In Italia, negli anni 70, tirarono le bombe a Lou Reed, tirarono le bombe a Santana dicendo che era un “Servo della C.I.A.”. Il pubblico dei concerti inizio a contare numerosi gruppi di “autoriduttori”, che vuol dire che vuoi entrare senza pagare perché ti tira il culo e mascheri tutto con ragioni politiche, facendo casino e rovinando la festa a chi ha pagato il biglietto.
Gli inglesi, gli americani, gli stranieri in genere e i grossi nomi, che di tempo da perdere con una masnada di imbecilli non ne hanno mica tanto, decisero che in Italia potevano anche non passarci, che in fondo la Svizzera applica tassi di interesse migliori.
Non essendoci più nessuno che veniva in Italia e visto che prendere un aereo era ancora un lusso, fare un viaggio in macchina di 1200 km con una 127 non era esattamente una passeggiata, chi andava a vedere la musica dal vivo andava a vedere gli italiani. Non si stava in casa con internet, non c’era. C’erano DUE canali della televisione e la radio era solo la RAI, poi cominciarono le radio libere. Se volevi ascoltare la musica dovevi comprarti dei grossi cerchi di vinile e leggerli con una puntina. Non potevi metterti le cuffiette e andare a sentire la musica mentre correvi. La puntina sarebbe saltata. Al limite, in macchina, tenevi una cassetta. Una roba con dentro un nastro magnetico che girava. Se non ti piaceva il pezzo dovevi mandare avanti tenendo spinto il bottone e non sapevi a che punto sarebbe finita la cassetta. Dovevi andare a tentativi. Quindi spesso lasciavi correre e qualche volta scoprivi che a furia di ascoltarlo il pezzo che faceva schifo poi diventava bello. Comunque l’ascolto di musica era una roba scomoda, come avrai capito. Infatti, quando ascoltavi musica fuori casa la ascoltavi insieme agli altri, spesso dalla radio. E quel che mettevano in radio era legge, non è che cliccavi un tasto e partiva la musica che volevi tu. Una roba scomoda, insomma.
Quindi gli italiani che cantavano (ammesso che tenessero duro a contrastare gli imbecilli di cui sopra) suonavano parecchio. La parola DJ SET non esisteva, nei primi anni 70. Quando ha cominciato ad esistere vi lascio immaginare la qualità del Dj Set. Nei paesi si facevano con le cassette (vedi sopra) che si registravano tramite i rotondoni di vinile. La scaletta era quella, non è che vedevi che il pezzo vuotava la pistina e dicevi “adesso lo cambio”. Insomma, una roba scomoda.
Poi i Dj si sono impadroniti del mercato, sono arrivate le discoteche grandi. Chi glielo faceva fare di pagare una band? Ballo, divertimento, spensieratezza. Dei cantautori (e delle band) non gliene fregava più nulla a nessuno. Le band medio-piccole si rifugiarono in locali piccoli, circoli Arci e cose così. I locali da ballo erano sempre pieni, facevi la selezione all’ingresso anche per entrare a Cernusco sul Naviglio o a Formigine come se fossi a New York.
Poi i locali cominciarono a vuotarsi. Qualcuno si era stancato di pagare 12mila lire per un gin tonic fatto con roba comprata al discount.
I locali medio piccoli che nel frattempo avevano continuato a far suonare dal vivo ebbero per un breve momento la loro rivincita. I locali grandi cominciarono ad aggiungere la formula “concerto in apertura” alla serata danzante, sperando che il gruppo richiamasse qualche appassionato. Noi musicisti sprememmo la gallina dalle uova d’oro, chiedendo cachet che eravamo sicuri di non valere. La spremitura dell’agrume durò per la seconda metà degli anni 90, poi i nodi vennero al pettine.
Molti locali chiusero. Rimanevano più che altro locali molto piccoli e si cominciò a cercar di suonare di nuovo anche nelle birrerie e nei locali con qualche tavolino davanti al palco. Subito si faceva gli schizzinosi, che eravamo cresciuti con il mito del “concerto rock”, ma ben presto si capì che a far finta di essere rockstar si era patetici. Inoltre i locali chiamavano una volta e poi non ti chiamavano più, perché facevi troppo rumore. La domanda “Fate anche l’acustico?” diventò come un mantra, te la sentivi ripetere ad ogni telefonata. In tanti cominciarono a fare anche l’acustico.
Poi successe che anche i locali piccoli (soprattutto quelli dove a fine anno non viene una associazione a iniettarti il denaro liquido che le hai fatto perdere e che non godono di agevolazioni fiscali) cominciarono a fare due conti. Delle band non avevano bisogno, potevano fare musica con meno roba possibile. Le band cominciarono a sciogliersi e si andava in duo, in trio acustico.
Spesso da soli.
Da soli non c’era bisogno di due macchine e quindi i costi erano ridotti (come i DJ) e potevi chiedere di meno e qualcosa ti rimaneva in tasca. Da solo, costando molto poco, potevi pure permetterti di suonare davanti a quindici-venti persone. Il locale andava pari e patta facendosi comunque un nome per “posto che promuove la musica dal vivo”. Da solo voleva dire che non avresti mangiato il prodotto interno lordo del Botswana a spese del proprietario del locale e che non avresti bevuto il Mississippi un boccale alla volta (sempre a spese di chi sai tu). Da solo significava che non dovevano affittare quattro stanze di albergo (sempre a spese di chi sai tu), ma potevano dirti “Ho una branda in casa mia”.
Questo faceva si che pian piano, visto che i più grandi chiudevano, quelli che prima facevano gli schizzinosi a suonare in quei posticini lì poi provassero ad entrare nel giro di questi localini medio piccoli e i proprietari imponevano le loro condizioni (e facevano bene).
A quel punto qualcuno iniziò a parlare di “Ritorno dei cantautori” e di “voglia di grandi temi e di contenuti”. In realtà la cosa era dettata più che altro dalla contingenza. Infatti, al netto di qualcuno che diventò grande per davvero come numero di fan, tanti rimasero al palo.
Allora vennero a dirci che non eravamo bravi come quelli degli anni 70, perché quelli muovevano le masse e noi muovevamo si e no il nostro culo.
Rispondemmo che in effetti era vero, non eravamo tutto questo fenomeno.
Però rispondemmo anche che i linguaggi musicali cambiano e oggi i giovani (che ai nostri concerti quasi non si vedevano, e quando dico giovani dico giovani per davvero, non trentenni) vanno probabilmente più volentieri a sentirsi un gruppo rap o ad un rave.
E rispondemmo anche se negli anni 70 uno avesse avuto internet, che con un tasto ti ascolti tutta la musica che vuoi, dove vuoi, quando vuoi, senza pagare una lira (e infatti le “radio libere” sono state fagocitate dai grandi network che mandano solo musica di persone che pagano per essere mandati in onda), e ultimo ma non ultimo se con una modestissima somma si fosse potuto volare in una capitale europea a vederti un megafestival con tutti i gruppi che ti eri sentito perchè volare a Stoccolma ormai costava meno di andare in macchina a Rimini (il tutto dopo non aver pagato nemmeno il disco), forse anche i nostri precursori degli anni 70 avrebbero trovato qualche difficoltà in più.