Ogni tanto passo la fase “Adesso ascolto soltanto musica classica”. La prima volta mi è successo dopo aver letto “Il resto è rumore” di Alex Ross. I libri di Alex Ross sono una cosa incredibile. Una roba che li leggi e ti viene voglia di ascoltare un sacco di cose. Alcune di queste cose poi le ascolti e ti vien voglia di tornare soltanto a leggerne. Ma non è questo il punto.
Mi sono avvicinato, da profanissimo e senza una istruzione musicale formale degna di tal nome, a parecchia della musica classica del ventesimo secolo. Ci sono cose davvero notevoli, cose che non capisco, cose che non capisco perché dovrei capirle, cose che capisco che non voglio capire. Da lì ho cominciato la lettura anche di altra bibliografia a riguardo. Alcune cose anche legate all’educazione musicale in senso formale.
Di recente, sapendo di questa mia flippa, il grande Luca Zirondoli (Socio del Dottor Manicardi nel blog BARABBA che vi consiglio di frequentare) mi ha regalato un libro che ha trovato a poco in un mercatino. Un libro di tale Armando Gentilucci chiamato “GUIDA ALL’ASCOLTO DELLA MUSICA CONTEMPORANEA”. E’ un libro del 1969, con successive ristampe e integrazioni. Questa copia, che mi è stata consegnata dopo il concerto al Kalinka venerdì scorso, è del 1983. Quindi Cage, Nono, Stockhausen… sono ancora tutti vivi. Il libro è un utile compendio visto che ci sono 105 schede di altrettanti compositori, comprendendo anche quelli poi considerati minori. Ad esempio, che ne sapevo io che esisteva MARIO ZAFRED (Triestino, è l’ultimo in ordine alfabetico. Non ho ancora sentito nulla, poi un giorno vi dico)?
Poi è successa una cosa che mi ha fatto ridere. Apro il libro a caso e mi capita la scheda di Mauricio Kagel, un argentino che ha fatto delle robe piuttosto fuori di testa.
Cito testualmente:
“Assistiamo in Mauricio Kagel al graduale dissolvimento della musica intesa come fatto esclusivamente inerente alla categoria del “sonoro” e invece al progressivo sopravvenire della “gestualità”. Contrariamente a Cage, però, egli proviene dall’esperienza del materismo informale e dalla ricognizione della fonicità inesplorata, e questo lo porta a tentare di risolvere l’antinomia tra sovrabbondanza bruitistica e riduzione al silenzio; così Kagel aspira a comporre un organismo che secerna il gesto e lo integri rappresentativamente organizzando una rete di rapporti ben precisi, tale da non negarsi, almeno nei pezzi migliori, alla compiutezza dell’organismo sonoro e teatrale (o para-teatrale). La poetica, conclude, nell’esito musicale, alla radicalizzazione degli opposti atteggiamenti: dalla coagulazione materica violentissima, dall’immagine squassata e frutto di un gesto omicida, ai borborigmi inarticolati, allo squallore degli oggetti sonori squisitamente inerti e proiettati in un universo astratto, senza contesto plausibile.”
Giro e leggo la quarta di copertina del libro:
“Questo volume, scritto in uno stile discorsivo, con un linguaggio volutamente accessibile anche ai non addetti ai lavori…”.
Si, certo. Come no… Ma vaffanculo, va.
(Ottima lettura da cesso, comunque. Grazie Ziro. Davvero.)