Ricordo quando Dario Fo vinse il premio Nobel.
Ero a lavorare e la notizia arrivò dalla radio. Un tipo molto di sinistra che lavorava con me arrivò trafelato a dirmelo, era molto contento. Tra noi parlavamo tutti un poco della cosa e c’era chi diceva che era una bella cosa e chi diceva che non se lo meritava. Quasi nessuno sapeva esattamente dire il perché, sia tra quelli pro che tra quelli contro. Diciamo che si andava a simpatie e, in linea di massima, scambiavamo il “sono proprio contento” per “se lo merita” e il “mi sta sul cazzo” per “se lo meritavano altri”.
Con Bob Dylan, che in un curioso intrecciarsi di circostanze oggi ha vinto il Nobel proprio nel giorno della morte di Fo, sta accadendo più o meno la stessa cosa. Qualcuno dice che se lo merita, qualcuno che se lo meritavano di più altri. Anche stavolta, almeno l’impressione mia è quella, stiamo scambiando il nostro sentimento per l’opera che ha portato al riconoscimento. Con un mio amico parlavamo del fatto che non si fa in tempo a pensare “Dario Fo era veramente un grande” che dieci minuti dopo sei lì che pensi che il Nobel a Dylan è giusto perché “Dai, se l’hanno dato a Dario Fo…”.
Spero che Dylan sia contento per il premio. Lo spero perché gli voglio bene e ogni riconoscimento prestigioso che gli arriva, oh… mi fa piacere. Peraltro, visto come il sig. Zimmermann si è presentato in maniera sempre piuttosto inafferrabile nel corso di tutta la sua carriera, mi viene difficile anche solo pensare come possa lui aver interpretato una decisione simile. Decisione della quale si parlava da anni, fra l’altro.
Però, devo dire la verità, mi dispiace che Dylan abbia vinto il Nobel. Non è un discorso snobistico. Stiamo parlando della figura più importante e iconica, insieme ai Beatles, della musica rock e mettersi a fare gli snob non avrebbe molto senso. Non è nemmeno un discorso alla Baricco che dice che se fai le canzoni non vale. Quelli che fanno questi ragionamenti qui sono come quelli che dicevano che la musica elettronica non vale perché non è suonata, che gli mp3 non valgono perché i dischi, che il treno non vale perché non vai a piedi, che gli ogm non vale perché la rotazione triennale. E’ gente che crede di parlare ancora del presente e invece parla già del passato. Il presente lo chiama ancora “futuro” e quando sarà diventato “passato” comincerà ad accettarlo prima e a rimpiangerlo poi. Insomma, sono quelli che fischiavano Dylan a Newport, per voler rimanere sul pezzo.
Ma allora perché mi dispiace? Semplicemente mi dispiace perché ci sono milioni di persone che Dylan non lo amano proprio, per via di mille fattori che potrebbero essere pure condivisibili come la sua voce nasale o il fatto che incida dischi in maniera improvvisata e per nulla professionale da sempre. Tutte cose che io personalmente adoro, ma che magari a qualcuno non piacciono proprio e io, per quanto possa avere gusti diversi, lo capisco benissimo.
Ecco, la mia paura è che diventi come il Dario Fo post 1997, che quando poi sparava una stronzata guai a dirlo perché ecco che arrivava quello che prende il caffé al bar a dire “Come osi contraddire un premio Nobel” a chiudere la discussione. Fra l’altro, questa infallibilità attribuita alle accademie svedesi a Fo non so quanto sarebbe piaciuta, ma non è questo il punto.
Il punto è che un’idea, un pensiero, un’azione, dovrebbero essere valutabili in quanto tali e non in base a chi le ha dette. Penso che fra l’altro usare questo metodo del “Ha vinto il Nobel quindi d’ora in poi ha ragione sempre” sia anche un poco offensivo nei confronti del premiato. In genere si dà sempre ragione agli stupidi, ai rincoglioniti e ai vecchi sclerotici.
Quindi, visto che a Dylan gli voglio bene, un poco mi dispiace. Mi dispiace che da domani, mentre sarò al bar a chiacchierare di Dylan con uno che lo detesta, e magari grazie alle sue prese di posizione contrarissime alle mie starò elaborando nuove preziosissime chiavi di lettura di questa figura così fondamentale, arriverà a rovinare tutto il primo idiota che dirà “Eh, ma gli hanno dato il nobel” usando il premio dell’inventore della dinamite come Goldrake usava le parole “ALABARDA SPAZIALE” per farti capire che adesso finiva l’episodio.
Perché la verità è che ci piace molto parlare del Nobel per la letteratura e di quello per la pace. I nobel per la pace e per la letteratura hanno dato il diritto di parola a legioni di imbecilli molto prima di internet (e quegli imbecilli siamo noi).
A dirla tutta, il Nobel per la pace ci piace un poco meno. Ci sembra una cosa un poco naif, una cosa che non esiste e non si può toccare tangibilmente. Un poco come se dicessero “premio Nobel per il sentimento”.
Invece per la letteratura è il giusto mezzo, perché ci fa sentire tanto intelligenti e riesce a farlo ad un prezzo ridicolo. Basta una qualche citazione, basta il nome di un’opera, un ricordo personale infarcito di qualche spruzzata sentita a caso sul premiato di turno e noi ci sentiamo salvi, ammessi al grande club della cultura.
Non parliamo mai degli altri premi Nobel. Mai. Non si scatenano dibattiti sui social network, nei bar, nei luoghi di lavoro. Lo sappiamo tutti il perché. Non lo diciamo, ma è una tacita convenzione.
Non discutiamo mai di Nobel che non siano per la pace o per la letteratura perché nelle altre materie bisogna studiare per davvero.