Informazioni su Giancarlo Frigieri

uno che suona la chitarra e canta

Lou & The Velvets

Questa sera presso CASA CORSINI a Spezzano (MO) si terrà la prima di una serie di serate chiamate “Music is my radar” a cura di Antenna Uno Rock Station. Stasera si parlerà di Lou Reed e dei Velvet Underground con diversi filmati e alcuni interventi dal vivo miei e di Nicola Caleffi dei Julie’s Haircut. Inizio Ore 20:30.

SERATA FINALE

Una volta durante la serata finale di Sanremo morì Claudio Villa. Pippo Baudo arrivò dopo il telegiornale che interrompeva in mezzo la serata e disse “Vi prego di voler tributare l’ultimo applauso a Claudio Villa.” Il teatro si alzò in piedi e applaudirono tutti. Fu un momento piuttosto toccante, in effetti. Poi Baudo disse “Lo spettacolo purtroppo deve continuare, siamo certi che anche Claudio Villa avrebbe preferito così…” e mia madre (si, proprio quella che si metteva alla finestra a urlare) allora disse che se Claudio Villa avesse voluto che il festival di fermasse, mica l’avrebbero fermato i Pippibaudi e i Gianniraveri e quindi che si poteva evitare di far certi discorsi del cazzo.

Una volta durante la serata finale del Festival vinsero Andrea Bocelli nelle nuove proposte e Aleandro Baldi nei Big e allora mia madre (si, proprio quella che si metteva alla finestra a urlare) disse che sembrava fatto apposta che vincessero solo i ciechi.

Una volta durante la serata finale del Festival, aprirono una cassaforte dove c’era una busta gialla con un biglietto che Giucas Casella aveva chiuso lì a inizio festival e dove c’era scritto il vincitore. La aprirono e c’era scritto “Riccardo Fogli”. In effetti vinse Riccardo Fogli e mezz’Italia si interrogò su come potesse averci preso. Mia madre (si, proprio quella che si metteva alla finestra a urlare) disse che era tutto truccato e che in ogni caso si faceva presto a scambiare una busta o addirittura una cassaforte. Uno dei presenti disse che “C’era il notaio” e allora mia madre (si, proprio quella che si metteva alla finestra a urlare) disse che dei notai, dei giudici, degli avvocati eccetera non bisognava mica fidarsi.

Una volta durante la serata finale del Festival vinse Alice con “Per Elisa”. A leggere l’almanacco panini del Festival di Sanremo, che è un libro che ogni appassionato di musica dovrebbe avere in un mobiletto del bagno vicino alla tazza del cesso, quella vittoria lì mise d’accordo tutti quanti, pubblico e critica, con un’interprete magistrale e una canzone di un autore come Franco Battiato. Mia madre (si, proprio quella che si metteva alla finestra a urlare) disse che la canzone faceva schifo e quella lì cantava come una cornacchia.

Una volta, durante la serata finale di Sanremo, Toto Cutugno cantò una canzone chiamata “L’italiano” e mia madre (si, proprio quella che si metteva alla finestra a urlare) disse che secondo lei la più bella era quella lì e che avrebbe vinto con la giuria popolare e che era ora che le decidesse il pubblico le canzoni più belle.

Una votla durante la serata finale di Sanremo Toto Cutugno arrivò secondo per l’ennesima volta e mia madre (si, proprio quella che si metteva alla finestra a urlare) disse che aveva proprio rotto i maroni, che era ora che nei primi posti ci fossero i giovani.

Una volta durante la serata finale di Sanremo a chi vinceva gli davano un cavallo e mi ricordo che mia madre (si, proprio quella che si metteva alla finestra a urlare) disse che non capiva cosa se ne facesse uno come Eros Ramazzotti di un cavallo.

Una volta durante la serata finale di Sanremo uno che si chiamava Francesco Tricarico disse “Stronzo” a Chiambretti e mia madre (si, proprio quella che si metteva alla finestra a urlare) disse che poteva evitare, però un po’ aveva fatto bene.

Una volta durante la serata finale di Sanremo interruppero il festival perché c’era lo slalom gigante delle Olimpiadi e un giovane sciatore bolognese chiamato Alberto Tomba era terzo dopo la prima manche, ma si sperava che vincesse. Vinse di 6 centesimi su un tedesco chiamato WOERNDL o qualcosa del genere e mia madre (si, proprio quella che si metteva alla finestra a urlare) urlò di gioia gasatissima come non l’ho mai più vista per un evento sportivo in tutta la vita.

Una volta durante la serata finale di Sanremo mia madre (si, proprio quella che si metteva alla finestra a urlare) era talmente stanca che aveva lavorato anche di sabato e la premiazione c’era talmente tardi che disse che dovevano andare tutti a cagare e andò a letto.

Una volta durante la serata finale di Sanremo vinse il trio con Gianni Morandi, Enrico Ruggeri e Umberto Tozzi e mia madre (si, proprio quella che si metteva alla finestra a urlare) era contenta, perché provatele a toccare Gianni Morandi e diventa una iena.

Mia madre adesso è alle Canarie. Torna Lunedì.

Sanremo e gli U.F.O.

Quando ero piccolino avevo un libro che si chiamava “L’uomo nello spazio”. Lo avrò sfogliato milioni di volte, imparando i nomi di Yuri Gagarin, Valentina Tereskova, la cagnetta Laika, lo scimpanzè Abe, Neil Armstrong. Buzz Aldrin invece no come da tradizione. E poi Apollo 1,2,3,4,5,6, Sputnik, Soyuz, Capo Canaveral che era anche Capo Kennedy, insomma un sacco di nomi e di notiziole. E immagini di navicelle spaziali, di astronauti, sonde, capsule, missili. Sognavamo tutti di diventare astronauti, noi bambini degli anni settanta. E poi c’erano gli U.F.O., che voleva dire “Oggetto Volante Non Identificato”, e allora non capivi perché non si chiamasse O.V.N.I. E pian piano finiva che iniziavi ad acquisire le prime parole di inglese. Lo spazio, saremmo andati ad abitare sulla luna e poi su Marte che c’erano i marziani che erano omini verdi che erano cattivi ma forse no. Perché andavamo “Verso il duemila”, come cantava Flavia Fortunato. Gli Ufo non esistevano, però. Ma alcuni dicevano di sì e quando sei bambino rimani sempre con il dubbio, che poi quando diventi grande finisce che leggi le robe dell’Area 51 e quelle cose lì che fanno in Nevada, che non ho mai capito perché quando gli americani combinano casini li vanno sempre a fare nel Nevada, da Las Vegas in poi.

Comunque, quando ho detto marziani e ho detto “omini verdi” tutti voi avete capito perfettamente cosa intendevo. Nel senso che tutti voi che state leggendo avete avuto un’immagine di un omino verde dalla “forma aliena”. Tolti alcuni dettagli per i quali ognuno si è sbizzarrito, vi siete immaginati più o meno lo stesso omino. Questo perchè nell’immaginario collettivo è affiorata e si è stabilizzata, nel corso degli anni, un’immagine perfetta del “prototipo dell’omino verde”. Il fatto che questa immagine non abbia nessun fondamento storico-scientifico non importa granché. Voi credete che quello sia un marziano e niente al mondo potrà levarvi quell’immagine. Affiorerà ogni volta che sentirete una notizia rigorosa e scientifica come “Su Marte c’era acqua” (e vi immaginerete l’omino che imbottiglia). E’ un riflesso condizionato che si autoalimenta, una specie di “Cane di Pavlov che si morde la coda”, se mi passate la battuta.

Ecco, anche per i cantanti vale la stessa cosa. Solo che l’Area 51 è in Liguria, a Sanremo. Teatro Ariston. Ci sono dei personaggi che sono messi lì come cantanti e quindi voi credete che siano cantanti. Il fatto che loro facciano dischi avvalora questa tesi. Sono a Sanremo, ci vanno spessissimo, alcuni per 4 o 5 volte, alcuni lo hanno addirittura vinto e quindi voi credete siano “cantanti famosi”. Perché se sei a Sanremo sei un cantante famoso. Tant’è vero che se suonate avete prima o poi trovato qualcuno nella vostra vita che vi ha detto “Eh, quando poi sarai famoso e ti vedremo a Sanremo…” come se questo vi garantisse la cosa più importante che in un mondo decente un cantante dovrebbe avere per essere considerato un “cantante famoso”: IL PUBBLICO.

Invece (e qui scatta il “dove voglio andare a parare”) Sanremo crea soprattutto degli UFO. Cioè cantanti famosi che in realtà non esistono. Perché non hanno li pubblico.

Facciamo un esempio con il primo che mi viene in mente: POVIA.

Povia sapete tutti chi è (come il marziano, avete un’immagine precisa) e sapete tutti cosa canta (“I bambini fanno OH”, “Luca era gay”, quella del “piccione” che ha anche vinto Sanremo). Quindi siete convinti che sia un cantante famoso, che faccia concerti pieni di persone che si spellano le mani e magari lo invidiate pure, voi che suonate per 40 persone in un locale dove vi siete dovuti montare l’impianto per un rimborso spese o poco più.

Beh, signori miei… Le persone che si spellano le mani non ci sono. Voi conoscete qualcuno che sia andato a vedere Povia?

Attenzione: non sto parlando di una piazza in estate dove eravate in vacanza e mentre passeggiavate c’era Povia e allora vi siete fermati lì “a sentire se fa quella del piccione” che “tanto era gratis”. Parlo di un pubblico vero, di veri ammiratori. Parlo di partire da casa con la macchina, farsi 20, 30, 50km magari in quattro o in cinque e pagare un biglietto, magari anche soltanto di 5 Euro. Parlo di fare tutto questo pensando coscientemente “Cacchio, stasera vado a vedere Povia” con variabile eccitazione.

Dicevo, conoscete qualcuno che abbia fatto questa cosa qui per Povia? Io no. Ogni volta che vado a suonare faccio la stessa domanda, spesso dal palco. Non ho mai trovato qualcuno che conosca qualcuno che sia andato a sentirsi Povia. Perchè il punto è che questi qui non ce lo hanno, un pubblico.

Penso a Vasco Brondi, agli Zen Circus, a Dente, ai Cani, ai Perturbazione, ai Julie’s Haircut, ai Giardini di Mirò, ai Cut, ai Movie Star Junkies, a Davide Tosches, Stefano Amen, a me (eh si, a questo punto mi ci butto dentro). Perché noi siamo “gli alternativi”? Noi ce le abbiamo le persone che si fanno i loro bei chilometri di macchina per vederci suonare e che ci tornano pure. Che ci chiedono i dischi per posta… Sono poche persone, pochissime spesso (nel mio caso) ma le abbiamo. Diventano nostri amici, dopo essere stati fan. Ma li abbiamo.

Qualcuno mi spiega perché ci dobbiamo sorbire pistolotti addirittura sugli Afterhours o sui Marlene Kuntz presentati come “emergenti” o “alternativi”? Stiamo parlando di gruppi che girano riempiendo i club e i palazzetti.

“L’alternativo” è POVIA, mi dispiace. E’ lui in minoranza. Anche perché chi volete che chiami “uno che costa come uno della televisione” che ti fa tanto pubblico come me o forse meno? Infatti, se ci fate caso, questi qui non suonano mai. Sono degli UFO, dei marziani. Ognuno di noi ne ha un’immagine ben precisa, ma nessuno li ha mai visti. Anzi, non esistono proprio, se non a Sanremo.

(Perché il Nevada è il Nevada)

Labelèn

Ieri sera Labelèn (scritto tutto attaccato e detto veloce, chè in pianura padana facciamo così) aveva uno slip che sembrava che non avesse niente, mi hanno detto. Non è che non avesse niente, però quando avete cominciato a parlarne in ufficio o sui blog o in fabbrica o nei bar c’è sempre quello che ha detto “Mah, secondo me vedrai che non le aveva…”. Se quel qualcuno siete voi, mi dispiace ma nell’ordine: le donne non sono tutte puttane tranne la vostra madre e la vostra morosa, le donne dei paesi dell’est e della Thailandia con le quali andate vengono con voi perché le pagate e non inventate scuse, le donne del vostro paese non vengono con voi solo perché vi conoscono.

Martedi sera Labelèn (scritto tutto attaccato e detto veloce, ché in pianura padana facciamo così) ha fatto vedere un capezzolo a Sanremo.

Non è che lo ha fatto apposta, però quando avete cominciato a parlarne in ufficio o sui blog o in fabbrica o nei bar c’è sempre quello che ha detto “Mah, secondo me vedrai che lo ha fatto apposta…”. Se quel qualcuno siete stato voi, mi dispiace ma nell’ordine: siamo andati sulla luna, dei Kamikaze hanno tirato giù le torri gemelle e non è vero che lo zucchero bianco fa male mentre lo zucchero di canna no. Basta. con questa smania di vedere complotti dappertutto.

A dire la verità non è neanche che si vedesse tanto, il capezzolo Dellabelèn (sempre scritto tutto attaccato e detto veloce, ché in pianura padana facciamo così). Bisognava avere un microscopio che secondo me neanche al CERN hanno delle macchine così potenti, però quando c’è da vedere certe cose l’ingegno italiano vien fuori alla grande.

Perché visto che lo guarda un italiano su due ma come vi avevo detto ne parla uno su mille (vedi post di ieri) allora bisognava che saltasse fuori qualcosa di cui poter parlare tutti insieme e che unisse il popolo italiano. Niente meglio che un poco di figa, quindi. Anzi, le tette. Perché la mamma è sempre la mamma. E allora vai con Labelèn (scritto tutto attaccato e detto veloce, ché in pianura padana facciamo così).

Ecco, cosa mi piace di Sanremo, cosa mi fa impazzire. L’ingrediente segreto di Sanremo è quel suo essere fuori dalla dimensione spazio/tempo.

Mi spiego.

In televisione siamo ormai abituati a lasciare i nostri figli piccoli al pomeriggio da soli (o con i nonni, spesso rincoglioniti e i cui controlli sono facili da eludere, soprattutto per un adolescente) davanti a uno schermo dove ci sono programmi che prevedono scambi di coppie tra coetanei, gente che si manda a fare in culo, che ha rapporti sessuali un giorno con uno e uno con l’altro e se ne vanta, che si rifà tette, culo occhi e orecchie e se ne vanta, che uccide qualcuno e diventa famoso proprio per questo e allora tutti a intervistarlo…

Ma poi a Sanremo uno fa vedere per sbaglio un capezzolo e APRITI CIELO. Fino alla settimana prima una può aver posato nuda con un pitone avvolto dentro a un crocifisso con un’icona sacra piantata dentro al suo deretano in primo piano e nessuno dice nulla. Però poi a Sanremo dice “Cacca” (neanche “merda”, basta “cacca”) e tutti si scandalizzano.

Ecco, Sanremo mi sembra l’ultimo baluardo del sacro, del liturgico. Una cosa che contagia anche le menti più illuministe che conosco, le più miscredenti, le più attaccate alla ragione.

E pensare che San Remo sul calendario non esiste nemmeno. E pensare che il patrono di Sanremo è San Romolo. Non scherzo, potete controllare.

(* Labelèn segue le regole degli articoli determinativi, con la differenza che prende la maiuscola del partitivo. Non so perché. Forse perché Sanremo è Sanremo.)

Sanremo. L’alternativa. Noi e loro

Quando c’è il festival di Sanremo non prendere mai un concerto. Mai.

E’ una regola d’oro che imparai tanti anni fa quando suonavo con un gruppo chiamato Love Flower. Facevamo musica nostra cantata in inglese e quelli che ci ascoltavano dicevano che eravamo una specie di ibrido tra i Mudhoney e i Joy Division. Quando arrivarono i God Machine ci sentimmo dire che assomigliavamo a loro, ma un poco più melodici. Insomma, quanto più lontano da Michele Zarrillo, Marco Masini, Al Bano e quella roba lì. Avevamo un ingaggio fisso in un locale che non so come mai decise di farci suonare ogni mercoledì. Il locale chiuse presto, ora al suo posto c’è una rivendita di prosciutto crudo e Parmigiano Reggiano. Comunque…Il mercoledì della settimana di Sanremo il locale era deserto. Vuoto, non un’anima viva. In pratica facemmo le prove davanti alla ragazza del nostro batterista e a due attempati quarantenni che avevano la faccia di due agenti di commercio che non sanno bene dove andare in un posto che non conoscono dopo una giornata passata a parlare del declino della bicottura e della monocottura e del boom del gres porcelanato. Non ce lo aspettavamo. Nemmeno il gestore del locale se lo aspettava e infatti ci aveva detto “Ma non penso che il pubblico che viene qui sia il pubblico di Sanremo”. Stavamo facendo un grossolano errore di valutazione. Imparai che con Sanremo non si scherza, manco per niente.
Anni dopo, il giorno in cui uscì “Fried Sponge” dei Joe Leaman, eravamo gasati per il fatto che quello era il nostro primo album ad uscire su Gammapop, che era più o meno l’etichetta dei nostri sogni e dove volevamo entrare da anni. Il disco uscì nei negozi un lunedi che era il lunedi dopo Sanremo. Dopo la prima settimana ci sentimmo per telefono io e Filippo Perfido, il boss dell’etichetta. Gli chiesi se aveva notizie di come stava andando il disco e lui mi rispose che erano pochi i negozi che glielo avevano ordinato, ma era normale perché avevamo scelto il momento peggiore per farlo uscire. Il lunedi dopo Sanremo. “Ma non credo che quelli che comprano i dischi della Gammapop siano quelli che comprano i dischi di Sanremo” dissi io. Stavo facendo un grossolano errore di valutazione. Imparai di nuovo che con Sanremo non si scherza, manco per niente.

Da allora, a meno che non capiti una cosa eclatante (da aprire per i Rolling Stones in su) oppure che ci sia da fare un favore ad un mio amico (Ho già pagato la SIAE e il gruppo non può venire, il loro batterista è in coma, vieni tu? Ti prego, se dici di sì potrai bere birra gratis per sei mesi), allora quando fisso le date per il mese di Febbraio (in genere a Novembre, più o meno) mi premuro sempre di chiedermi “Qual’è la settimana di Sanremo?” e se mi offrono una sera di quelle, beh…dico di no. E quando mi sento dire “Ma…non credo che il pubblico che viene qui sia lo stesso che guarda il festival di Sanremo” taccio in maniera educata e dico che preferisco non rischiare. In realtà sto pensando “Si, si…col cazzo che mi faccio inculare anche stavolta. Mandaci un altro a fare il kamikaze il 17 Febbraio, che da quando il venerdì è la serata dei duetti non esce più nessuno”.

Dunque, stamattina faccio colazione controllando la posta e la mia pagina Facebook, come al solito. Tonnellate di commenti sul festival. Chi parla delle canzoni dando i voti, chi commenta questo o quel vestito, chi parla di Celentano. Chi si giustifica dicendo che lo segue in quanto evento pop, in quanto evento nazionalpopolare, in quanto fiera delle vanità, in quanto catalogo antropologico…Insomma, a parte il fatto che nessuno dica di seguirlo perché guardarlo e parlarne male è proprio divertente, è bello, è una libidine…i motivi sono i più svariati.

Mi sono immaginato che visto che “noi alternativi” non stiamo parlando d’altro, sul lavoro sentirò un mare di commenti. Sarà tutto un “Ma la canzone di (riempite voi lo spazio) che schifo” oppure “Ma hai visto com’era vestita (riempite voi lo spazio)?” e cose così.

Invece….NIENTE. Non una parola. Non stiamo parlando della giornata più incasinata della storia, dove tutti hanno da parlare di qualcos’altro. Parliamo di una normale giornata lavorativa, con un “casino normale”.

Vado a casa a mezzogiorno e di nuovo apro la posta e la mia pagina Facebook. Commenti su commenti, Celentano e la canzone dei Marlene e D’Alessio e la Berté e poi non mi ricordo cosa. Commenti su commenti su commenti. Qualcuno mi manda un messaggio privato non appena mi vede in chat e mi chiede di commentare il festival.

Scopro che a sentire l’Auditel “UN ITALIANO SU DUE” ha guardato il festival di Sanremo ieri sera. UNO SU DUE. Porca troia, è un record.

Torno a lavorare. Magari con i telegiornali che hanno cominciato a pompare, i varietà che (immagino) hanno cominciato a parlare solo di quello come tutti gli anni..e poi UNO SU DUE…Chissà che casino, tutti che si interrogano su Loredana Berté e compagnia….Invece niente. NIENTE.

Ora….sicuramente nei prossimi giorni il pompaggio sarà talmente potente che tutti arriveranno a parlare di Sanremo, come al solito. Gran trionfo con i duetti e con la serata finale. Poi si ricomincerà con la vita normale.

Però, se vi devo dire la verità, comincio a credere che proprio quelli che “Non credo che il pubblico che viene qui sia il pubblico di Sanremo” siano lo zoccolo duro del pubblico del Festival. Gli altri, quelli “normali”, quelli inferiori, se lo vedono capitare lì e lo sopportano come si sopporta un conoscente rompicoglioni che vedi una volta all’anno. Noi “alternativi” invece, noi superiori e all’avanguardia, se non ci fosse Sanremo rischieremmo di dover fare a meno di quella dose massiccia di supponenza senza la quale per il resto dell’anno ci troveremmo a dover ammettere di essere dei cretini come tutti gli altri.

(Non ho la tv. Sanremo quindi non lo guardo. Ma mi rode. Gli unici giorni in cui un poco mi pento di non avercela sono quelli del Festival di Sanremo e quelli delle Olimpiadi, ogni 4 anni. Si lo so, si vede in streaming, ma non è la stessa cosa. Non so perché. Forse perchè Sanremo è Sanremo.)

“DELUXE” – Ovvero, ne puoi fare tranquillamente a meno

Merito dei Pavement. L’edizione “deluxe” del loro secondo album “Crooked rain, crooked rain”. Un disco che è un classicissimo del suono anni 90 che ascoltai tantissimo durante l’anno del servizio militare in una cassetta C-90 al cromo dove dall’altro stava il trascurabilissimo “Mariposa” dei Rein Sanction. L’altro lato penso di averlo ascoltato soltanto una volta. Mi era piaciuto il primo dei Rein Sanction (“Broc’s Cabin” si chiamava, il disco di questi simpaticoni su Sub Pop) ma il nuovo non mi aveva detto nulla e poi nel lato A apparve subito chiaro che c’era un capolavoro. Spesso rimandavo indietro il nastro utilizzando una biro per risparmiare sulle pile del Walkman, che a militare l’arte del risparmio è cosa che si impara subito. Ma sto divagando…dicevamo, l’edizione “deluxe”. Un cd in più ed un libretto ricchissimo con foto e scritti vari da parte di componenti della band. Nel cd in più, retri di singoli, versioni alternative, ecc…Insomma, le solite cose.

Una voce mi ha sussurrato “Comprare subito”, anche perché dopo aver fuso il primo lato di quella cassetta C-90 al cromo di cui sopra, non avevo mai sentito il bisogno di comprarmi il cd. Era entrato a far parte di quegli album che non possedevo fisicamente, ma che conoscevo a memoria in ogni singolo dettaglio. Anzi, proprio per quello finivo per non averli in casa. Cose da cassette, fatevi spiegare da un vecchio che non crede a quelli che dicono “Io scarico e poi se mi piace compro”, frase che spesso viene ripetuta pù volte come si fa con la battuta finale di una barzelletta spompa.

Ebbene, ho comprato il disco in questione e durante un viaggio a Siena con la signora ho schiaffato il cd nel lettore della macchina. Ho alzato il volume dello stereo e tempo venticinque secondi di “Silence Kit” ero già tornato un ventenne. Tutto l’album è scorso sul filo dei ricordi e di cose alle quali non avevo fatto caso. “Elevate me later” è sempre bellissima così come “Cut your hair” e “Range life”. “Stop Breathin” ha un finale che rasenta il genio nel suo essere minimale, “Heaven is a truck” è più bella oggi che allora, “Unfair” invece era più bella allora. “Newark wilder” è qualcosa che è impossibile classificare ed è splendida proprio per quello. E via così, fino alla fine.

Poi sono cominciate le B-sides. Una era la versione di “Camera” dei R.E.M. più stonata della storia, della quale conservavo un delicatissimo ricordo anche grazie al fatto che me la fece sentire un amico che ora non c’è più. Poi siamo passati al cazzeggio totale. Una trentina di minuti nei quali Malkmus e soci (come dicono i critici musicali seri) in pratica fanno le prove o giù di lì, non andando da nessuna parte, musicalmente parlando. Dopo circa venticinque minuti decido che ne ho abbastanza e quando tolgo il cd mia moglie, che in queste cose ha la classica pazienza delle mogli dei pazzi infervorati di musica, mi dice “Era ora, grazie a Dio”.

Ho realizzato, in quel momento, che sono pieno di edizioni “deluxe” delle quali non mi frega niente. Un esempio? Tutti i dischi dei R.E.M. in cd con una serie di brani dal vivo, lati b e cose che ho ascoltato una volta sola, distrattamente e probabilmente nemmeno per intero. E potrei andare avanti per pagine intere. A parte qualche edizione deluxe di Marley e di qualche eccezione (che, in quanto tale, conferma la regola), per il resto si tratta sempre di cose del genere.

Ora…chiaramente qualche volta ci ricascherò, perché un tossico corre sempre il pericolo di ricadere nel tunnel. Però sappiate, care le mie case discografiche in via di estinzione, che in linea di massima avete finito di succhiarmi soldi con questi specchietti per le allodole. D’ora in poi quando leggerò “DELUXE” penserò al lusso e al suo significato. Penserò a gentaglia tipo Briatore, Lele Mora oppure a finti morti di fame che pagano l’ira di Dio per bersi un Flute di spumante della Coop in una discoteca qualunque della riviera romagnola, per correre dietro a donne con le tette fredde per via delle protesi al silicone e con labbra talmente gonfie che ti aspetteresti di trovarci scritto almeno il nome del bagnino. Insomma, gente alla quale non vorrei assomigliare neanche per un secondo.

Da oggi ho capito ciò che significa “DI LUSSO”. Vuol dire che ne puoi fare tranquillamente a meno.

Caro Gastroenterologo

Caro Gastroenterologo,
so benissimo che vista la mia malattia mi hai proibito una serie di lavori di fatica nonché una serie innumerevole di cibi. So perfettamente che in caso di cattiva condotta rischio seriamente di lasciarci le penne nel medio termine. Però, dato che nessuno mi avrebbe spalato il cortile, l’ho fatto io stamattina e stasera di nuovo. Per ricompensa mi sono mangiato anche un piatto di gnocchi di patate al burro, un numero imprecisato di fette di salame, il tutto accompagnato da qualche bicchiere di Brugnolo, vino buonissimo che ho preso al “Localino”, bel posto nella Repubblica di S.Marino nel quale ho suonato la settimana scorsa. Si, lo so. Ho fatto una cazzata. Però son proprio contento, va bene?