TEMA: La volta che ho mangiato peggio in vita mia.

Svolgimento:

La volta che ho mangiato peggio in vita mia è stato il 22 agosto del 2013. Ero a Marina di Cecina, in provincia di Livorno, con mia moglie. Siamo arrivati e abbiamo parcheggiato lontano dal lungomare, che a Marina di Cecina di sera in agosto c’è traffico. Dopo che abbiamo parcheggiato ci siamo incamminati verso il lungomare e ci siamo detti che potevamo entrare in un ristorante qualsiasi che dai in fondo uno vale l’altro e che così magari non facevamo la fila come sul lungomare. Allora siamo entrati in un ristorante chiamato “DA FIAMMETTA” dove mia moglie ha deciso di prendere la pizza e io di mangiare del pesce.

Abbiamo ordinato e visto che avevamo letto “Birre artigianali” abbiamo chiesto cosa avessero. Ci hanno risposto che di birre artigianali avevano la MENABREA. Pessimo inizio, ma in fondo può capitare, ci siamo abituati, niente di grave.

Un indizio sospetto mentre aspettavamo, poi. Abbiamo visto due motorini di quelli che consegnano le pizze fermarsi davanti alle due case vicinissime al ristorante. Mi ricordo che io ho detto con mia moglie che dovevano essere proprio due cretini quelli che avevano ordinato le pizze pagando il supplemento del motorino e che magari te la consegnano anche fredda quando hai una pizzeria davanti a casa.

Poi è arrivata la pizza. Era grande come un 45 giri o poco più ed era peggio di quelle surgelate che trovi nei supermarket, sia come grado di croccantezza o sofficità, sia come sapore. A me invece è stato portato un antipasto che si chiamava “Il mare di fiammetta” che doveva essere una specie di gran trionfo dell’antipasto misto di mare e che vedeva qualche cozza e vongola secca, una fettina di una roba che credo dovesse essere carpaccio di tonno con una pisciata di maionese sopra e poi due crostini fatti con il pan carré. Avete presente quando comprate il pan carré e poi vi rimane aperto in frigo e prendete due giorni dopo una fetta in mano che si è un poco raggrinzita? Ecco, così. Manco tostato, giuro. Poi, visto che avevo preso anche un secondo di pesce avevo avuto con un tipo del ristorante un dialogo dove gli chiedevo tra lo sgombro e la palamita cosa avesse di fresco e lui ha risposto “La palamita!”. A quel punto io avevo confessato che “Io poi di pesce non capisco nulla, per carità” e lui aveva chiosato dicendo “Ma noi si, a noi con il pesce non ci fregano”.

Un quadratino grande come la “O” di quando fate “OK” con la mano, secco e raggrinzito servito su un alluminio circondato da verdure secche (l’olio non deve essere contemplato, nella cucina di Fiammetta) che rimanevano attaccate al cartoccio oppure venivano via ma ti dovevi mangiare anche la bauxite.

Ad un certo punto io ho perso la pazienza e ho proprio detto che dovevano andare a fare in culo a farmi spendere intorno ai 25 europei per quella merda. Ho detto proprio così e l’ho detto forte, tanto che mia moglie mi ha detto che dovevo stare attento che c’era il tipo dietro. Io ho ribattuto che oramai poteva soltanto sputarmi nel caffé, cosa che per un attimo ho temuto che abbia fatto visto che anche questo era talmente lungo che ho cercato il cartello “attenzione: acqua alta” con l’omino che annega.

Io sono di bocca buona, non mi lamento praticamente mai di un ristorante, figuriamoci pubblicamente. Quando vado al ristorante cerco sempre anche di raggruppare i piatti se fa comodo al cameriere e cerco di essere sempre gentile con tutti e portare pazienza qualora i tempi siano lunghi, specialmente quando sono in vacanza che invece loro stanno lavorando e servendomi da mangiare, ma come dice il mio amico Marco Paderni detto “Blasters” da Scandiano:

“Dio****, spendere dei soldi magari anche tanti per della roba che mentre la mandi giù fa schifo e la cosa migliore che ti può capitare è di far poca fatica a doverla anche cagare…”

“Da Fiammetta” a Marina di Cecina. Nel locale c’erano anche delle copertine di vinile, una era dei “That Petrol Emotion”. Dovevo aspettarmi qualcosa di terribile.

(Domani siamo al MEETING PEOPLE IS EASY, Festa del PD di Reggio Emilia, con il banchetto dei vinili del canile di Arceto. Ne abbiamo anche uno dei “That Petrol Emotion” che si chiama “Babble”. Chi lo compra vince del pan carrè raggrinzito)

Ti dico solo una cosa (Lo sport in televisione e la socialità secondo casa Frigieri)

Sarà capitato anche a voi, come diceva Sylvie Vartan. Non di avere una musica in testa, ma di vedere un avvenimento sportivo in differita. Spesso per ragioni dovute al fuso orario e al fatto che non potete stare svegli tutta la notte. Il giorno dopo dovete andare a lavorare e quindi decidete che ve lo guardate la sera dopo o quando riuscite. Accade spesso con gli sport americani.

Oggi, soprattutto con i socialcosi (Copyright Marco Manicardi), capita che nessuno resista dal guardarsi una partita di (riempite voi lo spazio) e poi comunicare al mondo il risultato.

Ci sono quelli più accorti che il giorno dopo ti dicono “Hai visto stanotte la finale degli US Open?” e al tuo “NO, NON MI DIRE NIENTE CHE LA GUARDO STASERA” non ti dicono niente e ti evitano. Non per cattiveria, anzi… Spesso ti concedono un tempo limite (tre giorni, una settimana al massimo in genere) e poi tornano sull’argomento. Hanno la fregola di dirti che il tale ha vinto con quella meravigliosa volèe che gli ha regalato la palla break decisiva al quarto set. Proprio perché ne hanno goduto così tanto, vogliono che anche tu ne goda e allora si ritirano e ti aspettano.

Ci sono quelli maleducati che ti dicono “HAI VISTO I PITTSBURGH STEELERS CHE HANNO MASSACRATO I MIAMI DOLPHINS? Oh, cazzo. 27-9, alla fine del secondo quarto praticamente partita finita. E poi nell’intervallo hai visto che c’erano gli Stones? Hanno fatto tutto “Let it bleed” e a “Midnight Rambler” è montato su anche Paul Mc Cartney a suonare il basso!!!” e a quel punto vorresti spaccar loro la faccia e invece rispondi solo “No, non l’ho visto. L’ho registrata, la prossima volta registro un porno. Almeno se me lo racconti non mi cambia granché”

Poi ci sono quelli che “TI DICO SOLO UNA COSA”.

Questa ultima categoria è composta dalle vere teste di cazzo. Non so esattamente cosa passi per il loro cervello quando “ti dicono solo una cosa”. Di sicuro non granchè, visto che a sentir loro la singola cosa che ti dicono non influirà minimamente sulle possibilità di goderti l’evento sportivo. Insomma, è “come se non ti dicessi niente”. E allora perché non tacere?

Invece questi bastardi decerebrati ti devono dire una cosetta, fare la battutina, spesso senza pensare che davanti a loro hanno qualcuno al quale l’evento sportivo in questione interessa DAVVERO e non soltanto come una scusa per stare tutti insieme davanti al televisore a parlare dei cazzi loro con in sottofondo Juve-Barcellona (per dire).

“LA COSA” che ti devono dire in genere parte da questo bisogno di rischio. Il rischio loro di rovinare A TE una serata. Un poco come se tu andassi a giocare alla roulette con i loro soldi e poi dicessi loro “E capirai, per 400 Euro…”.

I “Tidicosolounacosa” si dividono in diversi sottogruppi. Eccone qui alcuni tra i più comuni:

a) L’Idiota del 12esimo grado della scala Mercalli.
Distruzione totale. Quello che non arriva al minimo procedimento logico e ti dice “Lo guardi stasera il campionato mondiale dei pesi medi? Non ti dico chi ha vinto, ma ti dico solo una cosa. ATTENTO AL QUINTO ROUND, NON ANDARE IN BAGNO” e poi ridacchia, non si sa se compiaciuto per averti rovinato la festa o se perché convinto di averti fatto un favore (Non esistono studi di laboratorio sufficienti per avere dati attendibili). Interessante la variante “GUARDALA FINO ALLA FINE” in caso di partita di calcio con gol al novantesimo.

b) L’ignorante in matematica

State guardando le serie di uno sport americano. Io guardo il baseball, ma con il basket NBA il discorso è analogo. La formula è che le squadre si affrontano al meglio delle 7 partite. Chi ne vince prima 4 ha vinto. Mettiamo che nella serie stiano 3-1 per i Vattelapesca Crickets contro i Casamia Vandals e stasera vi guardate gara 5 che avete registrato. Loro vi dicono “Domani sera, che è venerdi, vieni a casa mia a vedere gara 6 e facciamo la notte?” A quel punto gara 5 sapete già che l’hanno vinta i Casamia Vandals. Che la guardate a fare?

c) L’entusiasta

E’ quello che sa della vostra passione per il baseball e dopo una settimana nella quale voi evitate di avere una vita sociale per guardarvi le gare che un vostro amico vi sta registrando, vi vede per caso in un bar e vi urla fortissimo “Oh, vecchio!!! Stanotte vieni a casa mia a vedere gara 7?” e a quel punto voi vi siete giocati tutta la serie. (Questa mi è successa davvero)

d) Il fallo di mano involontario (In genere  è il proprio partner, vostra madre, un parente stretto)
Quello che ti dice “Passi un attimo in negozio?” e nel secondo in cui tu passi in negozio mentre intanto riavvolgi la cassetta che ti ha appena registrato la marcia 50 km dell’olimpiade di Pechino, c’è la radio a tutto volume che dice “Ho tenuto il loro ritmo e poi li ho staccati”. Tu cominci ad urlare “LALALALALALALALALALA” ma ormai capisci benissimo che Radio Bruno, che è una radio iper generalista, non direbbe mai una cosa del genere nel notiziario se avesse vinto un messicano, un léttone, un samoano o un finlandese. Un italiano invece, probabilmente, si. A quel punto il tuo partner ti dice il perché ti ha fatto passare subito in negozio. “Mia madre mi ha lasciato una borsa con delle zucchine. Le puoi portare a casa? Sono nel retro”. Ovviamente quelle zucchine non potevano aspettare 3 ore e 50 in un frigo. Dovevano assolutamente venire prelevate subito. A quel punto in genere l’amore dà il colpo di grazia, nel senso che il partner si accorge di aver fatto una cazzata e invece di tacere dice “Scusa” con aria imbarazzata. Che tradotto significa più o meno “Si, nel caso avessi il dubbio, hai capito bene. Alex Schwatzer medaglia d’oro 2004. Ora vatti pure a vedere 3 ore e 50 di marcia sapendo già com’è finita. Pensa che coglione, ti sei anche alzato apposta!” (Autobiografica anche questa, come avete fatto a indovinare?)

e) Il malizioso (Variante fine del sottogruppo “a”)
Il tipo peggiore o quantomeno il più pericoloso. Quello che non capisce nulla dello sport che segui tu. In genere segue il calcio e quindi per lui lo sport si ferma lì. E’ quello che non capisce come tu possa guardarti delle partite di baseball e quindi ti prende per il sedere a intervalli regolari durante le chiacchierate sul lavoro alla macchina del caffé. Poi, un bel giorno, vede che te ne vai mentre tutti sfogliano la “Gazzetta dello sport” e tu commetti l’errore di pensarlo tuo amico e allora dici “Sto guardando le World Series americane, le registro alla notte, mi sono informato su tutti gli orari e ho programmato tutto, non voglio rischiare di rovinarmi la cosa. Non mi dire niente, ti prego”.

Lui allora che fa? Intanto VA A VEDERE SE C’E’ SCRITTO QUALCOSA SUL BASEBALL, cosa che non avrebbe MAI fatto. Poi legge, memorizza una singola informazione (il suo cervello non è in grado di tenerne di più) e poi viene lì da te stuzzicandoti tutta mattina, ma senza dire niente. Tu sai benissimo che arriverà il momento in cui rovinerà tutto e preghi che lo chiamino per un problema in produzione, perché ha lasciato il figlio in macchina, perché la casa gli si è allagata. Invece no, lui continua a punzecchiarti.

Fin quando… “TI DICO SOLO UNA COSA…”

E poi ti dice il nome di un giocatore che ha letto sul giornale. Solo un nome. Per lui è solo un nome, quindi non farà una grande differenza. Solo che cara la mia testa di cazzo, mi hai detto il nome di un terzabase. Non di un lanciatore, non del più grande fuoricampista che ci sia in campo, ma di un terzabase. E guarda caso è quello della squadra che si trova in vantaggio nella serie. Infatti con ogni probabilità tu hai letto quel nome perché scritto un poco più grosso degli altri. Questo può solo significare che il giocatore in questione abbia fatto qualcosa come il fuoricampo decisivo della partita, facendo vincere la stessa alla sua squadra che li è laureata campione del mondo e grazie a questa giocata il singor terzabase venga dichiarato MVP (Most Valuable Player). Infatti succede poi che la sera sei lì che guardi la partita con tuo fratello e quasi ti sei scordato di quel cretino che lavora con te. Ma all’ottavo inning si presenta in battuta con due uomini sulle basi il “Signor terzabase” e a te di colpo torna in mente tutto. Infatti: fuoricampo, MVP, fine partita, fine serie.

Ma come? Solo da un nome? Si. Era solo un’ipotesi, è chiaro. Ma hai visto che c’è qualcuno che fa girare le rotelline del cervello e IMMAGINA? Immagina anche dalla faccia che hai fatto quando non appena mi hai detto il nome ti ho spiegato tutta questa pappardella. La tua era una faccia incredula, una specie di “Ma come ha fatto a capirlo?” che è più o meno la stessa dei bambini quando un prestigiatore tira fuori un coniglio dal cilindro. Insomma, una faccia da idiota.

Morale della favola: SE SAPETE IL RISULTATO STATE ZITTI, STRONZI.

 

Nota: Per evitare di sapere i risultati delle World Series di Baseball, visto che non ho la tv e se scarico io finisce che poi conosco i risultati durante la ricerca, abbiamo messo a punto un sistema io e il dottor Manicardi che un giorno brevetteremo. Se rispettato in ogni sua regola è praticamente infallibile, a parte il rischio di incontrare stronzi durante la giornata. Da qualche parte ci devono essere delle mail che lo spiegano, poi un giorno ve ne parla lui se ha voglia.

No me moleste mosquito. Il mestiere di essere Ray Manzarek.

La prima volta che ho ascoltato i Doors è stata intorno al 1982/1983. C’erano dei video che giravano su “Mister Fantasy” di Carlo Massarini con questa musica allucinante e mio fratello portò in casa un disco dei Doors chiamato “Greatest Hits”. Io non lo sapevo che voleva dire “I grandi successi”, che avevo dieci anni e infatti mi stupivo che c’erano in tanti che avevano fatto un disco con quel titolo lì. Poi iniziai ad imparare l’inglese proprio con i Doors, ma di questo ho già scritto in un post molto vecchio e a quello vi rimando. In quel disco lì c’era una canzone che era la seconda del lato A del vinile e che si chiamava “Light my fire”. Partiva con una introduzione di tastiera e poi dopo una parte cantata partiva una roba lunghissima dove non cantava nessuno e questi suonavano come invasati. “Ma quanto cazzo dura? Ma non cantano più?” e poi ripartiva a cantare e il pezzo finiva. La cosa mi mandava nei matti, con il tempo avrei imparato che la cosa più bella del pezzo era proprio quella parte di mezzo. Poi da lì vennero i dischi ufficiali, che mio fratello comprava uno dopo l’altro. I Doors erano fighissimi e poi avevano canzoni LUNGHE. La mia preferita era e rimane ancora oggi senza dubbio “When the music’s over”. 11 minuti che mi mandarono fuori di testa. C’era tutto quello che potevo desiderare.

Ma non voglio parlare di quanto fossero fighi i Doors e di quanto fosse importante quella tastiera (io le tastiere le odio, ma Ray Manzarek e i Doors rappresentano l’eccezione) nell’economia del suono dei quattro. Non lo voglio fare perchè ritengo che i Doors fossero uno di quei rari casi dove se ne togli uno salta tutto o quasi. Non avrebbero avuto senso con un altro cantante, con un altro tastierista, con un altro chitarrista (No, dico… tutta la musica folk araba, indiana, zingara della chitarra di Krieger?) e con un altro batterista (Densmore era drammaturgia pura. Suonava la batteria spesso seguendo la voce di Morrison e sottolineandone la recitazione o il canto con momenti che ricordano quelli di un circo o di un cabaret. Non è una cosa così usuale. E funzionava).

Dicevo, voglio parlare del mestiere di essere Manzarek. Perchè essere Ray Manzarek è un mestiere a tempo pienissimo. Mi spiego meglio.

I Doors durarono dal 1967 al 1971, poi Morrison se ne andò e ci lasciò le penne subito. Il suo stile di vita rock’n’roll gli consegnò 27 anni di vita in un corpo che ne dimostrava 56 portati male. A quel punto i tre superstiti ci provarono. Fecero il colpaccio. Incisero un disco senza Morrison, cantando loro (Manzarek, spesso). Si chiamava “OTHER VOICES”, altre voci. Il disco fu un flop. Ne fecero pure un altro, si chiamava “FULL CIRCLE” e il cerchio si chiuse davvero qui. I Doors senza Morrison NON SE LI CAGAVA NESSUNO.

Infatti, se andate a vedere nella discografia dei Doors quei dischi lì non figurano neanche. In molti non sanno neanche che esistono.

Poi, visto che bisogna campare, decisero di tirare fuori dei vecchi nastri con il morto che recitava poesie e ci suonarono sopra. Funzionò, il pubblico se la bevve, trovò spazio anche una versione dell’Adagio di Albinoni schitarrata da Krieger su base recitante che ancora oggi grida vendetta.

Ma il vertice assoluto di questo scempio fu toccato in “Full Circle”. Lì c’era un brano chiamato “MOSQUITO” che era una filastrocca che diceva “No me moleste Mosquito, Leat me eat my Burrito, No moleste Mosquito, Why don’t you go home”. Andatevela a sentire su Youtube.
Roba che a confronto lo zecchino d’oro sembra Immanuel Kant.

Fatto? Bene. A questo punto per i Doors superstiti cominciava, grazie ad “An american prayer” e al culto del cantante scomparso, una fitta sequenza di impegni. I ragazzi ricominciavano a suonare dal vivo insieme, senza il cantante. Vennero arruolati cantanti occasionali più o meno noti e quando ad un certo punto diversi anni fa John Densmore decise che aveva fatto abbastanza soldi, venne preso addirittura un nuovo batterista. Senza pietà, più o meno come fanno gli Who (che si chiamano così perchè non sai più CHI suoni).
Il tutto condito da reincisioni di album, VHS che poi diventano DVD che poi escono di nuovo con qualche extra, un film incentrato soprattutto sulla vita dell’amico morto, poi altri documentari, poi interviste continue e il tutto SEMPRE A PARLARE DI QUEI 4 ANNI (scarsi) LI’, dal 1967 al 1971.

Perché appena snoccioli un aneddoto o suoni un accordo sono tutti lì in adorazione. Ma non appena accenni a qualcosa di altro che potresti aver fatto a nessuno frega niente di niente di niente. MAI.

Visto che molti che leggono questo blog sono persone che suonano, prego a lorsignori di provare ad immaginare la loro vita secondo l’applicazione del “Metodo Manzarek”.

Vi ricordate la roba che suonavate (a seconda dell’età che avete) 10, 15, 20 anni fa? Bene, ora immaginatevi che abbia avuto un successo notevole e immaginatevi costretti a suonarla SEMPRE. A parlarne sempre. A parlare di continuo del cantante (o bassista) del vostro gruppo di quanto avevate 18 anni (o 27, a seconda di quel che vi è capitato). Si, proprio di quel tizio che oggi non vedete più e che non sapete manco se ha famiglia, figli… Immaginatevi a parlarne tutti i giorni, tutti vi chiedono qualcosa a riguardo, sempre le stesse cose. E poi la musica. Sempre le stesse canzoni, sempre le stesse. Folle in delirio non appena accennate l’incipit di (mettete il titolo di un vostro pezzo che suonavate quindici anni fa, del quale non vi ricordate manco gli accordi). Visto che probabilmente suonate ancora, immaginate che tutto quello che avete fatto dopo sia TABULA RASA, tanto è vero che avete dovuto rinunciare a pubblicarlo e financo a suonarlo, se volevate campare.

Non è una vita così idilliaca, vero? Una timbratura di cartellino per svolgere sempre la stessa identica mansione. Una specie di “giorno della marmotta” in versione rock’n’roll. Anche perché lo dovrete fare fin quando campate. Sempre, sapendo che ogni canzone che vi andrà di scrivere non troverà mai spazio. Tutti vorranno sempre e solo sentire (e sentire parlare) di quei quattro anni lì. Quattro anni che per voi sono sempre più lontani, tanto che oggi manco ve li ricordate più così bene.

Immaginatevi poi che quando tirate le cuoia per un poco giri la voce che la vostra morte sia una bufala, che parta un mistero simile a quello dell’amico di cui sopra. Insomma, anche nel momento del trapasso vivere nell’ombra.

Ho letto su diversi socialcosi (copyright Marco Manicardi) di persone che, per tessere le lodi del Manzarek gli auguravano di “Ritrovarsi con Jim per suonare insieme (mettete il titolo di un pezzo dei Doors famosissimo).

Personalmente ho voluto troppo bene alla musica dei Doors e quindi a Manzarek per augurargli una punizione da girone dantesco come questa. Ray, se dovesse esistere l’aldilà, ti auguro di poter finalmente cominciare a suonare quel cazzo che ti pare. E se Jimbo dovesse proprio farsi vivo, ti auguro che ti chieda “No me moleste mosquito?” e poi ti dia l’attacco “Uno, dos, tres, quatros” e poi giù a ridere.

Turn off the lights.

Quanta gente mi fai scappare?

Non ne posso più di vedere di girare su internet appelli di gruppi o sedicenti artisti dopolavoristi della musica come il sottoscritto che imputano ai gestori di locali e al pubblico il loro fallimento. C’è un esempio che, quando sono interpellato sull’argomento, ripeto come un mantra. Contate le persone che avete davanti ad inizio concerto, dopo il primo pezzo. Contatele alla fine. Se queste ultime sono meno dell’80% di quelle che avevate all’inizio vuol dire che avete offerto uno spettacolo scadente. Vuol dire che dovete cambiare qualcosa nel vostro spettacolo di stasera. Passi se capita una volta, ma se capita due volte di fila significa quello, punto e basta. Quanto al gestore del locale, non biasimatelo per il “Quanta gente mi porti?”. La prossima volta potrebbe chiedervi “Quanta gente mi fai scappare?”. E se la colpa è del pubblico perché sono sfigati che non capiscono un cazzo di musica, non preoccupatevi. La prossima volta non ce lo avrete, il pubblico.

ITALO STA AL CALDO

Mercato domenicale di Novellara. Stand di cd e vinili. Arriva un tipo che oggi aveva l’ardire di indossare soltanto un maglioncino e dei bermuda, con scarpe da ginnastica. Avevo freddo io per lui. Il tipo guarda un poco di vinili e quello che gestisce lo stand (che ha l’aria di conoscerlo) ad un certo punto ironizza sul vestiario leggero. DOpo che hanno scambiato un paio di battute gli dice che “Oggi qui c’è freddo. Comunque a Mancasale (zona di Reggio Emilia, ndr) c’è CALDINO, han detto”.

E il tipo” Chi? Lo scrittore?”

Certe volte vorrei avere un registratore, perché poi pensate che me le inventi io. Magari avessi ‘sto talento.