“Mi sono stancato di avere paura in continuazione”.
Sono le parole di Brooks, un personaggio del film “Le ali della libertà”, prima di suicidarsi. Sono parole che spiegano bene la condanna che ci si porta in spalla ad avere paura di qualcosa che gli altri considerano normale. Ci si sente tanto male che alla lunga il logoramento può portarti ad impazzire.
Io avevo paura dei cani. Se in una stanza c’era un cane, io uscivo. Se ero in un parco e un cane gironzolava libero nel raggio di cinquanta metri, io non lo perdevo di vista nemmeno un secondo. Quando da piccolo si trattava di scegliere a casa di che amici andare a giocare, io andavo da quelli che non avevano un cane.
Mia madre ha avuto anche un paio di cagnolini, che non mi facevano paura ma dai quali stavo comunque bene a distanza. Ho avuto una ragazza che adorava i cani, ma quando i suoi due (che vivevano nell’officina del padre) me li trovavo intorno, restavo teso tutto il tempo. Paura.
Quando ho incontrato Poldo, tre giorni dopo aver conosciuto quella che sarebbe diventata mia moglie, mi ha ringhiato e abbaiato contro. Cattivo, proprio. Voleva farmi paura. Ci riuscì benissimo.
Oggi che esistono foto mie dove metto la testa in faccia ad un alano brandenburghese, che quando vedo un cane in genere vado subito a fargli le coccole, che quando sono in un posto pubblico ed entra un cane enorme mi viene da sorridere e da corrergli incontro, non riesco nemmeno a dare la giusta importanza ad ogni momento che ho vissuto insieme a Poldo, nonostante i ricordi siano talmente tanti che mi viene da piangere solo a pensarci.
Poldo mi ha insegnato come fare a non avere paura. Per quel che mi riguarda, non esiste dono più grande.