Una scusa per bere gratis.

Io e il Dottor Manicardi tempo fa avevamo avuto l’idea di fare uno spettacolo dove io suonassi e lui leggesse delle cose che scrive, giusto perché in questo modo ci vedevamo una volta in più andando fuori a bere qualcosa e ci eravamo detti che se qualcuno ci fosse cascato, allora non avremmo nemmeno dovuto preoccuparci del fatto di dover chiedere il conto e anzi, magari ci sarebbero saltati fuori due euri. Poi abbiamo lasciato lì la cosa, che tanto figurati chi è così stupido da cascarci, ci siamo detti. Beh, quelli dell’ “AH BEIN BAR” di Via CANALINA 19 a Reggio Emilia ci sono cascati e ci hanno chiamato a fare questa roba qui e quindi noi stasera ci andiamo. Si mangia anche. Cucina tipica emiliana a prezzi super competitivi, che è l’unico motivo per il quale venire. Se però dovete mangiare della roba che avete in casa che altrimenti vi scade, allora potreste andare davvero da un’altra parte: tipo alla Sala Truffaut a Modena c’è un bel documentario su Gregory Crewdson, al Rosebud c’è l’ultimo di Ozon, oppure state in casa che c’è anche freddo e chi ve lo fa fare di uscire vestiti pesanti?

Concerti

Questo sabato (26/10) suonerò allo Stella Nera di Modena. A Novembre vi aspetterà “Una scusa per bere gratis” che è una idea nata da letture del Dr.Manicardi e musiche mie. A fine novembre una data in quel del “Pasteggio a livello” di San Felice sul Panaro. Poi il vuoto, fino a febbraio. Non è che mi sono ammalato, tranquilli. Aspetterò di avere il disco nuovo fuori, tutto lì. Portate pazienza.

Il Giardino dell’Eden.

Sabato 21 settembre aprirò per The Youngs al GIARDINO di Lugagano di Sona (VR). Il giardino è un posto dove si comincia in orario precisi e si finisce alle 24.

Dove il posto è piccolo ma una band amplifica tutto.

Dove il pubblico che ti sta davanti ti guarda tutto il concerto SEMPRE senza fiatare mentre suoni: al massimo (ma per fortuna me lo hanno soltanto raccontato) dove il pubblico abbandona la sala educatamente in silenzio.

Dove se uno fa casino e chiacchiera impedendo agli altri di sentire bene, beh, è l’ultima cosa che fa lì dentro.

Dove c’è un juke-box della Wurlitzer con i 7′ originali dei ’60 e ’70.

Dove quando suoni come gruppo principale si fanno due set con un quarto d’ora di pausa.

Dove suoni almeno due ore, altrimenti si chiedono come mai gli hai dato soltanto l’antipasto.

Dove il gestore fa un cazziatone al fonico se lascia la cordiera del rullante della batteria mollata quando prima c’è un chitarrista acustico.

Dove il fonico, vuoi per il cazziatone di cui sopra, è un ragazzo giovane e bravissimo che ti tira fuori un suono sul palco e fuori che ti chiedi come fa.

Dove c’è una parete intera con la foto di copertina di Sgt. Pepper dei Beatles.

Dove le luci per il palco partono da una chitarra gigante che capeggia sul soffitto.

Dove il pubblico ti compra i dischi e ti chiede sempre come mai non hai fatto anche il vinile.

Insomma, è un paradiso. Il fatto che sia in un garage di una abitazione, che vi si parli prevalentemente dialetto veneto, che nonostante io ci abbia suonato 4 o 5 volte sbaglino ancora a scrivere il mio cognome :-) probabilmente ha un significato profondo, ma ancora non riesco a coglierlo. E francamente chi se ne frega. Io sabato 21 suonerò una quarantina di minuti prima della miglior tribute band di Neil Young d’Italia. Venite in paradiso con noi?

 

DISTACCO.

La presente per comunicare che questo autunno inverno cercherò di centellinare un poco le uscite dal vivo.  Il fatto è che a fine mese entrerò in studio per realizzare quello che sarà il mio nuovo album. Il disco si chiamerà “DISTACCO”, conterrà 10 canzoni nuove e uscirà, se tutto va come deve andare, ai primi di Marzo 2014. Lo registrerò all’Igloo di Correggio (RE) e dietro al mixer in cabina di regia ci sarà Andrea Sologni, bassista dei Gazebo Penguins.

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VU.

Era il 4 luglio del 1989, avevo quasi 17 anni. Stavamo andando a sentire “Piastrella Rock”, che era un festival con gruppi locali che suonavano a Fiorano. Lo presentava Stefano Covili di Radio Antenna Uno, detto il Cocco. Siamo saliti sulla macchina (non mia, non potevo) e abbiamo messo sui 104.7, la frequenza di Antenna Uno Rock Station. C’era la nastroteca ed è partita una canzone con un pianoforte che picchiava come un martello e una batteria ancora più ossessiva, delle chitarre che friggevano, poi una voce secca e impietosa attacava dicendo “I’m waiting for my maaaaaaaannnnnn”. Mi andò il cervello in pappa, un suono così non lo avevo mai sentito. Nicola Caleffi, che all’epoca di anni non ne aveva ancora 16 ma già trasmetteva ad Antenna Uno e che era il mio “compagno di dischi” dell’adolescenza mi disse che quelli erano i Velvet Underground. Mi disse che erano fighissimi, che i pezzi erano tutti così, andavano avanti secchi e dritti al punto. Niente assoli inutili, niente virtuosismi particolari o numeri da circo. Mi disse che il testo del pezzo parlava di uno che aspetta il suo spacciatore e che nello stesso disco c’era una canzone che si chiamava “Heroin”. No, dico. EROINA, punto e basta. Se mia madre mi avesse chiesto “Come si intitola questa canzone?” avrei avuto il coraggio di risponderle? Il giorno dopo Nicola trasmetteva in radio e quindi lo passai a trovare e mi feci tirare fuori il disco. Aveva in copertina UNA BANANA e sotto c’era scritto ANDY WARHOL. Non avevo mai visto niente del genere, a parte forse la copertina di “In the court of the Crimson King”. Ma qui la musica era allucinante. E chi cacchio era NICO, che veniva citata in copertina? “Una cantante tedesca”. Ricordai che ne avevo sentito parlare per il fatto che era stata con Morrison. Qui di Morrison ce n’era un altro, si chiamava Sterling ed era chitarrista e bassista. Poi c’era uno che suonava la viola e si chiamava JOHN CALE. Io conoscevo solo J.J. Cale e per un microsecondo mi chiesi se c’entrasse qualcosa. Poi alla batteria c’era scritto un nome. MAUREEN TUCKER. Una donna. Strano anche questo. Partì il primo brano. Nico cantava in tre pezzi, mi aveva detto Nicola. Credetti che il primo fosse “Sunday Morning”, un errore che fanno tutti visto che poi mi dissero che “No, quella è la voce di Lou Reed”. Cosa? Io Lou Reed lo avevo sentito, era quello che cantava “Walk on the wild side”, che faceva “DU DU DU DU DU” nel ritornello. Non poteva essere quello. E invece si. Poi arrivò “I’m waiting for THE man” che io credevo si chiamasse “I’m waiting for MY man” visto che nel testo lo diceva. Strano anche questo, soprattutto perché la voce era sempre quella di Reed, ma stavolta la riconoscevo come tale. Poi arrivò “Femme Fatale” e Nico fece la sua comparsa. Non ci stavo capendo niente ma era tutto bellissimo. Quando attaccò “Venus in furs” il mio cervello andò definitivamente in frantumi. Io una cosa così non l’avevo veramente mai sentita. MAI. C?era una viola distorta che faceva il diavolo a quattro e intanto un tamburello marziale, con questa voce gelida che cantava “Shiny shiny, shiny boots of leather…”

Nessuno ha un suono del genere. Nessuno.

Non ricordo se arrivai a “All tomorrow’s parties” o a “Heroin”. Ricordo che uscito dalla radio andai in un negozio di dischi e comprai “The Velvet Underground & Nico”. Chiesi “Quello con la banana” per essere chiaro, poi scoprii che quel disco è per tutti “La banana”. Quel disco rimase sul piatto fino a settembre. Prima un lato e poi l’altro. Senza soluzione di continuità. Non riuscivo ad ascoltare altro. Ogni tanto pensavo “Adesso cambio disco”, ma poi finivo per mettere SOLO QUELLO. A settembre comprai “Velvet Underground Live With Lou Reed VOl 1” e feci la conoscenza di “Pale Blue eyes” e di un altro aspetto dei Velvet. Quella era una canzone dolcissima e il loro terzo disco, il “disco nero”, ne era pieno. Lo comprai. Lo consumai (quasi) quanto la banana. Poi comprai ogni disco dove trovavo scritto “Heroin”. Comprai “Rock’nRoll animal” di Lou Reed e anche se era pieno di chitarroni roboanti supertecnici mi piacque molto. C’erano alcune canzoni stupende, come “White Light White Heat” e “Lady Day”. Scoprii che la prima era nel secondo album dei Velvet Underground, che però all’epoca non si trovava in vinile neanche a pagarlo oro e quindi me lo feci registrare su cassetta. Era RUMOROSISSIMO. C’era una canzone di 17 minuti che si chiamava “Sister Ray” e scoprii che non era dei Joy Division, visto che l’avevo sentita su “Still” e non mi aveva detto niente, ma mi ricordavo il titolo. C’era “Lady Godiva’s Operation” che era una cosa incredibile. C’era un racconto chiamato “A GIFT” di uno che si fa spedire dentro ad un pacco postale alla sua ragazza per farle una sorpresa e lei nell’aprirlo con due cesoie gli apre la testa in due. Ormai avevo un libro dei testi, di Lou Reed e i Velvet Undeground. Feci la conoscenza con i testi di “Berlin” e lo comprai fiducioso visto che lessi che era prodotto da Bob Ezrin, che aveva messo le mani dentro a “The Wall” dei Pink Floyd. Era un disco bellissimo, di una tristezza cruda e cupa che avrebbe scandito il tempo di parecchie serate dei miei lunghi inverni. Un disco di quelli che quando hai finito di ascoltarlo la tua vita non è più la stessa. Di quelli che esci con i tuoi amici in bar e tutti ti chiedono “Cos’hai?” e allora che gli rispondi? Che hai ascoltato un disco e che ci stai ancora pensando? Poi toccò ad altri album. A “Street Hassle”, che aveva il pezzo che intitolava tutto che durava l’ira di Dio e parlava di uno stupro e di storiacce di strada su un tappeto di archi talmente soave che il contrasto rischiava di annichilirti. Poi “Loaded”, che ora lo salutano tutti come un classico, ma all’epoca ne parlavano tutti male ed in effetti suonava troppo normale, per essere un disco dei Velvet (ma avercene, sia chiaro). Da lì in avanti arrivarono pure “Songs for Drella”, comprato il giorno stesso dell’uscita così come “Magic and Loss”, la cui tournèe mi vide in seconda fila al teatro Storchi di Modena per uno dei concerti più belli della mia vita. Poi ci fu la reunion, che non mi piacque per niente perché quando metti qualcosa su un piedistallo e lo idealizzi poi non dovresti mai farlo scendere sulla terra. Ma la soddisfazione di vedere dal vivo Moe Tucker che suonava in quel modo folle oggi mi rende contento di essere stato là, contro la transenna al centro ovviamente. Arrivai persino a comprare i tributi ai Velvet Underground su Imaginary, dove i Nirvana facevano “Here she comes now” ma la parte del leone erano la versione IMMENSA di “All tomorrow’s parties” dei Buffalo Tom e “What goes on” degli Screaming Trees. Ogni band che faceva una canzone dei Velvet per me era dalla parte giusta (e quante erano, madonna mia). E poi ogni volta che si finiva a suonare con qualcuno e non si sapeva cosa suonare bastava che uno dicesse il titolo di un pezzo dei Velvet Underground oppure di Lou Reed che si poteva suonare alla grande, senza bisogno di essere dei mostri dello strumento.

Non riuscirò mai a spiegare cosa sono stati per me i Velvet Underground. Di sicuro mi hanno cambiato la vita. La vita e la concezione stessa di cosa potesse essere una canzone.

Però, mercoledì 31 Luglio (cioè stasera, per tanti che stanno leggendo) al SUN AGOSTINO di Modena ci saremo proprio io, Nicola Caleffi e i ragazzi di Radio Antenna Uno. Proveremo a parlarvene e a suonarvene, sicuramente tralasceremo qualcosa e argomenteremo in maniera scomposta, sconnessa e inopportuna. Però, con un poco di fortuna, magari potremmo anche cambiarvi la vita. Venite a provare.

E’ solo un gioco. (Drogati, dipendenze, quelle cose lì).

La giornata di oggi, domenica 21 Luglio 2013, inizia con me che mi sveglio dopo un doppio concerto a Livigno. Mi alzo, vado a fare colazione con Matteo, che è quello che mi ha chiamato a suonare. Ci facciamo due risate, poi vado a comprare della bresaola in un posto che mi consiglia lui, faccio il pieno di gasolio che a Livigno costa 1,1 € al litro. Parto verso casa, il che significa passare dalla Svizzera, fare il “Pass dal Fuorn” e attraversare il “Parc Naziunal Svizzer” ascoltando RADIO RUMANCIA, dove parlano soltanto in romancio. Rido tantissimo, soprattutto quando il DJ mette una cover di “A hard day’s night” dei Beatles cantata in romancio. Poi arrivo in dogana in Italia. O meglio, in Sud-Tirolo, a Tubre. Il doganiere mi ferma, mi chiede la carta d’identità, mi chiede da dove arrivo e io rispondo “Livigno”. Allora mi chiede se ho comprato sigarette, alcool e robe varie. Mi fa aprire il baule della macchina e vedendo la chitarra mi dice “E questa?” e io gli spiego che sono andato a Livigno a suonare. Lui allora mi dice “Ah, lei suona, eh?” con quel tono da chi vuol intendere che se tu suoni sei un drogato, un poco di buono, un mezzo barbone sbandato. Io a quel punto rispondo solo “SI”. Lui non dice più nulla.

Mi è sempre stato mortalmente sul cazzo questo modo di vedere noi che suoniamo come dei mezzi barboni, straccioni, drogati, parassiti della società: Mi è sempre stato sul cazzo perché io ho un lavoro, una casa di proprietà, faccio una vita normale e perfettamente borghese, tutto sommato. Solo che per hobby mi piace girare l’Italia (anche passando per la Svizzera) cantando le mie canzoni. Forse al doganiere e a tutte queste persone per bene, piace andare allo stadio, oppure fare bricolage, magari fanno la collezione di “Tex” e spendono centinaia di euri per la prima stampa di “Uno contro venti” (Il numero 2 di Tex). Eppure a loro nessuno rompe le palle con quel tono che lascia intendere chissà quale modo di vivere.

Mi sta mortalmente sul cazzo ancora di più quando poi queste brave persone vanno in vacanza e magari se ne stanno in piazzetta a mangiarsi un gelato e c’è qualcuno che suona e allora sono contenti, che in centro c’è un poco di musica e “che bella voce ha quella ragazza lì, che faceva le canzoni di Elisa che era proprio uguale” che allora a quel punto lì non sei più un brutto parassita perdigiorno, solo perché ti fa comodo.

Entro in Sud Tirolo, mi sparo tutta la statale fino a Merano ascoltando le radio di Blasmusik,l’equivalente del liscio in lingua tedesca, una mia passione insana. Adoro sentire queste canzoni melense con testi un poco sempliciotti e adoro vedere come fanno le rime in lingua tedesca. In genere al terzo ritornello sto cantando la canzone da solo in macchina, come un imbecille e rido. Chi mi vede pensa che io sia pazzo e stavolta forse ha ragione.

Poi prendo l’autostrada a Bolzano e vado verso casa. Mi fermo a mangiare qualcosa, poi riparto e ad un certo punto, visto che sono stanco, mi fermo di nuovo in un’area di servizio a prendere qualcosa di rinfrescante e a fare un’ultima pausa.

Sono all’area di servizio MAGLIONE SRL POVEGLIANO OVEST, al Km. 240 dell’A22. Il telefono è 045/7925360. Sono le ore 14, almeno questo dice il mio scontrino, che ho prontamente conservato.

Mentre sono in fila alla cassa, vedo che ogni persona davanti a me che compra qualcosa si sente dire “VUOLE ANCHE UN GRATTA E VINCI?” dalla cassiera. Non so se sia legale, mi dico, incitare al gioco d’azzardo.
Ogni persona, qualsiasi cosa compri, prima ancora di sentirsi dire l’importo, si sente dire “VUOLE ANCHE UN GRATTA E VINCI?”.

Arriva il mio turno. La tipa mi dice “VUOLE ANCHE UN GRATTA E VINCI?”.

“Mi può togliere una curiosità?”
“Dica”
“Lo fate anche con le sigarette?”
“In che senso?”
“Vuole anche una stecca di Marlboro? Vuole cominciare a fumare?”
“AHAHAHA” (la tipa ride)
“No, perché volevo capire se lo facevate anche con il fumo o solo con il gioco d’azzardo”
(La tipa smette di ridere)
“Guardi, io lo so che non è colpa sua e che a lei danno degli ordini, lo so che se lei non esegue gli ordini probabilmente finisce anche nei guai. Però mi piacerebbe vederlo in faccia l’imbecille che le dà questi ordini”

La tipa di colpo dice “3,94. Grazie e buon viaggio anche a lei, salve”. La tipa a fianco a lei le chiede “Cos’ha detto?” ma intanto la ragazza che mi ha servito è già uscita dalla cassa (la fila c’è ancora, notare) e parte spedita verso un punto dell’area di servizio, entra in un punto che non so cosa sia, ma immagino sia andata a segnalare l’accaduto.

Ecco, io in un posto dove una chitarra fa pensare a qualcosa di illegale e dove invece si incita a giocare d’azzardo chiunque ti capiti davanti senza che nessuno protesti o dica niente, penso che ci vorrebbero più chitarre. E penso che le dogane dovremmo tenerle nel nostro cervello, non necessariamente dove dice una cartina geografica.

777

Quelli che mi hanno visto dal vivo lo sanno. Se c’è una cosa che non mi piace dei concerti definiti “indipendenti” (di noi poveri) è la faccenda del bis.

Nei concerti fighi uno esce, il pubblico chiede automaticamente il bis, torna fuori e via.

Noi no. Quando abbiamo finito accade che ci mettiamo di lato, nessuno ci richiama fuori se non un piccolo e sparuto gruppo che in genere organizza il concerto, tu te ne stai lì come un pirla fino a quando quello che organizza ti viene proprio a stanare. Allora tu torni fuori, quelli che sono lì ti guardano come uno sfigato e tu fai un paio di canzoni ancora in un’atmosfera patetica.

Per ovviare a questa cosa veramente squallida, ho inventato “la buffonata del bis”. In pratica mi metto d’accordo prima con il pubblico. La cosa è nata in maniera spontanea fino a ripetersi talmente tante volte che ormai è proprio un momento del concerto a parte, con tutta una serie di gag che ripeto con un’aria da vecchio mestierante, come un cabarettista fa con i numeri del repertorio che sa che funzionano.

In genere lascio al pubblico 3 opzioni. La “A” prevede che faccio un brano e poi fine. La “B” prevede che faccio un pezzo e poi esco, vado in bagno e torno a farne un paio. La “C” prevede che esco, tutto il pubblico grida “fuori, fuori” e io torno fuori facendo finta che mi abbiano chiamato per davvero.

Manco a dirlo, 95 volte su 100 il pubblico sceglie la “C”, perché trova la cosa divertente e perché al pubblico piace partecipare agli scherzi. Ragion per cui l’esposizione delle tre opzioni è una faccenda che occupa quei dieci minuti, nei quali in genere si ride parecchio. Per alcuni il momento da ricordare del concerto rimane quello, mica quando canto.

Solitamente, per far capire che se dicono “Fuori, fuori”, lo devono fare proprio bene ma bene, una roba che sembri vera, tipo stadio, individuo un tavolo che fino a quel momento si è fatto completamente i cavoli suoi e dico una cosa del tipo “Dovete farlo talmente forte che quei 3 lì al tavolo che è tutta la sera che si fanno i cazzi loro devono pensare di essersi persi un concerto della madonna”, il tutto magari condito con qualche battuta sui malcapitati che, in genere, nel frattempo continuano comunque a farsi i cavoli loro, salvo poi risvegliarsi al “fuori, fuori”. Insomma, una cosa da vecchio mestierante, come dicevo.

Ieri sera ero all’80° Miglio, un locale di Modena molto carino sulla Via Emilia. Arrivo al punto della buffonata del bis, espongo le 3 opzioni, quando parlo della “C” dico “Ma così bene che quei 4 beoni lì al tavolo di fianco che è tutta sera che non ascoltano e si fanno i cazzi loro si danno una svegliata”. Vedo che le facce del resto del pubblico, che in genere a questa frase ridono apertamente, hanno uno strano stupore. I tipi intanto continuano bellamente a farsi i cavoli loro, non sono nemmeno gli unici, a dirla tutta. Ma ormai ho scelto quelli, sono vicini al palco, li vedo bene, eccetera.

Visto che i tipi continuano, continuo anche io “Vedi, guardali lì. Anche adesso proprio non ci cagano pari. Quindi adesso li svegliamo in modo che pensino “GUARDA CHE CONCERTO MI SONO PERSO” e cose così”.

Le facce del resto del pubblico ridono, ora. Alcune ridono TANTISSIMO. I tipi continuano a parlare tra loro, in maniera molto animata, penso io. Infatti, come i classici italiani, muovono tantissimo le braccia quando parlano. C’è un detto di non so che paese che dice “Se vuoi far tacere un italiano, legagli i polsi”.

Io continuo e rincaro la dose, ironizzo pesantemente. Poi ad un certo punto, è una frazione di secondo, realizzo. Proprio mentre uno del pubblico mi fa un segno inequivocabile.

Ho scelto un tavolo di sordomuti e, manco a dirlo, io sono nel mezzo della “madre di tutte le figure di merda”, per dirla con il generale Schwarzkopf.

A quel punto comincio a ridere, in maniera quasi isterica. Io e il resto del pubblico ridiamo tanto, ma tanto, della cosa. Loro quattro ovviamente tirano dritto, non si sono accorti di nulla.

Per fortuna non hanno sentito…

Rocchi

E’ morto Claudio Rocchi, due o tre giorni fa. Ho sempre mal sopportato l’alone mistico che ne circondava le gesta e le sue uscite sul vegetarianesimo, non ero assolutamente d’accordo con quanto diceva sul Crowdfunding, ho trovato alcuni suoi dischi mortalmente noiosi. Però mi dispiace davvero tanto, soprattutto perché vedevo in lui un uomo davvero incredibilmente sereno e fiducioso verso il futuro, anche nelle condizioni più avverse e questa speranza eterna che lo accompagnava l’ho sempre ammirata tanto, così come “Volo Magico Nr.1” che è un disco incredibile. Oltre all’uomo, per il quale dispiace sempre, e ne va un personaggio con una personalità decisamente forte. Questo è davvero un peccato.

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Back to Black, Back in Black, Black Block, insomma… Basta che sia nero.

Ieri, 4 Maggio 2013, c’è stata una memorabile edizione della Neil Young Convention. Ogni anno quel pazzo di Giampaolo Corradini organizza un raduno di fan di Neil Young e dintorni. Arrivano gruppi e persone da tutta Italia. Si fanno concerti al pomeriggio al Tabacchi Blues a Fontana di Rubiera e alla sera in un altro posto (negli ultimi tre anni al “Batard” di San Prospero). Quest’anno con mia moglie abbiamo portato il nostro banchetto per il Canile di Arceto, dove vendiamo vinili, Cd, libri, vestiti ecc…

C’è della bella roba. Molte persone comprano e tornano. E’ andata molto bene. Ma non volevo parlare di questo.

Ad un certo punto, ieri pomeriggio arriva un ragazzino di 8 anni, con una stampella si avvicina e con una decisione che non avevo mai visto in un ragazzino del genere chiede “Cos’hai di FUNKY?”.

Io do un’occhiata al banco dei CD e non è che abbia tantissimo, però trovo “I just can’t help myself” di Terry Callier a 3 euri e gli dico “Cavoli, questo è tosto.” Lui guarda, lo mette da parte. “E POI?” chiede, sempre con quel tono che nei telefilm di Starsky e Hutch hanno gli spacciatori portoricani.

E poi non mi ricordo, che ero un attimo stupefatto dalla situazione, ma qualcos’altro l’ho trovato, sempre a 3 euri. Poi guardando in giro vedo “PLAY” di Moby e gli dico “Anche questo potrebbe piacerti” e sono ancora intontito dal fatto che sto parlando con un bambino di 8 anni. Lui prende il disco di Moby, lo gira e poi dice “Nooo… è bianco, non mi interessa”.

Si volta verso sua madre e dice “Mamma, due cd di funky a 6 euro. E’ un buon investimento”. La mamma tira fuori i soldi e lui, tutto contento, si mette in saccoccia i due cd.

Son basito. Il prossimo anno mi porto un dischetto minore di Fela Kuti e glielo regalo, quasi quasi.

 

 

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Dispiaceri

Mi dispiace molto per Jannacci. L’unica cosa positiva è che si ritroveranno i suoi album originali invece che raccolte recenti risuonate con arrangiamenti decisamente discutibili. Il corpo muore, lo spirito si rinnova e dopo tanti anni passati a ritenerle speculazioni, oggi penso invece che sia comunque una buona occasione. Se l’opera di un uomo è valida, ogni occasione è buona per glorificarla. Anche la morte.

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