzato da brontolone con la papalina in testa. Arrivo a dirti che era pure diventato reazionario tout court, toh. Poi è chiaro che si dovrebbe valutare quanto c’è di suo e quanto di Luporini, ma a me certe frasi come “mi fanno tristezza le file fuori dai musei con i panini” (cito a memoria, forse le parole non erano esattamente quelle ma il senso sì) mi fanno girare i coglioni.
Sono espressione di un pensiero elitario, che vuole distinguersi dalla massa in modo forzato.
Non ci sono neanche più il nichilismo e la disperazione di Io se fossi Dio. Solo noia, appunto.
(scusa gli errori di battitura, ce n’è almeno uno ogni riga)
(finito)

GiancarloFrigieri 12.57
A me quella frase lì invece è sempre piaciuta tantissimo. Diceva “mi dà malinconìa”. Penso intendesse dire che la cultura è un percorso individuale e che volerla imporre alla portata di tutti è una forzatura. Non perché ci siano persone più intelligenti di altre, quanto perché è appunto una scelta personale, quella di acculturarsi. Nella “fila con i panini” si scorge bene questa voglia di assumere la cultura quasi per osmosi, senza fatica. Ma qui se vuoi possiamo parlare per secoli e parlare solo di questo, quindi parlerei anche di altro. Vuoi?
(Finito)

carlo bordone 12.59
Voglio. Abbiamo interpretazioni dverse di quella strofa, e anche la tua può starci benissimo. Si potrebbe continuare con altre, da “io non mi sento italiano” in giù, ma siccome non mi sono preparato su Gaber, preferisco rispondere su Frigieri, che è l’argomento dell’esame.
(finito)

GiancarloFrigieri 12.59
Anche tu avrai, come noi che suoniamo, le domande che non sopporti più ma alle quali devi rispondere, quindi provvedo subito. Ma che cazzo ti saltò in mente di stroncare “Ok Computer”? Io che quel disco lì era bellissimo lo avevo capito subito al primo ascolto di quando arrivò nella radio dove trasmettevo.
(finito)

13.04
Minchia, Guglielmi a confronto era Usain Bolt

carlo bordone 13.05
Quando va in prescrizione il reato di leso-Radiohead? Ci mette più di quelli per mafia, mi pare. Allora, quel disco non mi piaceva allora e continua a non piacermi adesso (mente invece Kid A e Amnesiac li ho apprezzati molto). Non era per fare il figo, tra l’altro quando uscì quell’album la radiohead-mania non c’era ancora, erano considerati un bel gruppo pop inglese, c’era curiosità sulle loro prossime mosse e tutto quanto, ma nessuno poteva prevedere il peso che avrebbe avuto Ok Computer. La mia non fu uan stroncatura sulla abse di un pregiudizio o di un’antipatia congenita, e neanche una roba di pancia. Ricordo che ascoltai la cassetta (allora mandavano quelle) per tutto un weekend, e a ogni asoclto il fastidio saliva sempre di più. Per me era, ed è, un disco lamentoso, pesante, retorico. Con delle splendide aperture di chitarra, questo sì, ma il resto è un macigno.
(sì, ma guarda che risposte che ti do…)

GiancarloFrigieri 13.05
AHAHAHA
Scusa. Finito?

carlo bordone 13.05
yes

GiancarloFrigieri 13.05
Posso pubblicarla così, con tutte le cagate?
(finito)

carlo bordone 13.06
Fanne cò che vuoi, ma almeno i refusi correggili, dai.
CIO’

GiancarloFrigieri 13.06
Si. Hai detto MENTRE INVECE, ad esempio. E’ pleonasmo. A scuola me lo segnavano con la biro rossa

carlo bordone 13.07
io andavo dalle suore, erano meno severe
anche se menavano come delle assassine

GiancarloFrigieri 13.07
Comunque, io che era un capolavoro lo avevo capito. Peraltro quando sentii “The bends” la primissima volta dissi candidamente “Bon, questi sono il classico gruppo da una canzone e via”
salvo poi ricredermi dopo qualche mese, quando ascoltai come si deve il disco.

carlo bordone 13.08
va beh, dai, sticazzi dei Radiohead, no?

GiancarloFrigieri 13.08
Si, si. Era per chiacchierare.

carlo bordone 13.08
chiedimi che tempo fa a Torino

GiancarloFrigieri 13.08
Qual è la canzone del disco che ti piace di più?
Non dei radiohead

carlo bordone 13.09
La polisportiva
e Grappoli

GiancarloFrigieri 13.10
Mi tiri fuori una definizione musicale in una riga per “La polisportiva”? Una roba come fate voi critici quando dite “I Ministry suonati dai Blur che vanno a braccetto con Caetano Veloso”
(finito)

carlo bordone 13.10
De Gregori che si beve un bicchiere di rosso con Guareschi
(finito)

GiancarloFrigieri 13.11
Insomma, De Gregori.
AHAHAHAHA

carlo bordone 13.11
Ma anche Guareschi
a me De Gregori non piace, tra l’altro

GiancarloFrigieri 13.12
Ricordo che dicesti meraviglie di un’edizione del Traffic con De Gregori e Bennato.

carlo bordone 13.12
ah ah ah. sì. fu la pietra tombale del Traffic.
che poi boh, manco me lo ricordo se suonò davvero de Gregori
(finito)

GiancarloFrigieri 13.13
Suonò. Penso con la DOnà e con Brondi, pure. Ma passiamo oltre. “Grappoli” invece, di che pensi che parli? Perchè è uno dei pochissimi casi dove lascio un poco di interpretazione a chi ascolta e volevo sapere, visto che ti è piaciuta, che tipo di storia ti eri immaginato.

13.15
(finito, scusa. Così hai la scusa per averci messo così tanto mentre andavi a rileggerti il testo che manco te lo ricordi)

carlo bordone 13.15
mah, una situazione tipo Festen, durante una cerimonia famigliare (matrimonio, penso) qualcuno che ne ha bevuto uno di troppo fa rivelazioni che non dovrebbe fare. tragedia. troppo letterale? magari è una metafora per il fatto che ci teniamo dentro cose che non vogliamo esprimere neanche a chi ci sta più vicino, e solo in stato di ebbrezza vengono fuori
non è vero, il testo lo ricordo così bene che ti dico un’altra cosa che ho pensato al primo ascolto. la strofa di apertura mi ha ricordato “A 1000 dollar wedding” di Gram Parsons

GiancarloFrigieri 13.17
Ok, direi che ci siamo quasi. Nel senso che a dirti la verità manco io so esattamente come va a finire. Dei giorni mi immagino una cosa, dei giorni un’altra.  Sono anche piuttosto orgoglioso di quel testo lì. Il pezzo di Parsons non lo conosco, la somiglianza la intendi musicale o testuale?

carlo bordone 13.17
testuale

GiancarloFrigieri 13.18
Ah, ok. Perché altrimenti c’era da farci una puntata di Voyager

carlo bordone 13.19
lì però la storia è molto più tragica
vengono a dire allo sposo che lei è morta

GiancarloFrigieri 13.19
Porca troia. No, lì non muore nessuno. In “Grappoli” al massimo a canzone finita possono volare due scapazzoni. Mi sembra invece che non ti sia piaciuta più di tanto “Diversi dagli altri” che ai concerti prende benissimo chiunque, invece. E’ per via del testo o è soltanto perché è in tonalità maggiore e gioca con le prime, le quarte e le quinte.
(finito)

carlo bordone 13.20
sì, la canzone funziona. ma non mi piace troppo per il testo, il perché lo spiego nella recensione
(finito)

GiancarloFrigieri 13.21
ok. Hai mai provato a suonare qualche strumento?
(finito)

carlo bordone 13.21
ovviamente no

GiancarloFrigieri 13.21
mai neanche la tentazione?

carlo bordone 13.21
la chitarra a 14 anni, come tutti, ma ho mollato subio
meglio il pallone

GiancarloFrigieri 13.21
Ok, la chitarra. Mi dici che accordi sai fare?

carlo bordone 13.22
che ne so, sono passati trent’anni da quando ci ho provato

GiancarloFrigieri 13.22
buio totale proprio?

carlo bordone 13.23
certo. ma capisco il sottotesto della domanda, al quale rispondo mostrando tutta la mia coda di paglia con la frase migliore che ho sentito al riguardo: “non devi essere una balena per scrivere Moby Dick”
(finito)

GiancarloFrigieri 13.24
Volevo solo curiosare. Anche perché l’analogìa è sbagliata. “Moby Dick” è una chitarra o addirittura la musica, non il musicista.
Comunque ripeto, solo curiosità. E’ che se ti ricordavi un Re e un Sol, la prossima volta che venivo a torino potevamo fare almeno 7/8 canzoni degli Spacemen 3 insieme

carlo bordone 13.25
posso fare quello che balla, tipo Bez o Repetto

GiancarloFrigieri 13.26
A me ogni volta che nominano Repetto viene in mente quello che giocava nel Pescara.

carlo bordone 13.26
non ha giocato anche nell’Ascoli?

GiancarloFrigieri 13.26
Boh, può essere.
Sul calcio dei ’70 sono piuttosto ferrato. Ho passato l’infanzia sugli almanacchi Panini, sai… Modena e Sassuolo sono vicine. Li ho sfogliati al limite dell’autismo.
Poi è arrivato Google

carlo bordone 13.28
Gli almanacchi Panini sono una splendida lettura da cesso

GiancarloFrigieri 13.28
e quindi non serviva più a far gran figure in società dire cose del tipo “In finale nel 38 per l’Ungheria segnarono Titkòs e Sàrosi”
Insomma, si stava meglio quando si stava peggio.

carlo bordone 13.28
come sempre

GiancarloFrigieri 13.28
A proposito. “La nostalgia”
ti è piaciuta, ho letto. Non ti aspettavi un pezzo così punkettone?

carlo bordone 13.29
no, e neanche le urlate in L’altra

GiancarloFrigieri 13.29
Le urla ne “L’altra” non sono mie, hai letto il libretto vero?

carlo bordone 13.29
no, non avevo letto i credit

GiancarloFrigieri 13.30
(Ecco, lo sapevo, non l’ha letto. Poi dicono “Il fascino dell’oggetto” e blah blah blah)

carlo bordone 13.30
vedo che ci sono ancjhe i clacsonisti
è il violetto su nero che complica le cose. hai voluto fare il raffinato, eh?

GiancarloFrigieri 13.31
Eh si. C’è un filmato su Youtube, se digiti il mio nome e il titolo dell’album, dove c’è una scena della realizzazione. Per il violetto devi dirlo al tuo conterraneo Davide Tosches, che è responsabile del libretto.

carlo bordone 13.31
ahia

GiancarloFrigieri 13.31
Le foto invece sono di quella santa donna di mia moglie

carlo bordone 13.31
ritiro tutto, allora

GiancarloFrigieri 13.32
Comunque, le urla le fa Riccardo Bregoli, un ventenne di FInale Emilia che canta nei Red Line Season, un gruppo tutto tempi dispari, stacchi e urla da ossesso. Roba tipo At The Drive In prima maniera, per intenderci.
Mi dici un disco che per tutti è fondamentale e invece per te è una mezza cagata? “Ok computer” non vale, già sappiamo.
(finito)
Poi te ne dico uno io, se vuoi.
(finito davvero)

carlo bordone 13.34
Mellon Collie. Master of Puppets. qualunque cosa dei Depeche Mode.
e parecchia roba di De ANdré

GiancarloFrigieri 13.35
Apprezzo il coraggio. Scegline uno solo.

carlo bordone 13.35
Master of Puppets. ODIO i Metallica

GiancarloFrigieri 13.35
Hai 5 righe per dire perché odi i Metallica. Senza pensarci. Furore puro. Vai.

carlo bordone 13.36
mi fa schifo come cantano, come suonano, come si vestono, e comunque un gruppo guidato da un ex tennista non ha nessuns enso a prescindere

GiancarloFrigieri 13.37
Oddio, non è che hai argomentato granché. Nel senso che sembra un “perchè no no e no”

carlo bordone 13.37
l’odio non si argomenta

GiancarloFrigieri 13.38
Ok, ci può stare. Ma neanche l’album nero?

carlo bordone 13.38
no

GiancarloFrigieri 13.39
Sai come si chiama un pezzo nuovo che ho scritto?
(occhio)

carlo bordone 13.39
Metallica?

GiancarloFrigieri 13.39
“Il fruttivendolo con la maglietta dei Metallica”
Giuro

carlo bordone 13.39
che immagine orribile

GiancarloFrigieri 13.39
AHAHAHAHAHAHAHA

carlo bordone 13.40
anhce se “il macellaio con la maglietta di ok computer” era peggio

GiancarloFrigieri 13.40
E’ un’immagine reale. E’ il figlio del fruttivendolo che ha il furgonazzo davanti al posto dove lavoro. Un giorno esco e c’è lui chinato sulla verza, sudatissimo, con una maglietta di “Ride the lightning”.
Ho pensato subito “Che titolo della madonna”
Comunque
Tu mi hai visto suonare dal vivo. Due volte, se non erro.
Giusto?

carlo bordone 13.41

GiancarloFrigieri 13.42
Mi dici due personaggi della cosiddetta “scena indipendente” che dal vivo “mi battono” e due che invece “non sono neanche degni di allacciarmi le scarpe”?

carlo bordone 13.42
italiani?

GiancarloFrigieri 13.42
Si, si
E’ per seminare zizzania
(in realtà è per farsi due risate, ma non ride mai nessuno di queste cose e quindi finirà che qualcuno si offende, magari)

carlo bordone 13.44
quelli che ti battono: Benvegnù e Samuel Katarro (che non si chiama più così, ma vabbe’)
gli altri…dai, dobbiamo proprio?

GiancarloFrigieri 13.45
No, se hai paura fa niente, finiamo qui.

carlo bordone 13.46
che fai, sfidi?
ok, no problem. Canali, Le Luci della Centrale Elettrica

GiancarloFrigieri 13.47
(arrivo, un attimo che ho mio fratello al telefono)

carlo bordone 13.49
(comincio a sentire un certo languore pre-prandiale)

GiancarloFrigieri 13.49
Ok, adesso ti mollo.
Volevo soltanto chiederti, in chiusura. Ma come mai state ancora qui a parlare di etichette, distribuzione, cose così e non vi attentate mai a sparare un poco di cifre su quei quattro gatti che ascoltano musica dal vivo nella “messisncena indipendente”?

carlo bordone 13.51
lo abbiamo fatto, mi pare

GiancarloFrigieri 13.51
???

carlo bordone 13.52
ma cosa intendi?
non c’è bisogno di un’indagine sociologica, quando dichiari che come giornale vendi 6-7000 copie
quando vent’anni prima ne vendevi 25000

GiancarloFrigieri 13.53
Del tipo che spesso leggo robe del tipo “Esce in una edizione limitata e numerata a mano di 500 copie” in una recensione. E penso sempre “Perchè di più non le vendono di sicuro”

carlo bordone 13.53
va beh, non è che uno sta lì a specificarlo tutte le volt

GiancarloFrigieri 13.53
Si, ci mancherebbe.

carlo bordone 13.54
del resto è così, si sa. se uno vuole starne dentro ci sta, se no fa un’altra roba

GiancarloFrigieri 13.55
Ultimissima domanda: Visto che preparando questa chiacchierata ho imparato che hai le videocassette dell’Olanda del 1974 e visto che io ho i DVD dell’Olanda del 1974, cosa che mi ha fatto sorridere non poco. Qual è la tua partita preferita di quelle degli Orange? E poi, io credo che la Germania Ovest abbia meritato di vincere quel mondiale, dopo aver rivisto la finale più volte. Tu no?

carlo bordone 13.57
la partita più impressionante fu quella con l’Uruguay, credo la prima. immagino abbai avuto un effetto shock su chi guardava la tv. a un certo punto si vedono tipo sei o sette olandesi che si avventano su un poveraccio di uruguayano che portava palla. signore e signori: il pressing.
sì, tutto sommato la Germania ha meritato in quella partita, ma esteticamente è stato un peccato

GiancarloFrigieri 13.58
Si, lo so.
Vado a rivedermi la partita con l’Uruguay, non fosse altro che per vedere tutte le volte che ci sono almeno 5 maglie celesti in fuorigioco. E’ stato un piacere Sig. Bordone.

carlo bordone 13.59
Giancarlo, la mia signora mi reclama a pranzo

GiancarloFrigieri 13.59
Che c’è di buono?

carlo bordone 13.59
arrostino

GiancarloFrigieri 13.59
(Vada, scherzo. Vada. E saluti alla signora)

carlo bordone 13.59
è stato un piacere, come sempre. ma il Sassuolo non te lo guardi?

Qui le domande le faccio io: intervista alla rovescia con Federico Guglielmi

Questa è la recensione di Togliamoci il pensiero scritta da Federico Guglielmi per il Mucchio di Novembre:

Da quando ha “scoperto” i testi in italiano, cioè da quel 2009 in cui ha debuttato nella lingua nazionale con L’età della ragione (dopo l’esordio solistico e quattro dischi alla guida dei Joe Leaman, tutti in inglese), Giancarlo Frigieri confeziona un album all’anno. Quest’ultimo, il primo non autoprodotto, inquadra efficacemente le numerose sfaccettature della poetica del cantautore rock emiliano: nelle musiche mai così eclettiche e “colorate”, nei testi (ora più ispirati dalla società in cui viviamo che non dalla sfera privata) sempre in bilico – con ironia – fra disillusione e deplorazione, in un approccio di fondo volutamente un po’ sgraziato e imperfetto come nell’indole del suo personale eroe Bob Mould (o come, ma il paragone è quasi solo attitudinale, Federico Fiumani). Nei nove pezzi di Togliamoci il pensiero c’è parecchio Giorgio Gaber, c’è cinismo senza possibilità di redenzione, ci sono anche dettagli non pienamente a fuoco e piccole cadute di tono… ma alla fine ogni cosa ha il sapore agrodolce della genuinità e della coerenza.

Intervistare Federico Guglielmi significa intervistare uno dei nomi storici della critica musicale italiana. Guglielmi mi sembra di averlo sempre letto da quando leggo di musica, e oggi che mi trovo in chat con lui per inaugurare il giro di “interviste alla rovescia” è un poco come alla prima mano di una partita di Briscola trovarsi l’asso in mano e calarlo all’istante. Allo stesso tempo è un poco come l’imprimatur papale: se va bene farla con Guglielmi, anche le altre “religioni” non oseranno dire di no. Ecco qui il resoconto di una chiacchierata via skype, dove si parla di musica ma anche di puttanate. Una chiacchierata integrata con qualche domanda via mail il giorno successivo, visto che siamo due persone piuttosto impegnate.

Prima domanda: Hai parlato nella recensione di “suoni mai così colorati”. Cosa intendevi dire?
Che, rispetto ai tuoi standard, si avvertiva una maggiore ricchezza sonora, sia in termini di quantità (quindi, arrangiamenti più ricchi), sia di qualità (più brillantezza, più sfumature).

Mi dici la porcata più grande che hai fatto ad una donna con la  quale stavi e che lei ancora non sa?
Non lo direi mai neppure sotto tortura. Comunque, nulla di cui debba seriamente vergognarmi o che io stesso non abbia probabilmente subito.

Ho visto che ti sei tolto dei sassolini dalla scarpa, ultimamente. In un ambiente dove nessuno parla mai male di nessuno se non dietro le spalle, questo ha causato un bel putiferio. Personalmente ho trovato lo sfogo su “Lo stato sociale” assolutamente sbagliato. Mi spiego meglio: quel pezzo lì non piace nemmeno a me, però mi sono venuti in mente quei discorsi che si leggevano sulle pagine dei vari “Gong” e “Muzak” quando i vecchi soloni della critica inseguivano la Musique Concrète e il Free Jazz, dicendo che i Ramones erano solo dei poveri fessi che non sapevano suonare e facevano tre note. Il che era vero, ma oggi i Ramones sono considerati giustamente un classico, grazie ai giovani che si affacciavano al mondo della critica all’epoca (che eravate poi voi). Insomma, corsi e ricorsi?
All’epoca del primo punk, per fortuna, non esistevano Internet e social network… ci fossero stati, il punk sarebbe morto nella culla perché sarebbe stato stambiato per l’ennesima pagliacciata o miseria di stagione. Figurati che può mai fregare, a un punkettaro come me, che quelle nullità non sappiano suonare… il punto è che certe esperienze musicali e culturali – mi riferisco alla New York dei ’70, ma anche alla Londra di poco dopo – nascevano spontaneamente e, comunque, derivavano da “spinte” un po’ più consistenti della speranza di essere recensiti da Rockit e di suonare al Miami. Dopo il tuo paragone, Joey, Johnny e Dee Dee si stanno rivoltando nella tomba…. e pure Malcolm McLaren, nonostante lui sia stato un pianificatore: una cosa è il situazionismo e un’altra la merda, consentimelo.

Mi dici quali sono le canzoni che ti sono piaciute di più nel mio disco? Un paio di titoli, oppure di più se sono di più quelle che ti hanno colpito particolarmente.
Insomma, mi è parso un disco più curato, nel complesso…

Mhhh… fai l’evasivo… Quante volte te lo sei ascoltato? La verità.
Ma dammi il tempo di rispondere! L’ho ascoltato sei o sette volte. Comunque “Togliamoci il pensiero”, “Il nemico”, “L’altra”, “Criceti”. Se vuoi ti dico anche che non mi piace “Senza canditi”,

Spiega perché. Usa pure la scimitarra.
Non è un discorso di testi. Non mi convinci con una base fusion.

Fusion? Uno prova a copiare spudoratamente James Brown ed esce fuori una base fusion? Allora ho sbagliato qualcosa. Pensa che un tuo collega mi ha detto che lì sembro Daniele Silvestri.
Penso che tu abbia compiuto, in generale, uno sforzo di eclettismo musicale. È un pregio ma può anche essere considerato un difetto, se le cose non vengono – a pare di chi ascolta – bene. Fusion era improprio, la fusion è più “leccata”. Diciamo che hai fatto una base funk-jazz. Non mi ha convinto. Sì, poteva essere un po’ Silvestri, ma lui è più pop. Quindi, per rispondere alla domanda di prima su cosa non mi è piaciuto… Secondo me hai provato a essere più vario, e non tutto ti è riuscito benissimo. Cosa che ci sta.

I cinque dischi da isola deserta che hai scritto nel corso degli anni e che oggi non ti porteresti assolutamente dietro. (Questi vanno scritti al volo, senza pensarci troppo, così poi puoi pentirti ulteriormente)
Non penso che potrei mai rinnegare le mie scelte di dischi da isola  deserta… Cioè… “Goodbye And Hello” di Tim Buckley, “Velvet Underground And Nico”, il primo degli Stooges, il debutto solistico di Stan Ridgway, “Crossing The Red Sea With The Adverts”, “Forever Changes” dei Love… come fai a toglierne anche solo uno? Sono molto serio anche in questi “giochini”, ci rifletto parecchio su, e difficilmente cambio idea. Magari un giorno potrei esprimere preferenze differenti, ma non ce n’è nessuno che potrei abiurare al punto di non volere assolutamente portarmelo più dietro.

Non abbiamo ancora parlato dei testi. Quali sono i testi che ti sono piaciuti di più e scendendo nel dettaglio, dimmi cosa ti è piaciuto di quei testi, se c’è qualche verso nel quale ti sei proprio identificato.
Mi piacciono più o meno tutti, e amo il fatto che siano piuttosto lunghi e articolati… oltre spesso gaberiani. Adoro, in particolare, quando dai addosso al clero. Se devo citarne uno dico quello di “Criceti”, meravigliosamente amarissimo. Un paio di versi? “Frano a valle sui detriti del tuo amore”, “i nostri fossi sono pieni di salti sbagliati”… quando ti ci metti sei un maestro di desolazione, più di te solo Claudio Lolli.

Per quanto riguarda i testi, nella recensione hai parlato di cinismo. È una cosa che mi dicono in tanti mentre io onestamente non mi sento per niente cinico. Certo, il gusto sarcastico e dissacrante del voler sempre dir la mia è una cosa che ho, ma non credo sia cinismo. Puoi spiegarmi perché hai usato quella parola lì?
Tendi a tirar fuori concetti molto espliciti, e il modo in cui li esprimi/canti non danno l’impressione che ciò che racconti ti faccia particolarmente soffrire. Prendi atto che tante, troppe cose non ti piacciono, ma in fondo non te ne frega nulla. Magari è solo disincanto, ma l’impressione del cinismo c’è. A me arriva come cinismo, seppur non sempre terribilmente caustico.

Cacchio, mi sa che comunico esattamente il contrario di quello che vorrei comunicare. Dannata eterogenesi dei fini! Cambiando discorso: su “Fuori dal mucchio” recensite tantissimi dischi e pochissimi concerti. L’impressione che se ne riceva è che “dei dischi in fondo posso anche parlartene bene, ma col cacchio che vengo a vedere un tuo concerto che farai schifo, brutto dopolavorista della musica.” Quanto ci ho preso e quanto no?
Sulla rivista, in “Fuori dal Mucchio”, recensiamo solo dischi, perché nove al mese su centocinquanta che mi arrivano sono già pochi… anche se una selezione accurata è meglio del dare spazio a chiunque. Per quanto riguarda il “Fuori dal Mucchio” in Rete, ormai fermo da quasi un anno, le recensioni dal vivo erano in effetti poche… ma non era una scelta strategica. Io vedo tantissimi concerti di area “Fuori dal Mucchio”, e così gli altri collaboratori… credo che, in generale, scrivere report di concerti non piaccia granché a nessuno. Credo, eh. A me, detta papale papale, rompe le palle: amo assistere ai concerti, ma se devo preoccuparmi della scaletta o di prendere appunti me li godo meno.

Non pensavo che non piacesse a nessuno. Comunque, mi hai convinto.Giuro, senza ironia. Ma il criterio di un disco su “Fuori dal mucchio” qual’è esattamente, se c’é? Ho visto dischi autoprodotti e dischi su major.
Su “Fuori dal Mucchio” vanno emergenti, autoprodotti, esordienti, sotterranei, di culto, sfigati assortiti (detto con ironia, va da sé). Sul giornale “normale”, al di là delle “star” conclamate, occasionalmente “proòuovo” gente di “Fuori dal Mucchio” che sta emergendo più concretamente o avrebbe tutte le carte in regola per aspirare a qualcosa di più: non parlo solo di qualità della musica ma anche di carisma, motivazioni, genere più appetibile, strutture di sostegno professionali. E poi non posso riempire ogni numero del Mucchio di italiani, sono troppi.

Sì, sì. Nessuno dice di riempire il giornale di italiani. Anzi, siete stati i primi a dare spazio a noi sfigati assortiti, a parte le finestrelle sui demo e questo penso vi vada riconosciuto. Mi interessava sapere se “facevate un po’ come cazzo vi pare”, cosa che sarebbe peraltro legittima, secondo me.
La “linea” è mia, ma ovviamente tengo conto dei preziosi suggerimenti dei miei collaboratori. Però, lo ribadisco, c’è un metodo: dall’esterno non è sempre facile capire quale sia, ma sarei in grado di spiegare ogni singola scelta compiuta. Scelta che magari, in qualche circostanza, può anche essere stata “sbagliata”, sia chiaro.

Cosa ne pensi del crowdfunding? A me sembra un inganno colossale. Ho scritto anche un post fresco fresco sul mio sito che uscirà tra qualche giorno. Mi sembra che si voglia mettere a pagamento tutto facendolo passare per un favore. Perché le “chiacchierate via skype” date come premio? E poi che premio è pagare in anticipo qualcosa che invece puoi permetterti di pagare alla consegna? E gli “accessi nel backstage”? Ma chi si credono di essere? Non sta tutto in antìtesi con quel sistema di valori che una volta si definiva “indipendente”?
Il sistema di valori del quale parli, ammesso che sia mai davvero esistito, non c’è quasi più, fatta salva qualche lodevolissima eccezione. Rispetto al crowdfunding, per come la vedo io è solo l’ennesima “brillante” trovata per farsi pubblicità e sommergerci ulteriormente sotto inutili dischi di merda. Non avere voglia – perché è di voglia che si tratta, non prendiamoci per il culo – di investire poche migliaia di euro nel proprio progetto musicale è a dir poco ridicolo. Nonché un’ulteriore dimostrazione di come, ormai, il disco sia un concetto svalutatissimo. Sia chiaro, contribuirei anch’io all’album di qualche genio incompreso che fa il barbone, ma mai darei un solo euro a qualche figlio di papà che trova  “cool” chiedere l’elemosina ai suoi fan. Andate a lavorare, cialtroni.

Mi spieghi che cacchio vuol dire “suoni stratificati”? Lo usate tutti. E che significa usare “destrutturazione della forma canzone” se poi quando vai a sentire la canzone c’è la strofa e il ritornello? Insomma, ma ‘sti critici musicali se non sanno di musica, di cosa scrivono?
Ahahahah… sì, capisco, in effetti alle volte saltano fuori espressioni di “slang da addetti ai lavori” che possono risultare un po’ fumose. Fondamentalmente, per come l’ho capita, si parla di “stratificazione di suoni” quando in un pezzo si butta dentro un sacco di roba, spesso tutta assieme. La destrutturazione sarebbe un modo anomalo, non classico, di organizzare una canzone.Che so, Le Luci della Centrale Elettrica destruttura, i Numero6 no. Poi è vero, però, che molti colleghi o aspiranti tali usano questi termini un po’ alla cazzo… ma che pretendi, ci sono tanti sedicenti giornalisti musicali che non solo conoscono al massimo trecento dischi, ma hanno anche un rapporto seriamente conflittuale con la grammatica e la sintassi di base.

Eh, appunto. Mi sembra ci siano dei termini di moda, che si usano per quattro o cinque mesi senza sapere bene cosa vogliano dire, poi si passa ad altri. Mi chiedevo “ma dove li leggono”?
È vero, è così. Te ne racconto una?

Come resistere? Spara.
Per decenni tutti, ovunque, hanno scritto, a proposito di un’etichetta, DELLA Warner, DELLA Urtovox, DELLA Controrecords… Mesi fa, all’improvviso, tre o quattro dei miei collaboratori hanno iniziato, più o meno all’unisono, a scrivere DI Warner, DI Urtovox, DI Controrecords. Ho chiesto spiegazioni, e nessuno ha saputo darmene. Io ovviamente ho rimesso i DELLA. Come quando qualche testa di cazzo ha deciso che DECADE era sinonimo di DECENNIO: cosa che non era ma ormai, per uso comune, sta purtroppo diventando.

Mi sembra un poco “Oltre il giardino” con Peter Sellers. Ma andiamo oltre. Un amico al quale ho fatto leggere la tua recensione, mi ha detto che secondo lui a te il disco è piaciuto ma non ti ha fatto impazzire, quindi hai iniziato a scrivere cose del tipo “coerenza” eccetera perché così arrivavi in fondo.
Ma no. Non è per arrivare in fondo. Che il disco abbia qualcosa che secondo me non gira perfettamente l’ho scritto con chiarezza. Ho però voluto inserire elementi positivi oggettivi. Se non sapessi come portare a termine dignitosamente 1050 caratteri sarei un giornalista penoso, non credi? Ho scritto esattamente quello che mi sembrava giusto scrivere, nel bene e nel male.

L’ultima volta che hai fatto a pugni? Hai cominciato tu o ha cominciato lui?
Circa venticinque anni fa. Ha cominciato lui, anche da ragazzo ho sempre usato la violenza fisica solo se costretto, come ultimo strumento di difesa.

Hai mai provato a suonare uno strumento? Se sì, a che livello sei arrivato e qual era lo strumento? Insomma racconta…
La chitarra, la batteria e le tastiere, ma mi sono fermato quasi subito perché ho capito che non facevano per me: non mi sapevo coordinare bene e non riuscivo a mantenere la concentrazione. Non ho comunque rimpianti, il non saper suonare non mi è mai mancato.

La festa delle forze armate, Neil Young, Treni.

Ho fatto il servizio militare.
E sti cazzi, si lo so.
Ho fatto il servizio militare quando era ancora obbligatorio. Quando dico questa cosa qui mi sento dire per il 99% delle volte “Tu? Non lo avrei mai detto.” Sono partito dalla stazione di Modena il 19 Agosto dell’anno di grazia 1993 verso Trieste, primo reggimento fanteria San Giusto. All’epoca c’era la guerra in Jugoslavia, anzi in Iugoslavia con la I, come era scritto sui cartelli stradali di Trieste appena usciti dalla stazione e montati in cima al pullmann che ti portava in caserma. Primo Reggimento Fanteria “San Giusto”. Quando arrivi il primo giorno e vedi dei cartelli con scritto “Iugoslavia” bianchi e blu come quelli dove a casa tua vedi scritto paesini come “Portile” oppure “Prignano sulla Secchia” qualche brivido lungo la schiena ti viene. E quando arrivi in caserma e senti dire “Il primo che fa casino lo mandiamo in Iugoslavia” finisce che stai zitto. Quelli che oggi dicono che loro non hanno pensato “E’ meglio che sto zitto” neanche per un attimo, erano quelli che non respiravano neanche per paura di finire oltre la dogana di Fernetti. Finì che ci andammo a sparare, in iugoslavia. Un’esercitazione al poligono dove sparavamo e tiravamo bombe a mano, perché ogni tanto bisogna pur distrarsi con un sano divertimento virile, finì per portarci esattamente sul confine e alcuni di noi che erano andati in ricognizione il giorno precedente a piantonare la zona si trovarono accanto ad un villaggio dove in agosto c’era una festa popolare e finirono per andare a bere qualcosa con le ragazze del posto. Dopo il periodo al Centro Addestramento Reclute ci fecero giurare (quelli che dicono di aver detto cose diverse da “Lo giuro” vanno inscritti nella categoria dei mentitori patologici, gente che ha una vita talmente noiosa che è costretta a inventarsi balle su queste cose qui) e dopo qualche giorno fui mandato a Montorio Veronese, 14° Reggimento Autieri di non so che cazzo, Caserma DUCA. Una roba enorme di 8 km di perimetro con 14000 (quattordicimila, porco mondo) persone. Dopo 6 giorni chiamarono il mio nome a parte in adunata e venni trasferito ad una caserma che non conoscevo per niente. In tanti nei giorni precedenti erano stati trasferiti in parecchi posti, in tanti erano stati trasferiti a Padova ma tutti in due caserme chiamate “Salomone” dove si diceva che si stava benissimo e in una chiamata “Pierobon”, dove si diceva che “facevi i botti” (che significa che ti saresti fatto il culo come una capanna) perché era una caserma operativa. Sul mio foglio di via c’era scritta una roba che non ricordo. Ricordo solo che non si capiva dove fosse e quando lo chiedevo nessuno me lo sapeva dire, neanche tra gli “anziani”. In molti iniziarono a dire “E’ la Pierobon” e visto che basta che uno dica una stronzata convinto che tutti gli vanno dietro, in breve tempo quella sembrò a tutti (me compreso) l’opzione decisamente più probabile. Andai a Padova con una certa dose di disperazione. Alla “Duca” mi ero portato la chitarra acustica dietro, convinto che sarei stato sempre lì. Ora mi toccava partire e arrivare da “rospo” in una caserma operativa con una chitarra in mano. L’ideale per venire preso di mira subito. Partii, comunque. Quando arrivai alla Pierobon il tipo che c’era in porta centrale mi disse “Guarda che non è mica qui, che devi venire. Devi andare alla Caserma ROMAGNOLI. E’ 300 metri più avanti, sulla sinistra” (Imparai presto che a Padova c’erano più caserme che bar, a momenti. Arrivai a questa “Romagnoli” carico di speranze e incertezze. Intanto la Pierobon era schivata, ma chissà cosa mi toccava, pensavo. Entrai in porta centrale con gli zaini e la chitarra nella custodia. Mi fecero aspettare in porta centrale dove stava montando la guardia e il capoposto era un sergente maggiore con i riccioli biondi. Avevano tutti mimetiche sporchissime e il tipo mi ricordava vagamente MASH (la serie televisiva non il film. Non chiedetemi perché ma questo particolare mi sembra degno di nota). Mentre aspettavo in rigoroso silenzio il capoposto vide che ero piuttosto ingessato e quindi mi disse di sedermi e rilassarmi, poi mi prese la chitarra e disse “Questa qui è requisita”. Ora, io non so se avete presente quando mi dicono che mi prendono la chitarra e chissà cosa le succede e che io magari me la ritrovo in due pezzi. Il mio sguardo si fece serio, non dissi niente ma stavo all’erta. Poi il sergente tirò fuori lo strumento dalla custodia e abbozzò due o tre accordi. A quel punto il corpo di guardia si elettrizzò per le mirabolanti imprese chitarristiche del ricciolone, commentando come solo in una caserma si può dire. Dopo quei tre o quattro accordi il sergente mi guardò e mi disse “Ma la sai suonare?”. Io risposi di sì, un poco intimidito. Lui mi disse “Di Neil Young sai qualcosa?”. Risposi di nuovo di sì e questa volta feci partire un sorriso decisamente sollevato e complice. A quel punto il biondo fece tacere l’intero corpo di guardia e poi disse “Suonami un pezzo di Neil Young, sentiamo.”. Io chiusi gli occhi e suonai seduta stante e senza pensarci due volte “The needle & the damage done”. Ora, non per fare il figo, ma io la faccio dannatamente bene o almeno la facevo dannatamente bene nell’inverno del 1993. Ricordo che durante quell’estemporanea esecuzione non volò una mosca e alla fine partì addirittura l’applauso. Il sergente ci rimase di sasso e cominciò a richiedere un pezzo di Dylan, poi arrivò quello che chiedeva l’immancabile “Wish you were here” dei Floyd, poi si passò a Vasco Rossi (Conoscere canzoni di Vasco Rossi in situazione di aggregazione forzata aiuta tantissimo a ottenere protezione, se avete in mente di commettere un crimine e avete paura di venire beccati e finire in galera consiglio di metterne sotto almeno cinque o sei) e poi tutto quel che capitava. Fortuna che io ad orecchio giro abbastanza bene. Restai fino al giorno prima del congedo (che ritirai a Montorio Veronese il 6 agosto 1994, 49 anni esatti dopo Hiroshima) alla Caserma Romagnoli, dove venivo spesso scelto per fare i picchetti d’onore all’esterno perché prendevano i più alti, ché “bisogna far vedere che i soldati sono tutti alti che altezza è mezza bellezza” (Questa la diceva un tenente che fuori dall’esercito non avrebbe trovato lavoro neanche come “spugnetta per francobolli”). Il primo di questi picchetti lo feci il giorno 4 Novembre, quando quel figlio di buona donna del Capitano Volpe (Salve Capitano, se sei ancora vivo, spero che tu abbia male ad un ginocchio per 10 minuti al giorno e ti venga in mente il mio nome) mi revocò una licenza perché ero alto e mi mandò a fare un picchetto d’onore a Villa Pace, esattamente dove il 4 Novembre di 75 anni prima era stato firmato l’armistizio della prima guerra mondiale.

(Ringrazio ogni singolo soldato dell’esercito per farsi uccidere al posto mio per ogni controversa geopolitica che coinvolge questo paese. Con quello che costate, soprattutto dopo tutte le ruberie e sprechi e inettitudini viste in un anno di militare, mi sento di poter dire che con un “grazie” siamo pari. Sabato 10 Novembre 2012 alle 15:30 suono a Fontana di Rubiera per 30 minuti, facendo soltanto pezzi di Neil Young, per festeggiarne il compleanno. Alla sera sono vicinissimo alla stazione dei treni di San Felice sul Panaro, in quel gran posto chiamato IL PASTEGGIO A LIVELLO, che con il mio servizio militare non c’entra nulla, ma ci terrei molto che veniste.)