L’ultima cena di Dylan.

Mi sono riascoltato per la nonsoquantesima volta il live di Bob Dylan alla “Royal Albert Hall”. Che in realtà non è stato registrato lì, però lo chiamano così perché blah blah blah.

C’è una lunga letteratura che parla di quel concerto. E’ il famoso concerto dove un fan (si chiamava Keith Butler, per la cronaca) gli urla “GIUDA!” prima di “Like a rolling stone” e Dylan gli risponde “Non ti credo, sei un bugiardo” e poi si gira verso la Band dicendo di suonare più forte che possono (“Play fuckin’ loud”).

I concerti in quel tour cominciavano con una prima parte dove Dylan era da solo in acustico e il pubblico andava in delirio ed estasi, poi c’era una seconda parte dove arrivava la Band e il pubblico si incazzava da matti ed era tutto un “BUUUUU” e cose così.

Si è detto mille volte dell’importanza di quel concerto, del fatto che Dylan ha elettrificato il folk e in pratica ha sancito il passaggio dal rock’n’roll al rock inteso come musica per adulti e non solo per ragazzini. Si è sempre parlato tanto del fatto che quel concerto è un simbolo dell’artista che incurante del suo pubblico sente la necessità di spingersi avanti, si è equiparata quella serata elettrica alla prima de “La sagra della primavera” di Stravinskij e cose così.

Beh, volevo dire che la parte elettrica è davvero buona, ma la parte acustica è decisamente meglio. Andatevela a riascoltare, in particolare “Just like a woman” e la strepitosa versione di “Visions of Johanna”.