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Mia moglie l’anno scorso, per il mio compleanno mi fa avere un pacchetto e mi dice che quest’anno mi ha fatto solo un pensierino, che le tasse del negozio, le ferie, eccetera. Lo apro. Dentro c’è la replica esatta della maglia di Johan Cruijff del mondiale del 1974. Ho provato a spiegarle che era tutta la vita che aspettavo che qualcuno mi regalasse questa maglia, ma secondo me non ha mica capito quanto ero contento. Ho i brividi adesso che lo scrivo.

Anni fa mi feci spedire da un olandese appassionato di calcio tutte le partite dell’Olanda del 1974. Un paio hanno il commento della ESPN sports classics ed è per questo che pagherei un centinaio di euro senza pensarci per avere una Olanda-Argentina 4-0 con il solo audio dello stadio. Su Youtube non c’è, ho controllato.

Vi siete mai chiesti perché questo blog ha lo sfondo arancione? Vi siete mai chiesti perché è il mio colore preferito? Vi siete mai chiesti perché sono stato in Olanda cinque volte senza bisogno di andare a puttane o farmi le canne?

Non mi ricordo quanti anni avessi, ricordo solo che vidi “IL PROFETA DEL GOL” di Sandro Ciotti in televisione. Erano ancora gli anni settanta. Di quel documentario ricordo ancora la musica della colonna sonora, che annovero tra le cose più malinconiche che io abbia mai sentito.

Io non li ho visti, i mondiali del 1974. Non in diretta, almeno. Io sono nato nel 1972. Il primo ricordo calcistico che ho è mio fratello in vacanza a Rapallo che piange dopo che l’Olanda ci ha negato la finale del mondiale in Argentina battendoci 2-1. Cruijff non c’era, si diceva non fosse andato per la dittatura, anni dopo avrei scoperto che non era andato perché dopo che gli erano entrati in casa minacciando di rapirgli la famiglia e puntandogli una pistola alla testa, aveva ridefinito le sue priorità.

All’epoca le immagini del calcio straniero praticamente non esistevano. C’erano tre canali tv. Internet manco riuscivamo ad immaginarcelo.

Mi ricordavo di Ciotti e del suo film, che riguardavo per intero ogni volta in cui mi capitava di inciamparci. E poi seguivo sui giornali e dovunque potesse capitare, almanacchi e tutto, il suo nome. Cruijff era un mondo intero che si apriva nella meraviglia di un gioco.

Ricordo che quando giocavo a pallone da ragazzino, se mi capitava di finire in panchina, allora insistevo per avere il numero 14. Da noi non si poteva scegliersi il numero. Lui poteva, quando nessuno poteva. Si diceva che avesse ottenuto un permesso speciale dalla federazione, dal gran che era fortissimo. In effetti di cose particolari ne aveva. Quando l’Olanda andò al mondiale del 1974, lo sponsor tecnico era l’Adidas e tutti avevano le tre bande nere laterali sulla maglietta. Cruijff aveva la Puma e pretese e ottenne di avere due bande nere e non tre. L’unico. I numeri dell’Olanda erano distribuiti in ordine alfabetico, tutti. Jongbloed, il portiere, aveva il numero 8, per dire. Cruijff aveva il 14. L’unico a non avere il numero in base all’alfabeto. E pensare che, se avessero dato retta all’alfabeto, in quella nazionale avrebbe avuto il numero 1. Non lo ebbe proprio perché era il numero uno per davvero. Quel mondiale doveva essere la sua assoluta celebrazione, ma mancò la ciliegina sulla torta. Il mondiale dove tutto il mondo si accorse della “Het Cruijff draai”, la finta alla Cruijff, il suo tocco più celebre.

E dire che aveva vinto tre coppe dei campioni, con l’Ajax. Non so quanti campionati olandesi. Una coppa intercontinentale. Una sola, perché le altre due edizioni alle quali avrebbe avuto accesso l’Ajax decise di non andare. La prima volta lasciò il posto al Panathinaikos e la terza alla Juventus. Ce la vedete una squadra che vince per la prima volta la coppa dei campioni e rinuncia a giocare la coppa intercontinentale l’anno dopo? Ecco, quello era l’Ajax, quello era Cruijf, quelli erano (e sono ancora) gli olandesi.

Dopo la terza coppa dei campioni Cruijff andò in Spagna, al Barcellona. Erano anni che il Barcellona non vinceva il campionato. Con Crujiff tornò a vincerlo. Fece il gol più incredibile che la storia del calcio ricordi, contro l’Atletico Madrid, un gol in acrobazia di tacco quasi dalla linea di fondo campo. Lo chiamarono “Il gol impossibile” ed in effetti gol così non li fa più nessuno. Quando alcuni giocatori dell’Atletico protestarono per un fallo, il loro allenatore Kubala disse che “Davanti ad un gol così non si discute, si applaude”. Il Barça vinse 5-0 in coppa del Re contro il Real Madrid, una cosa che chi c’era a Barcellona quell’anno non dimenticherà mai.

Dopo qualche stagione e dopo l’episodio di cui parlavo sopra, Cruijff decise di cambiare vita. Iniziò un periodo altalenante, che lo vide giocare a gettone (primo caso al mondo) nella squadra catalana del Levante, in seconda divisione. Andò in America, insieme a tanti giocatori a fine carriera, a cercare di lanciare il Soccer, la versione a stelle e strisce del Calcio. Giocò nei Los Angeles Aztecs e nei Washington Diplomats. Venne eletto miglior giocatore della lega, poi tornò in Europa. Era il 1981.

Fece una prova con il Milan in un Mundialito estivo. Fece cagare. Lo fischiarono tutti. Se ne tornò in Olanda. A casa. All’Ajax. Lo scetticismo era alto, ma alla prima partita contro l’Haarlem fece un gol evitando tre avversari e beffando il portiere avversario con un pallonetto da fuori area. Ad Amsterdam se lo ricordano ancora. Vinse il campionato. Giocò due stagioni con l’Ajax, poi alla terza stagione la dirigenza non gli rinnovò il contratto.

Cruijff allora decise di firmare con il Feyenoord. Per chi non mastica di calcio olandese, immaginatevi Totti che firma per la Lazio.

Alla prima amichevole venne fischiato da tutto lo stadio dei suoi nuovi tifosi. Un gigantesco striscione diceva “Feyenoord Forever – Cruijff Never”. Odiato da tutti.

Il Feyenoord non vinceva il campionato dal 1974 (vale a dire da quando Cruijff se ne era andato dall’Olanda). Lo rivinse quell’anno. Se andate su Youtube ci sono tutte le partite, in sintesi di un quarto d’ora l’una. Cruijff gioca con il numero 10, ormai fa il regista e non corre più granché, ma mi stupisce il fatto che nessuno citi mai quella stagione come una delle sue più incredibili. Se guardate le partite, ogni volta che tocca la palla, sembra che si accenda la luce. E’ sempre protagonista della manovra. Spesso segna, magari dopo aver dribblato quattro o cinque avversari. A 37 anni, senza mai aver smesso di fumare. Il video dell’ultima partita di campionato è il più emozionante. Ad un certo punto viene sostituito, tutti sanno che quella è l’ultima volta. La partita si ferma per cinque minuti, giocatori ed avversari lo portano in trionfo, gli stringono la mano, i tifosi che solo qualche mese prima gli tiravano i petardi e lo offendevano, si alzano ad applaudirlo.

Cruijff ha vinto pure da allenatore, con l’Ajax e con il Barcellona. La prima coppa dei Campioni del Barça vedeva lui in panchina. Lui che diceva che i giocatori dovevano muoversi liberamente dentro uno schema, esattamente come faceva l’Olanda del 1974 che (come l’Ungheria del 1954) fu l’unica squadra a far fare un balzo in avanti al calcio di 20 anni e a fare scuola senza vincere niente. Lui che da allenatore diceva ai suoi giocatori che “Arriverò nello spogliatoio sempre e solo venti minuti dopo la fine della partita, così che abbiate il tempo di insultarmi, di sfogarvi e di dire tutte quelle cose che non potrete ad un allenatore davanti a tutti nello spogliatoio”.

Poi i problemi di salute, dovuti al fumo. Bypass coronarici, la necessità di una vita tranquilla.

Deve essere stato strano per lui, visto che tanto tranquillo non è mai stato. Cruijff sapeva essere sbruffone come pochi. Come quando per spronare i suoi non esitò a ridicolizzare verbalmente il Milan di Capello, che poi gli rifilò 4 gol e facendogli fare una bella figura di merda.

Oppure come quando un giovanissimo Jorge Valdano (poi campione del mondo nel 1986) lo incrociò sul campo e gli disse, mentre stava litigando con l’arbitro, se gli poteva ridare la palla che dovevano giocare. L’olandese apostrofò l’argentino dicendogli “Quanti anni hai ragazzino?” e alla risposta “21” disse “Alla tua età a Johan Cruijff gli si dà del lei”.

Oppure come quella volta che si mise in testa, nel 1982, di battere un rigore in maniera indiretta. Segnò, i giocatori avversari non ci capirono niente. Con la Maglia dell’Ajax.

Cruijff aveva fatto tutto con quelle due maglie. Il rigore di seconda con la maglia del Barcellona mancava. Ma il 14 febbraio di quest’anno Messi e Suarez ci hanno pensato loro, contro il Celta Vigo. I social network sono subito impazziti nel commentare la notizia come una semplice sbruffoneria, non pochi tra quelli che conosco hanno detto che bisognava “spezzargli le gambe” e cazzate del genere.

A pochi era saltato alla mente che, dopo avere annunciato di essere malato di cancro ai polmoni (malattia che non lascia scampo), Cruijff proprio il giorno precedente, 13 febbraio 2016 aveva fatto la prima dichiarazione pubblica da malato di cancro. E puntuale, il giorno seguente, Messi e Suarez avevano fatto quel piccolo omaggio al campione.

Cruijff aveva detto “Contro il cancro siamo alla fine del primo tempo e per ora sto vincendo 2-0”. Anche nel momento della sconfitta definitiva, davanti ad un avversario imbattibile, non aveva rinunciato ad una finta da fenomeno, spavalda, sbruffona.

Una finta alla Cruijff.