L’abitudine

Io, quando suono, ho delle persone che vengono a sentirmi apposta.
Non sono mica tante, ma vengono apposta. Mi hanno sentito una volta e dopo tornano a sentirmi, sentono che canzoni nuove ho scritto e riascoltano quelle vecchie.
A volte succede pure che muovono la testa ritmicamente e a volte succede che con la coda dell’occhio vedo che cantano le canzoni che sto suonando.
Non sono mica tante. A volte vengono a sentirmi suonare e poi non vengono più per tanto tempo, che io mi dimentico anche chi sono. E mi si presentano davanti e mi dicono “Sono xyz” e io non mi ricordo e mi sento anche un poco una cacca, a non ricordarmi. Quando non mi ricordo lo dico, che non sta bene dire che ti ricordi se non è vero. Però qualche volta l’ho fatto, di dire che mi ricordavo e invece no, ma mi son pentito subito e oggi non mi capita quasi mai.
A volte ci sono delle persone che vengono a sentirmi un sacco di volte, che mi sentono anche dieci volte in un anno, che si fanno dei km apposta. Mi è anche capitato che venissero da lontano e si prendessero un albergo. Mi capita anche che ci sono dei posti che quando ci torno, ci sono quelli che mi avevano sentito la volta prima e tornano ogni volta, si comprano il disco nuovo, lo ascoltano, gli piace.

Non sono mica tanti. Ci sono di quelli che ne hanno a centinaia, anzi a migliaia, così. Delle volte ne hanno talmente tanti che il fatto che succedano queste cose qui gli sembra una cosa normale.

Io so che non mi ci abituerò mai.

Che bello.

Il giorno del disco.

Oggi è la giornata dei negozi di dischi.

Se c’è una cosa che ho capito in tutti questi anni è che “la giornata del (riempite lo spazio)” si fa quando una cosa non c’è più e bisogna inventarsi una “giornata del (riempite lo spazio)” altrimenti la cosa che avete messo nel “riempite lo spazio” non ce la fileremmo mai e poi mai.

In questo modo c’è chi non se lo ricorda mai e va alla caccia del “riempite lo spazio” con enfasi, pronto a salvare il “riempite lo spazio” dal resto del mondo cattivo.

Ieri sera ho letto una bella intervista a Maurizio Blatto, uno che scrive e che ha un negozio di dischi. Ha fatto un libro chiamato “L’ultimo disco dei mohicani” che è più o meno la versione italiana di “Alta fedeltà” e devo dire si legge che è un piacere. In questa intervista Blatto dice che odia il “Record Store Day”.

A me è capitato solo una volta di essere in un negozio durante il “Record store day” e ho visto quelle facce un poco saputelle dei clienti che vengono in negozio solo quel giorno a comprarsi una stronzata, guardando il negoziante un poco con quella faccina da saputelli che vengono a farti un favore e solo per il fatto di essersi presentati in negozio un giorno all’anno vorrebbero pure un “grazie”, magari. “Altrimenti col cazzo che mi rivedi l’anno prossimo” sembrano dirti, hanno quella faccia che nei legal thriller americani hanno gli avvocati dei cattivi quando sembrano averti in pugno a tre quarti del film. Il negoziante ha la faccia dell’avvocato eroe del buono, solo che è rassegnato perché difficilmente troverà la soluzione del caso mentre guarda un sottobicchiere in un bar del Kentucky per una trovata del regista.

Blatto l’idea geniale l’ha trovata. L’ha trovata guardando i vecchi 45 giri che non voleva mai nessuno a 50 centesimi. Ci ha scritto sopra “Esclusiva Backdoor record store day 2013” (“Backdoor” è il nome del suo negozio a Torino) e poi li ha esposti in bella vista.

Un sacco di gente li ha comprati, diventandone di colpo avida.

Non so cosa voglia dire, so solo che la cosa mi sta facendo riflettere.

So che ho pensato che prima o poi arriveremo pure a un “Small Club Concert day”, dove una volta all’anno suoneremo davanti ad un locale pieno che ci segue con attenzione, perché quel giorno devono concedercela a noi canzonettisti. Quel giorno non parleranno di cazzate, non sorseggeranno gli spritz a 6 euro l’uno facendoti una foto con lo smartphone per poi dire “Io c’ero” oppure si limiteranno a non farsi mai e poi mai vedere per poi dire di continuo quanto è importante la musica per loro e che è un peccato che i piccoli club chiudono e che è uno scandalo che la musica in Italia sia in mano a quei talent show che peraltro guardano tutte le settimane conoscendo a memoria concorrenti, giudici, pettinature, battibecchi e così via.

Già ho il terrore delle facce che troveremo una volta scesi dal palco. Intanto vado a vedere su google qualche bar nel Kentucky, non si sa mai…