REGGIO, QUASI PARMA.

Ogni tanto, per motivi di lavoro, mi tocca andare in uno stabilimento in montagna sull’appennino reggiano. Sulla strada del ritorno (che all’andata prendo l’altro lato di quella rotonda) una volta ho fatto caso ad un bar. Sembra uno di quei “bar dei vecchi” dove ci sono personaggi con la pipa che giocano a carte (e ci sono davvero) e dove al bancone trovi magari ancora una bottiglia di Don Bairo o della Brunella Ballor di Fantozziana memoria. C’è una saletta che si vede benissimo perchè la parete è a vetri. Guardando quel posticino lì mi son sempre detto che mi sarebbe piaciuto un giorno suonarci dentro. Son quei posti che ti attraggono a prima vista. Un paio di volte ho anche pensato di fermarmi a chiedere se avevano voglia che passassi con la chitarra a fare quattro-cinque canzoni. Poi son quelle cose che non fai mai, per carità. Però ogni volta che passavo mi rimaneva “la romella”, come diciamo noi in Emilia-Romagna. Un giorno, mentre sono a cazzeggiare su Facebook vedo nei suggerimenti degli amici, chissà come, quel bar. Gli “chiedo l’amicizia” e poi decido che gli spiego questa mia passione insana nei confronti del posto. Gli racconto tutta questa pappardella come l’ho raccontata a te che stai leggendo. Finisce che mi rispondono. Dicono che volentieri mi prendono a suonare e che se vogliamo fissare una data la fissiamo subito. Dicono che ci ha suonato pure Stefano Giaccone (si, quello dei Franti. Pensa te) e dicono pure che d’estate fanno un sacco di cose nella corte interna, che a vedere le foto è proprio una figata. Vien fuori che il posto in questione è un posto vivissimo, un circolo arci che non vedrai mai su Music Club o su qualche sito di quelli superfighi ma che organizza spesso concerti, mostre, presentazioni di libri e cose così. In più vien fuori che tutti i sabati pomeriggio dalle 17:30 alle 20 le rèzdore fanno dei quintali di gnocco fritto con il salume, se uno vuol mangiarlo o portarlo a casa. Vien fuori che io sabato 23 marzo (questo sabato, sì) sono proprio lì, a SAN POLO D’ENZA, che è ancora Reggio Emilia ma di poco, che siamo quasi in provincia di Parma. Che per me che son di Sassuolo, che è Modena ma quasi Reggio non è che ci sia tutta questa differenza tra Reggio e Parma, ma questo è un altro discorso. L’importante è che sabato sera, se arrivate entro le 20 c’è del gnocco fritto a badilate e alle 21:30 inizia il mio concerto in questo posticino qui, che sarà una roba che per quel che mi riguarda è un sogno che si avvera. Perché delle volte è bello sorprendersi a non sognare di suonare al Madison Square Garden ma a “sognare basso”, così da poter realizzare i sogni mandando una mail o poco più. Se volete essere parte del sogno: CIRCOLO ARCI PONTENOVO, SAN POLO D’ENZA. Sabato 23 Marzo. Mi raccomando, puntuali che i sogni non ammettono ritardatari.

Musica strana, parole strane.

Ogni tanto passo la fase “Adesso ascolto soltanto musica classica”. La prima volta mi è successo dopo aver letto “Il resto è rumore” di Alex Ross. I libri di Alex Ross sono una cosa incredibile. Una roba che li leggi e ti viene voglia di ascoltare un sacco di cose. Alcune di queste cose poi le ascolti e ti vien voglia di tornare soltanto a leggerne. Ma non è questo il punto.

Mi sono avvicinato, da profanissimo e senza una istruzione musicale formale degna di tal nome, a parecchia della musica classica del ventesimo secolo. Ci sono cose davvero notevoli, cose che non capisco, cose che non capisco perché dovrei capirle, cose che capisco che non voglio capire. Da lì ho cominciato la lettura anche di altra bibliografia a riguardo. Alcune cose anche legate all’educazione musicale in senso formale.

Di recente, sapendo di questa mia flippa, il grande Luca Zirondoli (Socio del Dottor Manicardi nel blog BARABBA che vi consiglio di frequentare) mi ha regalato un libro che ha trovato a poco in un mercatino. Un libro di tale Armando Gentilucci chiamato “GUIDA ALL’ASCOLTO DELLA MUSICA CONTEMPORANEA”. E’ un libro del 1969, con successive ristampe e integrazioni. Questa copia, che mi è stata consegnata dopo il concerto al Kalinka venerdì scorso, è del 1983. Quindi Cage, Nono, Stockhausen… sono ancora tutti vivi. Il libro è un utile compendio visto che ci sono 105 schede di altrettanti compositori, comprendendo anche quelli poi considerati minori. Ad esempio, che ne sapevo io che esisteva MARIO ZAFRED (Triestino, è l’ultimo in ordine alfabetico. Non ho ancora sentito nulla, poi un giorno vi dico)?

Poi è successa una cosa che mi ha fatto ridere. Apro il libro a caso e mi capita la scheda di Mauricio Kagel, un argentino che ha fatto delle robe piuttosto fuori di testa.

Cito testualmente:

“Assistiamo in Mauricio Kagel al graduale dissolvimento della musica intesa come fatto esclusivamente inerente alla categoria del “sonoro” e invece al progressivo sopravvenire della “gestualità”. Contrariamente a Cage, però, egli proviene dall’esperienza del materismo informale e dalla ricognizione della fonicità inesplorata, e questo lo porta a tentare di risolvere l’antinomia tra sovrabbondanza bruitistica e riduzione al silenzio; così Kagel aspira a comporre un organismo che secerna il gesto e lo integri rappresentativamente organizzando una rete di rapporti ben precisi, tale da non negarsi, almeno nei pezzi migliori, alla compiutezza dell’organismo sonoro e teatrale (o para-teatrale). La poetica, conclude, nell’esito musicale, alla radicalizzazione degli opposti atteggiamenti: dalla coagulazione materica violentissima, dall’immagine squassata e frutto di un gesto omicida, ai borborigmi inarticolati, allo squallore degli oggetti sonori squisitamente inerti e proiettati in un universo astratto, senza contesto plausibile.”

Giro e leggo la quarta di copertina del libro:

“Questo volume, scritto in uno stile discorsivo, con un linguaggio volutamente accessibile anche ai non addetti ai lavori…”.

Si, certo. Come no… Ma vaffanculo, va.

(Ottima lettura da cesso, comunque. Grazie Ziro. Davvero.)

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L’isola dei famosi (The recruiting sergeant)

Tra poco ci saranno le elezioni. Nascono partiti come funghi. Ora si chiamano “Movimenti” perché la parola “Partito” fa schifo e puzza, ma in realtà sono “Partiti”. Nel senso che hanno cominciato. E la cosa, se ci pensate, è poco rassicurante. Ve lo dicono in faccia, che sono partiti? No, preferisco tenervi sulle spine. Sono “Movimenti”. Si stanno muovendo, se partiranno ve lo diranno poi. Intanto si muovono. E’ come quando avete qualcosa nello stomaco che vi arreca fastidio e non sapete se mangiando qualcosa vi passi o vi aumenti. Tu chiamali, se vuoi, “Movimenti”.

In periodi di cambio generazionale della politica i movimenti si moltiplicano. Ognuno pensa che forse è la volta buona e che quando grande è la confusione, si può pure tentare. Qualcuno ci potrebbe cascare. Ma non è di questo che voglio parlare.

Voglio parlare del reclutamento. Lorsignori parlano della “scelta” degli uomini e donne più capaci per “guidare il paese fuori dalla crisi”. A dirla tutta, più passa il tempo e più mi convinco che la “crisi” sia una condizione permanente, come la guerra in “1984” di Orwell. Serve da giustificazione per ogni porcata che tolga spazio allo stato sociale. Ma non è di questo che voglio parlare.

Dico “reclutamento” perché la scelta presuppone che si prendano le menti migliori. Invece il “reclutamento” indica bene come si vada a pescare nel mucchio quelle che sono vere e proprie calamite da voto, specchietti per le allodole. Il metodo è più o meno quello de “L’isola dei famosi”.

Un metodo del genere portò Berlusconi a mettersi dietro soubrettes, attricette e cose simili. Ci siamo trovati Ferrara ministro (“La cosa più bella di Ferrara è la Spal. E gioca in serie C” disse mio fratello all’epoca), ci siamo trovati la Carfagna ministro (“La cosa più bella della Carfagna non la posso vedere se non in fascia protetta” disse un mio collega) e la Carlucci parlamentare (“La cosa più bella della Carlucci è quando non c’è” disse non so chi, riferendosi probabilmente a Milly).

Insomma, la destra reclutava persone in grado di dare un’immagine familiare e rassicurante di allegria e spensieratezza. Il tutto con calciatori e sportivi (Alberto Cova, il campione che si faceva cambiare il sangue da Conconi e quando ha smesso di farlo non entrava più neanche in una finale. Pietro Mennea, la “freccia di Barletta”, Iva Zanicchi, Ombretta Colli e cose così).

Anche a  sinistra  si attua, a volte lo stesso metodo. Gigliola Cinquetti (che adesso l’età ce l’ha), il calciatore Massimo Mauro, cose così. Ma a sinistra prevale un altro metodo ancora più subdolo, un metodo che definirei “parafulmine”. Visto che a sinistra si è per definizione diversi e si è più intelligenti e più profondi di pensiero, visto che si è più solidali eccetera eccetera eccetara… Ecco, a sinistra si prediligono le disgrazie. Perchè siamo di sinistra e noi siamo “cuori agitati nel vento” come cantava Leonard Cohen (o Ramazzotti? Va bene, non stiamo a sottilizzare, non è questo il punto).

A sinistra si prende il protagonista di una disgrazia e lo si candida. Se non puoi farlo con lui direttamente, allora si prende uno dei suoi parenti. L’essere parente di un morto celebre automaticamente ti fa diventare un genio, uno che risolve tutti i tuoi problemi, uno capace di decidere su scuola, sanità, amministrazione, tutto. E guai a dire qualcosa, perché mica vorremmo togliere il diritto ad un disgraziato di essere eletto “come qualsiasi italiano”. Mica hanno meno diritti degli altri? Certo che no. Però il discorso mi ricorda molto quello dei figli dei registi e degli attori che guarda caso fanno i registi e gli attori anch’essi e poi ci chiediamo perché quando gli stranieri parlano del nostro cinema dicono “Rosi, Fellini, De Sica” (Non intendono Cristian De Sica, almeno credo). Inoltre, cari “Sergenti reclutatori”, mi chiedo come mai queste menti illuminate non siano apparse in tutto il loro splendore prima della disgrazia di turno. Come mai ve ne siete accorti soltanto dopo, voi che avete in mano il termometro del paese (e per provarci la febbre siete soliti infilarcelo là, come si fa con i cani)?

Per fare qualche esempio. Come mai Rita Borsellino è stata candidata soltanto nel 2005, quando suo fratello è stato disintegrato nel 1992?  Nel 92 lei aveva 47 anni. Era forse troppo giovane?

Certamente Sabina Rossa era troppo giovane nel 1979 quando le Brigate Rosse uccisero suo padre (aveva solo 17 anni) e si è dovuto aspettare il 2006 per candidarla. Ma come mai è finita alla sesta commissione permanente Finanze e Tesoro, lei che è laureata in Scienze Motorie e diplomata all’Isef? Dovevano fare sedute di stretching mattutine prima di cominciare? Il sospetto di una candidatura di facciata, francamente, affiora.

Giuliana Sgrena è stata candidata nel 2009 per “Sinistra e Libertà”. Venne rapita nel 2005, nelle circostanze ancora oscure delle quali tutti abbiamo sentito parlare. Scriveva per “Il manifesto” dal 1998 e anche per “Die Zeit”, pregevolissimo giornale tedesco. Insomma, una mente fine. Come mai ci se ne è accorti solo nel 2009, cari i miei segretari di partito? Viene francamente il sospetto che il suo merito, “partitocraticamente parlando”, sia stato quello di farsi rapire.

Parole grosse che però sembrerebbero confermate dal tentativo recentissimo del PD di candidare Rossella Urru. Circostanze analoghe a quelle della Sgrena (Un rapimento) e PUFF… ecco la candidatura pronta. Parola di Franco Marras, responsabile del PD in Sardegna che già due mesi fa (Secondo il “Sardinia Post”) aveva incontrato a Samugheo la Urru dicendole che era pronta per lei una poltrona. La Urru però ha detto no. Ma passano due mesi e il PD ci riprova, con pressioni da parte del segretario nazionale. La Urru risponde ancora picche, dicendo che per lei “Non è il momento opportuno”. Perché quando sarà il momento opportuno state tranquilli, una poltrona arriverà. Naturalmente prima del rapimento la Urru non era nei piani del PD né di nessuno. Non era un “nome”. Non era “spendibile”.

Ecco, io dei parafulmini mi sono rotto il cazzo. Tuoni e fulmini, lampi e saette. Basta con le candidature dei VIP e con quelle delle “VIPTTIME”, per parafrasare un bel libro chiamato “Ricordare stanca” di Massimo Coco, figlio di un giudice assassinato delle BR.  Avete visto com’è semplice usare qualcuno da parafulmine? L’ho appena fatto. Funziona sempre.

(Mi viene in mente sempre la coppia Gaber-Luporini quando disse “Un politico qualunque, basta che gli abbia sparato un brigatista e diventa subito statista”. Non sto criticando la possibilità di candidarsi di nessuno. Non sto criticando le vittime del terrorismo o quelle di mafia e i loro parenti. Semplicemente chi usa questa sofferenza per scopi strumentali mi fa schifo. Lo dico perché di solito “Quando il dito indica la luna, lo stolto guarda il dito”. Lo disse Confucio. Fosse vivo, la cittadinanza italiana in 24 ore trovando un finto nonno di Reggio Calabria e uno scranno al Senato non glieli leverebbe nessuno.)

 

Qui le domande le faccio io: Intervista a Fabrizio Zampighi di Sentire-Ascoltare.

Fabrizio Zampighi ha curato la recensione di “Togliamoci il pensiero” su Sentireascoltare.com, il magazine che aveva ospitato l’anteprima esclusiva in streaming del disco. Eccovi la sua recensione e, sotto, l’intervista che gli ho fatto in merito. Buona lettura.
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Si definisce un cantante “povero”, Giancarlo Frigieri, facendo torto a sé stesso. Anche se un mood involontariamente scompigliato lo cogli davvero in una poetica che rimane comunque riconoscibile, per certi versi tradizionale, innegabilmente autarchica. Quinto disco in carniere e un immaginario sonoro in bilico tra rock ad ampio spettro e Giorgio Gaber, Francesco Guccini e Pierangelo Bertoli, ma anche, per dire, un Mauro Mercatanti dei tempi di Infedele alla linea. Tanto per sottolineare che qui di laccature ordinarie e ben codificabili legate a una riscoperta à la page della canzone all’italiana ne troverete ben poche. Al massimo una sensibilità d’autore che mira al quotidiano, a una dimensione locale e da essere umano con tutti i pregi e i difetti del caso.
Del resto l’ex Love Flower/Julie’s Haircut/Joe Leaman ci ha abituati a un punto di vista tutto suo sul mondo e sulla la vita, rinnovato con stile ad ogni passaggio discografico. Anche con un Togliamoci il pensiero che non fa eccezione in questo senso, adottando il linguaggio della semplicità folk-rock (la title-track) e mescolandolo, di volta in volta, a richiami tra i più disparati: il Messico di frontiera de Il nemico, la chiusa quasi hardcore del L’altra, il blues-funk di Senza canditi. Con quel valore aggiunto di cui si diceva poche righe più su, ovvero la capacità di scrivere su un attualità semplice e legata a filo doppio alle umane solitudini. Quel che accade soprattutto in una La polisportiva che nei suoi cinque minuti riesce a dipingere un universo ristretto, contestualizzato, ma anche commovente e con le sue regole, tra badanti e pensionati, gnocco fritto e balli di gruppo.
Fabrizio Zampighi
(6.8/10)
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Intervista alla rovescia:

1) E chi cavolo è Mauro Mercatanti? Non lo conosco assolutamente. Già che ci
siamo. Mi consigli qualche altro personaggio che tu trovi affine alle cose
che faccio e che potrei non conoscere?
Mauro Mercatanti è fondamentalmente un cantautore. Nel 2006 mi capitò tra le mai il suo “Infedele alla linea” (http://www.sentireascoltare.com/recensione/1726/mauro-mercatanti-infedele-alla-linea.html) e mi piacque molto. Lo trovai un disco molto diretto, formalmente anche imperfetto se vuoi, di certo fuori dai giri soliti. Feci anche un’intervista (http://www.sentireascoltare.com/articolo/515/mauro-mercatanti-fascino-dellantagonismo-e-teatro-canzone.html).
Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, tolto Mercatanti, ti risponderei forse il Tenca cantante dei Manzoni per una sorta di neorealismo aggiornato che c’è nei testi di entrambi, nonostante le evidenti differenze stilistiche. E’ un giudizio, comunque, molto soggettivo.

2) Mi racconti quando è stata la prima volta che ti ricordi di aver preso un
pugno in vita tua? Ti ricordi perché te lo hanno mollato? Te lo meritavi? Il
nome di chi è stato?Credo di non averne mai presi (o se ne ho presi, non ricordo quando è successo). Di solito cerco di risolvere i problemi parlando.

3)Dici, nella recensione de “Togliamoci il pensiero”, che si trovano ben poche “laccature ordinarie e ben codificabili legate ad una riscoperta à lapage della canzone all’italiana” e lo dici con un’accezione positiva. Chi

secondo te, nell’attuale messinscena indipendente italiana, cade invece nel
tranello di cui sopra? I nomi e le motivazioni, guai a te se ti sottrai.
E’ un accezione positiva, è vero, ma non è detto che sia negativo a prescindere il fatto di “laccare” o “codificare”, se alla base c’è un contenuto di valore. Penso all’ultimo disco di Brunori Sas, per esempio, un’opera che non mira certo ad evolvere il concetto di canzone d’autore (ecco quindi il codificare, il rendere riconoscibile) pur contenendo ottime canzoni. Dente è un altro che lavora moltissimo sulla riconoscibilità e le laccature, ottenendo a volte risultati interessanti, a volte meno. D’altra parte ci sono band come i Santo Barbaro che stravolgono il concetto di canzone d’autore in maniera efficacissima piegandolo a quello che è il loro immaginario o magari musicisti acuti e poliedrici come 33 Ore.

4) Visto che ti è piaciuta molto “La polisportiva”. Come ti vedi a 70 anni?

“La polisportiva” mi è piaciuto molto perché è un brano commovente. In più sono romagnolo – e quindi legato all’immaginario dei bar e dei circoli di partito – e ho vissuto un paio di anni in zona Modena. Conosco bene, quindi, ciò di cui parli nel testo. A 70 anni non so se ci arriverò. Se dovessi farcela, comunque, sarò presumibilmente obbligato a non sentirmi troppo stanco, visto che la pensione me la posso scordare

Tre versi del disco che ti sono piaciuti tanto ma tanto, che hai detto
“Cavoli, ma Frigieri è proprio bravo”.
1) Così a guardarla imborghesita e persa / dentro a un atteggiamento superiore / ci suona strana questa tenerezza / mentre leggiamo in faccia il suo dolore
2) Con l’espressione sempre un po’ più seria / di chi vuol solo chiudere con dignità la propria storia
3) Tra coppie che nel tempo di una firma son passate / dal tempo delle mele / a quello delle rate

6) Mi trovi una definizione per me, di quelle che siete bravi voi scriba,
del tipo “Il Savonarola della musica indipendente italiana” ? Questa però
non vale, l’ha detta un DJ che si fa chiamare Klaus Augenthaler ma che in
realtà mette spesso i dischi tra Carpi e Correggio.
Non saprei. L’immagine che ho di te, però, è di un punk prestato al cantautorato. Non tanto per un fatto squisitamente musicale, quanto per una questione di attitudine.

7) Il disco italiano più importante di tutti i tempi, a titolo puramente
personale di Fabrizio Zampighi. Se fai scattare l’aneddoto guadagni cento
punti in più, naturalmente.
Impossibile risponderti in questi termini. Potrei parlarti al massimo di un disco importante per me. Un critico istituzionale e con tutti i crismi ti citerebbe forse un De André, un CCCP o un Gaber (artisti che ho ascoltato per vie traverse in gioventù e che continuo ovviamente ad ascoltare anche ora). Io in realtà devo molto, per quello che sono e che faccio (bello o brutto che sia), a “Hai paura del buio?” degli Afterhours. Quel disco mi ha cambiato. Quando uscì, nel 1997, ero un ventiduenne della provincia che non scriveva di musica e ascoltava (quando aveva soldi da spendere) quasi esclusivamente materiare proveniente dall’estero. Gli Afterhours di quel disco mi fecero capire che si poteva “osare”, liberare la creatività anche con pochi mezzi (e in italiano) e che in fondo era tutto lì a portata di mano. Un concetto da applicare alla musica, ma non solo a quella.

8) Il disco straniero più importante di tutti i tempi, a titolo puramente
personale di Fabrizio Zampighi. Qui va bene anche senza aneddoto, se ti
vergogni.
Anche qui scendo sul personale, perché non avrebbero molto senso i giudizi netti. Non avendo collezioni di dischi di fratelli maggiori o di genitori di cui godere, ho cominciato tardissimo ad ascoltare musica in maniera sistematica (anche grazie a un dj di una piccolissima radio locale, una persona che non ringrazierò mai abbastanza). “Sucking In The Seventies” e “Steel Wheels” degli Stones sono state le prime cassette che ho comprato. “Steel Wheels” lo ritengo ancora un buon disco, nonostante parte della critica lo abbia degradato a incidente di percorso. Parlando invece di dischi da isola deserta, potrei citarti un “Pink Moon” di Nick Drake o un “Monk Alone” di Thelonious Monk. E’ roba da cui non riesco a separarmi.

9) Visto che mi hai dato un 6.8 di voto, adesso mi spieghi anche cosa non ti
piace del mio disco. Oppure, se proprio vuoi fare la personcina ben educata,
almeno mi spieghi cosa significa “mood involontariamente scompigliato”?

Su sentireascoltare.com il voto massimo è 8 (a parte rarissime eccezioni) e quindi 6.8 non è un brutto voto. “Mood involontariamente scompigliato” si ricollega all’immagine punk a cui ti associavo poche righe più su. Il tuo mi pare un cantautorato molto di sostanza, terreno, dagli arrangiamenti diretti e senza troppi fronzoli.

10) Mi dici cosa ne pensi della scena musicale italiana e come secondo te è
destinata ad evolversi, sia a livello di spazi che di proposte, nei prossimi
10 anni. Non sto parlando di dare delle ipotesi tanto per dire. Ti chiedo di
fare una previsione e di azzeccarla, per il 2022. Chiaro che non è facile,
lo so benissimo. Insomma, sbilanciati.
Non so. Ho come l’impressione che la crisi discografica che c’è in Italia (anche per i musicisti più commerciali, che di solito contano su un seguito generalista e forse meno appassionato di musica) potrebbe paradossalmente spingere le major a investire su qualche talento della scena indipendente. Segnali in questo senso ce ne sono. Penso al boom dei Baustelle, al fatto che produzioni come Amor Fou e Il teatro degli orrori vengano distribuite da major, ai Marta sui Tubi a Sanremo 2013. Di buono, la scena indipendente ha da offrire un pubblico dedicato e consapevole. In termini più prosaici, un mercato affezionato a cui vendere, se non un disco, almeno una serie di concerti. Sono solo ipotesi, comunque.

11) Gli ultimi 3 concerti di musicisti poveri (o indipendenti) italiani chehai visto e dove, con uno stringato giudizio.

Comaneci, Bronson (Ravenna)
Come al solito emozionanti. Sembra folk e invece è blues

Honeybird & The Birdies, Club BenTivoglio (Bologna)
Un tuffo nei Novanta di Ani Di Franco e di Manu Chao

Confusional Quartet, Locomotiv (Bologna)
Tiratissimi

12) Perché “noi alternativi” non riusciamo ad ascoltare un pezzo rock con
delle parole stupide nella nostra lingua e riusciamo a farlo con la lingua
inglese esaltandoci come pazzi? Sempre che tu condivida la cosa, altrimenti
dimmi come la vedi.
Perché in fondo siamo dei provinciali. Che si stia a Bologna, Milano, Roma o Bagnacavallo non importa. Credo che all’italiano medio manchi molto spesso una buona dose di capacità critica. Lo si vede nella musica, ma anche nei fatti della politica. Troppo sentimento, troppo tifo calcistico e poca voglia di capire, di informarsi, di giudicare razionalmente.

13) Il nome ed una descrizione minuziosa sull’onda dei ricordi della prima
persona della quale ti sei innamorato, a parte la mamma.
Scherzi? Mai.

13bis) Sei un codardo. Lo sai, vero? :-)

14)In genere l’ultima domanda delle interviste è “Progetti per il futuro?”.
Mi dici tu quali sono i MIEI progetti per il futuro, secondo te?

Credo che sarebbe un obiettivo interessante (se già non lo fai) riuscire a vivere esclusivamente di musica.

Qui le domande le faccio io: Intervista alla rovescia con Gustavo Tagliaferri (Mag-Music)

Gustavo ha fatto una recensione entusiastica del mio album e la metto qui sotto. Poi sono partito io a fare domande. A differenza dele altre due interviste pubblicate finora questa è avvenuta con il classico sistema delle domande mandate in un file di word, che mi è stato rimandato indietro il giorno seguente con le risposte. Il tono è meno colloquiale e più ufficiale, diciamo. Diciamo anche che l’idea è quella di non fare tutte le interviste allo stesso modo e quindi cambieremo metodo di volta in volta, senza particolari calcoli ma assecondando soltanto quello che è lo stato del nostro umore. La cosa divertente è che ad un certo punto, leggendo l’intervista, sembra che il disco l’abbia fatto lui e io sia il giornalista :-) Buona Lettura.

RECENSIONE DI “TOGLIAMOCI IL PENSIERO”  a cura di GUSTAVO TAGLIAFERRI

Sassolini nelle scarpe, rospi in gola, tracce da dissotterrare, idee brulicanti nella testa. Togliersi il pensiero significa tante cose, ed è una pratica che può avvenire nei momenti più inaspettati, per non dire nel corso di un periodo particolarmente fruttuoso per se stessi. Ma può significare anche tenere da parte l’autoproduzione, dopo essere stata d’uso comune per diversi anni, e ricominciare ad affidarsi a diverse label non da poco conto, tanto alla New Model Label di Govind Khurana quanto alla Controrecords di Davide Tosches. E se il soggetto in questione risponde al nome di Giancarlo Frigieri, allora la descrizione, di conseguenza, calza a pennello. Già, “Togliamoci il pensiero“.
Un pensiero che prende forma ad un solo anno da “I sonnambuli“, ma le cui radici corrispondono a molte cose nell’aria per il cantore di Rubiera, che in quanto ad eredità della vecchia corrente d’autore made in Italy ne sa a pacchi, vista la sua capacità di frullare le diverse caratteristiche e punti vincenti dei suoi molteplici esponenti creando un songwriting proprio, dove ad ogni lezione corrisponde un’apprensione portata a termine. Un pensiero che è un punto di svolta su tutti i fronti, non solo quelli della produzione.
Là dove c’erano anche Guccini e Bennato si aggiungono il diletto, il ludico, la cattedrale di Winchester ed altre storie che sono di casa in quel de La polisportiva, solo una tappa in chiave western di un viaggio dove, come in una staffetta, si passano il turno la religione, la politica, Rino Gaetano e il Vasco Rossi degli esordi (viene in mente Sballi ravvicinati del 3° tipo) che vengono fuori nel ritmo che travolge la ballata Diversi dagli altri, lo Jannacci malinconico che permea Grappoli, Gaber e mariachi che vanno incontro in una Il nemico più attuale che mai, il country-blues della title-track e colpi di scena come il garage-rock di La nostalgia, l’impennata tribale, con tanto di galvanizzante conclusione, di L’altra, il groove di scuola disco ’70s di Senza canditi, fino a che le tinte noir con retrogusto etno-jazz che tracciano il profilo dei Criceti, con grazia, non chiudono l’album.
Cambiamenti che, per certi versi, non potevano essere estranei per colui che ha cominciato la sua carriera anche come uno dei primi batteristi dei Julie’s Haircut. Un passato che non muore mai per un disco come questo “Togliamoci il pensiero”, che, sembrerebbe un’eresia, eppure probabilmente è un disco punk, per quello che è il percorso di Frigieri. Punk in senso di attitudine, di voglia di continuare a fare quello che si sente dentro, di scrollarsi di dosso ogni preoccupazione. Un sentimento pienamente condiviso dagli ascoltatori, senza alcun dubbio.

Gustavo Tagliaferri

 

INTERVISTA (Quello con i numeri sono io che faccio le domande, l’altro è Gustavo che risponde)

1. Mi racconti la prima volta che hai fatto una recensione? Che disco era, che voto hai messo, chi è stato l’incosciente che ti ha dato fiducia e ti ha fatto scrivere?

Avevo 17 anni e scrivevo servendomi del sistema track-by-track, una tecnica di cui tutt’ora mi vergogno particolarmente, visto che non è quello più consono per quanto riguarda l’analisi di un disco. L’opera in questione era “Trama Tenue” di Ginevra Di Marco. Del 1999, sì, del resto era il 2007 e recensivo solo vecchi dischi in quel di DeBaser.it, sito dove ogni tanto ancora faccio un salto. Ho continuato su questa linea d’onda per un po’ di tempo, decidendo anche, ad un certo punto, di eliminare una volta per tutte quel dannato track-by-track, preferendo un’analisi generale di ogni singola opera, andando alla rinfusa per quanto riguarda l’ordine delle tracce e focalizzandomi sulle influenze, sulla verve, sui pregi e sui difetti, se presenti. Nel mentre già conoscevo, cosa avvenuta per caso, Marco Gargiulo, il deus ex machina di Mag-Music, e da lì, poco a poco, sono diventato quello che sono adesso. Pur nel mio essere uno scrittore mediocre.

2. Mi sembra che il disco ti sia piaciuto davvero tanto. Mi dici quali sono le canzoni più riuscite e perché, ma senza il linguaggio giornalistico. Insomma, me lo dici come se fossimo al bar davanti ad una birra?

Eccome se mi è piaciuto! Le canzoni più riuscite non so, quelle a cui tengo particolarmente senza dubbio (l’assolutismo non è un mio dogma quando parlo di certi ambiti artistici). Difatti mi vengono subito in mente “Il Nemico”, “L’Altra” e “La Polisportiva”. La prima la sento mia dal punto di vista non solo musicale, ma anche sociale, e sa essere proprio sociale senza perdersi in pinzillacchere nonsense, la seconda, nel mostrare un lato inedito del tuo modo di fare (con il contributo vocale di Riccardo Bregoli), lascia facilmente esterrefatti a tal punto da rimanere, al contempo, belli che soddisfatti, e la terza, un viaggio all’interno delle proprie memorie, riesce ad essere lo stesso viaggio di altre persone che ascoltano la tua musica, come me.

3. Come facevi a sapere che di tanto in tanto faccio una cover di “Sballi ravvicinati del terzo tipo” di Vasco Rossi?

Vuoi sapere la verità? Io non lo sapevo proprio! Io sono legato al Rossi di un tempo, dagli esordi fino a “Fronte Del Palco” incluso, e “Non Siamo Mica Gli Americani”, disco a cui sono tutt’ora affezionato, è stata una delle mie colonne sonore di un viaggio fatto prima della maggiore età, che se dovessi rifare sceglierei altre compagnie (basta con i parenti!). Ecco, una traccia su cui mi focalizzavo, ed oggi ora più che mai. era proprio questa. Non è da tutti i giorni ritrovare il mood di un brano simile in un album come il tuo…

4. Raccontami un rifiuto che ti è rimasto impresso, della tua vita. Una volta che ti hanno detto di no. Non importa l’ambito, che sia musicale o affettivo o che sia di quando ti hanno messo in panchina da piccolo nella squadra di pallone. Scegli tu.

Mah, così a due piedi è difficile stabilire quale. Diciamo che mi sono rimaste maggiormente impresse certe tristi storie avvenute tra le medie e il liceo, ma lì ammetto che la responsabilità era anche mia.
Musicalmente parlando, per fortuna, ricevo meno rifiuti…

5. Ci sarà qualcosa del disco che hai pensato potesse venir meglio. Qualcosa che hai detto “Ma che cavolata, da Frigieri non me lo aspettavo.” Sfogati pure.

Nulla. No, giuro, nulla che mi abbia fatto storcere il naso! Ci fosse stato lo avrei scritto pure, come faccio da tempo quando mi metto di buona lena a buttare giù pensieri.

6. Personalmente trovo che il termine “indipendente” sia stato usato come specchietto per le allodole talmente tanto che oggi sarebbe meglio dire “povero”. Tu cosa ne pensi?

Premettendo che non parlo quasi mai dell’uso di questo termine, perché preferisco focalizzarmi sul genere che fa un determinato artista, il problema non è essere indipendente, ma ben altro, e va dal fatto che ci sia qualcuno che sarà anche indipendente ma che fa musica che a me non attira al pensare che esistano solo un tot di nomi degni di nota nella scena made in Italy, fino al rischio di bollare tutto quello che ti cattura come “indie” diventa un vero e proprio harakiri. Se cito tra i più blasonati Dente, Brunori e Dimartino, che a me piacciono pure, dico che fanno pop con influenze d’autore, non li chiamo “indie”. Se devo parlare di indie parlo di indie rock, come i Pavement e i Grandaddy, giusto per tornare indie-tro (sic!) nel tempo, pur frugando nell’estero.

7. Di questa fantomatica “messinscena indipendente”, mi fai un nome che secondo te è sopravvalutato e uno che invece è sottovalutato?

Di sopravvalutatissimi dico senza alcuna remora i Nobraino. Sottovalutato? Eh, gli Elettrofandango sono i primi che mi vengono.

8. Argomentando, chiaramente.

I Nobraino, che un tempo mi incuriosivano pure, trovo siano l’unica mela marcia di una buona etichetta come la MArteLabel, in quanto a sound sono la brutta copia di altri progetti ben più interessanti e anche vocalmente non c’è proprio da essere felici. Certi (non tutti) li ricorderanno solo perché Lorenzo Kruger, il cantante, si è fatto la barba mentre cantava al concerto del 1° maggio di quest’anno. Io per fortuna ho provato ad andare oltre e posso confermare quanto sopra.
Gli Elettrofandango sono un vero e proprio uragano spaccatutto, quello che oggi il Teatro Degli Orrori non è, e mi ha sorpreso scoprire che sono anche molto amici di Remo Remotti. Non so se hai avuto modo di ascoltare “Achab”, lavoro che hanno pubblicato proprio quest’anno. Trovo sia qualcosa di fenomenale e ti anticipo che lo inserirò nella mia “”””classifica”””” (metto le virgolette perché non credo nelle posizioni, ma nel valore delle opere) di fine 2012. Come da mia precedente recensione, ad un certo punto sono gli Alice In Chains che incontrano i Neurosis…

9. Qual è il concerto più bello che tu abbia visto nella tua vita in assoluto e perché? Ovviamente racconta anche un particolare.

Nel corso di quest’anno ne avrò visti una marea, dopo aver fatto l’enorme errore (ancora me ne pento) di non girare per la mia città credendo di perdermi da un momento all’altro. Se dovessi scegliere, ne tirerei in ballo due a cui sono particolarmente affezionato, entrambi di quest’anno: il primo di inizio giugno, al Circolo Degli Artisti, che ha visto sullo stesso palco i Luminal e i Kardia, non solo per la bella musica che ho sentito, ma anche perché ho avuto modo di conoscere e rivedere tante persone a cui voglio un bene dell’anima, il secondo di metà luglio, al SuperSanto’s di San Lorenzo, con Giardini Di Mirò e Massimo Volume. In due ore la mia mente ha cominciato a volare in altre dimensioni…

10. Mi dici tre versi del disco che ti sono rimasti in mente in modo particolare? Tre versi e basta, sempre ammesso che tu riesca ad arrivare a tre. E spiegami pure il perché, naturalmente.

1) “Ah, che bei tempi quelli lì, non ne fan mica più di nemici così.” (“Il Nemico”)

Dovrei citare il testo completo, ma mi fermo solo su questo verso. Credo sia emblematico per chi, come me, ha capito la differenza tra chi è semplicemente una triste macchietta e chi invece è un vero e proprio despota. Potrei fare un esempio politico a proposito: la differenza tra Bettino Craxi e Mario Monti. Pur non essendo io un ammiratore di Craxi (sono troppo anarchico, o perlomeno ci provo, per esserlo), e pur ammettendo diversi suoi inciuci, non nego che qualche buona idea improvvisamente gli è venuta, perlomeno per quanto riguarda la tematica della sovranità nazionale e il rapporto con il Medio Oriente. Monti invece, da burattino dell’elite di banchieri, multinazionali e simili che non parla in mio nome, è un’incarnazione della distruzione, spacciato come alternativa ad un poveraccio come Berlusconi. E non lo dico io, lo dicono le testimonianze dei cittadini che non ci stanno, No TAV inclusi. Poi non stupiamoci se certe tematiche che erano tipiche dei movimenti rivoluzionari, oltre che della sinistra di un tempo, siano finite in mano o a gentaglia di estrema destra (magari gli stessi che ignorano che Mussolini se la faceva con l’elite di cui sopra, o perlomeno con certi suoi abbinati) o a frutti marci come Scilipoti (chi ha detto IDV?).
Veramente, è più facile riconoscere la triste macchietta piuttosto che il despota.

“Con l’espressione sempre più un po’ più seria di chi vuol solo chiudere con dignità la propria storia.” (“La Polisportiva”)

Sono le memorie di cui sopra che includono un invito ad andare avanti a testa alta fino alla fine del proprio ciclo. Un invito che non vale solo per “La Polisportiva”, per quanto mi riguarda, ma proprio per la vita in sé.

“…se tutti qui vogliono essere sempre diversi dagli altri, ma uguali tra loro.” (“Diversi Dagli Altri”)

Anche qui dovrei citare un intero testo. Quello di un brano che ondeggia tra teologia e sociale, che parla di necessità di capire chi si è veramente, senza ergersi a chissà quale alto livello solo per fare chissà quale bella figura. Nel più triste dei casi si finisce a fare la figura di chi non ha ancora capito cosa basta per stare in pace con se stessi, in quello più deprecabile si diventa parte di quella che io chiamo “la società dell’orrore”.

11. La domanda di rito a tutti quelli che sto intervistando a rovescio. Suoni uno strumento? A che livello? E se hai cominciato e mollato, racconta qualcosa a riguardo.

Suonavo, semmai. Mi sono dilettato qualche volta con la batteria, un po’ di più con la chitarra acustica e maggiormente con la tastiera, andando dal mediocre all’accettabile in quanto a risultati. Non ho mai avuto modo di provare l’esperienza di suonare in una band vera e propria, forse perché non ho mai sentito un input vero e proprio fare strada dentro di me.

12. Mi dici cosa ne pensi della grafica del disco, della copertina in particolare e che legami ci vedi con i temi trattati?

Trovo faccia da ciliegina sulla torta, sia in quanto ad artwork che nella scelta del formato digipack. Le scale facenti da copertina, per certi versi, le vedo come un collegamento proprio con “La Polisportiva”. Sono delle memorie le cui testimonianze scritte le puoi trovare in uno scantinato o in una soffitta senza neanche ricordare di averle ancora. Luoghi che possono anche diventare spunto di ispirazione per le canzoni a venire. Come da titolo: “Togliamoci Il Pensiero”!

13. Tre dischi e tre libri. Al volo, senza pensarci troppo.

Dischi: “The Downward Spiral”, Nine Inch Nails. “Dig Your Own Hole”, The Chemical Brothers. “Sanacore 1.9.9.5.”, Almamegretta.
Libri: “Favole Al Telefono”, Gianni Rodari. “Il Bar Sotto Il Mare”, Stefano Benni. “Parola Di Giobbe”, Giobbe Covatta.

14. Qual è stata la volta della tua vita nella quale, se ci ripensi, dici a te stesso che “quella volta sono proprio stato un bastardo”?

Ti dirò, pur avendo pensato in certi momenti di esserlo stato, forse non lo sono mai stato del tutto. Al massimo ci sono state occasioni in cui mi sono reso conto di aver avuto una certa responsabilità nei confronti di persone che non sono comunque state proprio corrette con me. Ma se quelle persone non si sono rese conto dei propri difetti è un problema esclusivamente loro, io cerco di capire dove ho sbagliato.

15. La cover che io farei benissimo, secondo te.

Che ne dici di qualcosa di Claudio Lolli? “Borghesia”, “L’Amore E’ Una Metamorfosi”, o persino “Notte Americana”…

16. Vuoi farmi una domanda tu? Giuro che rispondo.

Pensi che tra le tue tappe live future ci sarà anche qualcosa in quel di Roma? Magari in uno dei tanti locali di San Lorenzo. Se la cosa andasse in porto, ci sarebbe modo di incontrarsi dal vivo…

(E qui rispondo dicendo che mi piacerebbe molto e che magari, se qualcuno che ha un locale a Roma rispondesse a qualche messaggio invece di cazzeggiare… )

La festa delle forze armate, Neil Young, Treni.

Ho fatto il servizio militare.
E sti cazzi, si lo so.
Ho fatto il servizio militare quando era ancora obbligatorio. Quando dico questa cosa qui mi sento dire per il 99% delle volte “Tu? Non lo avrei mai detto.” Sono partito dalla stazione di Modena il 19 Agosto dell’anno di grazia 1993 verso Trieste, primo reggimento fanteria San Giusto. All’epoca c’era la guerra in Jugoslavia, anzi in Iugoslavia con la I, come era scritto sui cartelli stradali di Trieste appena usciti dalla stazione e montati in cima al pullmann che ti portava in caserma. Primo Reggimento Fanteria “San Giusto”. Quando arrivi il primo giorno e vedi dei cartelli con scritto “Iugoslavia” bianchi e blu come quelli dove a casa tua vedi scritto paesini come “Portile” oppure “Prignano sulla Secchia” qualche brivido lungo la schiena ti viene. E quando arrivi in caserma e senti dire “Il primo che fa casino lo mandiamo in Iugoslavia” finisce che stai zitto. Quelli che oggi dicono che loro non hanno pensato “E’ meglio che sto zitto” neanche per un attimo, erano quelli che non respiravano neanche per paura di finire oltre la dogana di Fernetti. Finì che ci andammo a sparare, in iugoslavia. Un’esercitazione al poligono dove sparavamo e tiravamo bombe a mano, perché ogni tanto bisogna pur distrarsi con un sano divertimento virile, finì per portarci esattamente sul confine e alcuni di noi che erano andati in ricognizione il giorno precedente a piantonare la zona si trovarono accanto ad un villaggio dove in agosto c’era una festa popolare e finirono per andare a bere qualcosa con le ragazze del posto. Dopo il periodo al Centro Addestramento Reclute ci fecero giurare (quelli che dicono di aver detto cose diverse da “Lo giuro” vanno inscritti nella categoria dei mentitori patologici, gente che ha una vita talmente noiosa che è costretta a inventarsi balle su queste cose qui) e dopo qualche giorno fui mandato a Montorio Veronese, 14° Reggimento Autieri di non so che cazzo, Caserma DUCA. Una roba enorme di 8 km di perimetro con 14000 (quattordicimila, porco mondo) persone. Dopo 6 giorni chiamarono il mio nome a parte in adunata e venni trasferito ad una caserma che non conoscevo per niente. In tanti nei giorni precedenti erano stati trasferiti in parecchi posti, in tanti erano stati trasferiti a Padova ma tutti in due caserme chiamate “Salomone” dove si diceva che si stava benissimo e in una chiamata “Pierobon”, dove si diceva che “facevi i botti” (che significa che ti saresti fatto il culo come una capanna) perché era una caserma operativa. Sul mio foglio di via c’era scritta una roba che non ricordo. Ricordo solo che non si capiva dove fosse e quando lo chiedevo nessuno me lo sapeva dire, neanche tra gli “anziani”. In molti iniziarono a dire “E’ la Pierobon” e visto che basta che uno dica una stronzata convinto che tutti gli vanno dietro, in breve tempo quella sembrò a tutti (me compreso) l’opzione decisamente più probabile. Andai a Padova con una certa dose di disperazione. Alla “Duca” mi ero portato la chitarra acustica dietro, convinto che sarei stato sempre lì. Ora mi toccava partire e arrivare da “rospo” in una caserma operativa con una chitarra in mano. L’ideale per venire preso di mira subito. Partii, comunque. Quando arrivai alla Pierobon il tipo che c’era in porta centrale mi disse “Guarda che non è mica qui, che devi venire. Devi andare alla Caserma ROMAGNOLI. E’ 300 metri più avanti, sulla sinistra” (Imparai presto che a Padova c’erano più caserme che bar, a momenti. Arrivai a questa “Romagnoli” carico di speranze e incertezze. Intanto la Pierobon era schivata, ma chissà cosa mi toccava, pensavo. Entrai in porta centrale con gli zaini e la chitarra nella custodia. Mi fecero aspettare in porta centrale dove stava montando la guardia e il capoposto era un sergente maggiore con i riccioli biondi. Avevano tutti mimetiche sporchissime e il tipo mi ricordava vagamente MASH (la serie televisiva non il film. Non chiedetemi perché ma questo particolare mi sembra degno di nota). Mentre aspettavo in rigoroso silenzio il capoposto vide che ero piuttosto ingessato e quindi mi disse di sedermi e rilassarmi, poi mi prese la chitarra e disse “Questa qui è requisita”. Ora, io non so se avete presente quando mi dicono che mi prendono la chitarra e chissà cosa le succede e che io magari me la ritrovo in due pezzi. Il mio sguardo si fece serio, non dissi niente ma stavo all’erta. Poi il sergente tirò fuori lo strumento dalla custodia e abbozzò due o tre accordi. A quel punto il corpo di guardia si elettrizzò per le mirabolanti imprese chitarristiche del ricciolone, commentando come solo in una caserma si può dire. Dopo quei tre o quattro accordi il sergente mi guardò e mi disse “Ma la sai suonare?”. Io risposi di sì, un poco intimidito. Lui mi disse “Di Neil Young sai qualcosa?”. Risposi di nuovo di sì e questa volta feci partire un sorriso decisamente sollevato e complice. A quel punto il biondo fece tacere l’intero corpo di guardia e poi disse “Suonami un pezzo di Neil Young, sentiamo.”. Io chiusi gli occhi e suonai seduta stante e senza pensarci due volte “The needle & the damage done”. Ora, non per fare il figo, ma io la faccio dannatamente bene o almeno la facevo dannatamente bene nell’inverno del 1993. Ricordo che durante quell’estemporanea esecuzione non volò una mosca e alla fine partì addirittura l’applauso. Il sergente ci rimase di sasso e cominciò a richiedere un pezzo di Dylan, poi arrivò quello che chiedeva l’immancabile “Wish you were here” dei Floyd, poi si passò a Vasco Rossi (Conoscere canzoni di Vasco Rossi in situazione di aggregazione forzata aiuta tantissimo a ottenere protezione, se avete in mente di commettere un crimine e avete paura di venire beccati e finire in galera consiglio di metterne sotto almeno cinque o sei) e poi tutto quel che capitava. Fortuna che io ad orecchio giro abbastanza bene. Restai fino al giorno prima del congedo (che ritirai a Montorio Veronese il 6 agosto 1994, 49 anni esatti dopo Hiroshima) alla Caserma Romagnoli, dove venivo spesso scelto per fare i picchetti d’onore all’esterno perché prendevano i più alti, ché “bisogna far vedere che i soldati sono tutti alti che altezza è mezza bellezza” (Questa la diceva un tenente che fuori dall’esercito non avrebbe trovato lavoro neanche come “spugnetta per francobolli”). Il primo di questi picchetti lo feci il giorno 4 Novembre, quando quel figlio di buona donna del Capitano Volpe (Salve Capitano, se sei ancora vivo, spero che tu abbia male ad un ginocchio per 10 minuti al giorno e ti venga in mente il mio nome) mi revocò una licenza perché ero alto e mi mandò a fare un picchetto d’onore a Villa Pace, esattamente dove il 4 Novembre di 75 anni prima era stato firmato l’armistizio della prima guerra mondiale.

(Ringrazio ogni singolo soldato dell’esercito per farsi uccidere al posto mio per ogni controversa geopolitica che coinvolge questo paese. Con quello che costate, soprattutto dopo tutte le ruberie e sprechi e inettitudini viste in un anno di militare, mi sento di poter dire che con un “grazie” siamo pari. Sabato 10 Novembre 2012 alle 15:30 suono a Fontana di Rubiera per 30 minuti, facendo soltanto pezzi di Neil Young, per festeggiarne il compleanno. Alla sera sono vicinissimo alla stazione dei treni di San Felice sul Panaro, in quel gran posto chiamato IL PASTEGGIO A LIVELLO, che con il mio servizio militare non c’entra nulla, ma ci terrei molto che veniste.)

Zanzare

Si sono sciolti i Mosquitos. Con loro ho pubblicato, nel Febbraio 2009, un album chiamato “In love” che reputo uno dei dischi migliori in lingua inglese che io abbia fatto. Da soli hanno invece pubblicato 4 album e un paio di EP. Un EP era composto di sole cover e c’era una versione di “Concrete Jungle” che l’originale di Bob Marley, che è una delle canzoni alle quali sono più affezionato in vita mia, al confronto sfigura. Il loro secondo album, chiamato “Electric center”, è uno di quei dischi che i critici rock chiamerebbero “desertici”. Si tratta di un capolavoro, senza mezzi termini. Uno di quei capolavori imperfetti che sono destinati, se è vero che il tempo è galantuomo, a diventare un oggetto di culto presso un numero di estimatori destinato a crescere in maniera disordinata come è accaduto all’album degli OP8, tanto per fare un paragone con un disco calzante anche sotto l’aspetto meramente stilistico. I Mosquitos, come tutte le grandi band, si sono sciolti prima di diventare patetici e nel bel mezzo di una china comunque lievemente discendente. Il loro scioglimento fa male, perché avvenuto dolorosamente e lentamente, come uno scioglimento deve essere. Senza inutili festeggiamenti, perché quando una band così si scioglie non c’è niente da festeggiare. Sono orgoglioso di aver suonato con loro, di averli come amici e di considerare, grazie a loro e al loro giro di persone affezionate, la città di Frosinone come una seconda casa. Se non li avete ascoltati fino ad oggi potete rimediare. Le band si sciolgono ma i dischi, per chi ha ancora il coraggio di intenderli come documenti e non come mezzucci per guadagnare consenso e popolarità, restano per sempre. Amen.

22 OTTOBRE – Nuovo Album, streaming in esclusiva, intervista in radio, concerti.

Un vecchio spot beota degli anni 80 faceva vedere un tipo che metteva giù un telefono, diceva la frase “Abbiamo l’esclusiva” e poi si tracannavano dei Whisky in pieno giorno. Non so se sia stata questa la reazione della redazione di “Sentire-Ascoltare”, prestigiosa fanzine on line che ha ottenuto l’esclusiva dello streaming del mio nuovo album, “Togliamoci il pensiero”. Fatto sta che se volete ascoltarvelo prima di comprarlo, potete farlo all’indirizzo:http://www.sentireascoltare.com/news/4427/anteprima-togliamoci-il-pensiero-il-nuovo-album-di-giancarlo-frigieri.html

I malati del download digitale, quelli che acquistano su Itunes i singoli file, dovranno invece aspettare il 6 Novembre.

Questo fine settimana invece, facciamo la doppia come i fornai. VENERDI 26 sarò in diretta su Krock – www.krock.it – ospite di Marco Moser, per parlare del disco nuovo. SABATO 27 invece sarò in concerto alla SALUMERIA DEL ROCK di Arceto (RE) ed è consigliabile prenotare il posto, soprattutto se avete intenzione di sedervi e mangiare qualcosa. Potete farlo allo 0522-989989. Poi non dite che non vi avevo avvertito.

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CI SIAMO (quasi)

Finalmente. La prossima settimana (Lunedì, ad esser precisi) dovrebbero arrivarmi le copie del nuovo album, “Togliamoci il pensiero”. Fin da ora chi vuole può prenotarsi la sua con il solito metodo, vale a dire:

1. Busta chiusa contenente 10 €uri per ogni copia, più 4 francobolli di posta prioritaria, spedita a: GIANCARLO FRIGIERI – CASELLA POSTALE 3 – 42048 RUBIERA (RE)
2. Oppure se lo viene a prendere ai concerti.
3. Il disco uscirà anche in download digitale a partire dal 23 ottobre per la NEW MODEL LABEL di Govind Khurana. http://newmodellabel.com/about/

Dovrei avere qualche copia del disco già giovedì, all’agriturismo cantoni di Modena. Inizia infatti una rassegna chiamata S.O.P., nella cui prima serata suono io.

Visto che il disco esce sotto il marchio della Controrecords di Torino, la presentazione ufficiale del disco sarà proprio a Torino il giorno 13 Ottobre, alla presenza dello staff torinese dell’etichetta.

Non mancherà comunque una puntata in terra reggiana, perché casa è sempre casa. Ragion per cui mi permetto di consigliare a reggiani, modenesi, parmensi o parmigiani eccetera… di prenotarsi un posto prima possibile il giorno 27 Ottobre alla Salumeria Del Rock di Arceto (RE).

Eccovi l’elenco completo delle date confermate finora:
07/10 Sassuolo – Piazza Martiri (Tributo a Pierangelo Bertoli. Suono un pezzo anche io)
11/10 Rassegna SOP – Agriturismo Cantoni – Modena
13/10 Circolo SUD – Torino
27/10 La salumeria del Rock – Arceto (RE)
10/11 Il pasteggio a Livello – San Felice sul Panaro (MO)
24/11 Condorito – Margarita di Mondovì (CN)
02/12 Arci Dallò – Castiglione delle stiviere (MN)
14/12 I Vizi del pellicano – Fosdondo (RE)
12/01 Circolo Arci Bazura – Torino
18/01 La stazione – San Miniato (PI)
03/02 Pantagruel – Casale Monferrato (AL)

Altre ne verranno, state certi. A breve aggiornamenti anche sul sito.

Vaffanchi?

Mia moglie sfoglia un numero di “CHI”, una delle riviste che ogni lunedì compra per il suo negozio da parrucchiera. Le clienti non leggono NIENT’ALTRO. Sono stati fatti esperimenti scientifici rigorosi durante i quali è emerso che “Internazionale” viene usato per salire sugli sgabelli senza sporcarli, “Il Mucchio” resta nel mucchio come il nome suggerisce, addirittura quella cavolata di “Focus” viene ritenuto troppo intellettualmente faticoso. Qualsiasi rivista che richieda un minimo di analisi viene poi buttata nel pattume in condizioni migliori di quelle che puoi mediamente trovare in un’edicola, per dirvi quanto vengono toccate.

La mia signora legge ad alta voce e dalla sua bocca escono le seguenti parole:

“Kate Middleton dopo lo scoop di CHI in viaggio in Polinesia per ricominciare”

(2 secondi di silenzio)

“Ma vaffanculo…”

(Mia moglie)