Quando ero piccolo, nel mio quartiere c’erano gli eroinomani. Se ne stavano lì a cinquanta metri da dove noi prendevamo l’autobus. Facevo le elementari. Stavano accampati in una cabina dell’Enel di fianco al parcheggio del bar. La cabina dell’Enel veniva chiamata “LA cabina” e quelli erano i “cabinati”, che era un modo gentile per dire che erano degli eroinomani. I cabinati non ci sfioravano neppure, se ci avvicinavamo ci mandavano via.
Un giorno capimmo che c’era un tacito accordo tra i genitori del quartiere e i cabinati. L’accordo era che loro non dovevano farsi vedere mentre si drogavano da noi bambini. Se succedeva, li avrebbero ammazzati di botte.
Oggi, i genitori che dicono che portano i bambini a scuola in macchina perché “Sennò chissà chi incontrano” mi fanno ridere. Principalmente perché noi ci andavamo a piedi, passando da soli (e facevamo le elementari) di fianco ai cabinati. Che non ci hanno mai disturbato. Perché altrimenti li ammazzavano di botte. Le cose tipiche degli eroinomani (rubare o fare le seghe e i pompini ai vecchi per trovare i soldi, bucarsi e sdraiarsi con gli occhi a spillo) le facevano da un’altra parte, di nascosto e in silenzio, nessuno sapeva.Ogni tanto uno spariva e poi tornava dopo qualche ora, ma noi non ci accorgevamo di niente. Al limite vedevamo qualche iniziativa di gruppo, tipo quella volta che hanno fatto il “giochino del buondì”, che consiste nel comprare un “Buondì motta” e poi dargli un morso ogni passo camminando normale senza fermarti e in dieci passi devi aver finito il buondì (Sembra, ma non è facile per niente. In genere finisce che dopo sei passi stai sputando fuori il buondì per strada e tutti ridono come pazzi a vederti soffocare. Provate, fa molto ridere).
Ogni tanto qualche cabinato moriva di overdose, oppure spariva e andava in comunità, oppure cambiava compagnia di eroinomani e basta. Dopo qualche anno, i cabinati sono spariti tutti. Non ricordo esattamente come sia successo, sono spariti e basta. Qualcuno morto, qualcuno in comunità, qualcuno non lo so.
Ad un certo punto noi, che nel frattempo eravamo diventati adolescenti, abbiamo cominciato a ritrovarci in quella cabina lì. Stavamo lì. Senza l’eroina, ma intanto stavamo lì. Era un punto logisticamente comodo per stare in pace a farsi i cazzi propri non lontano da un bar. Quando sei giovane vuoi stare lontano da occhi indiscreti a farti i cazzi tuoi, ma succede che poi fai rumore e quindi ti sentono. Come tutti i ragazzi, facevamo un gran casino per strada. Parlavamo forte, facevamo un poco gli spacconi, qualche moderatissimo atto di vandalismo (Tipo quella volta che volevamo cambiare nome ad un viale e abbiamo pensato di cancellare il nome a colpi di scalpello a mezzanotte di un giorno lavorativo). Le solite cose, insomma.
Tutto il quartiere ci detestava, come normalmente le famiglie che lavorano detestano i giovani che girano senza fare un cazzo e fanno casino. Le solite cose.
C’era un tizio, un signore in pensione che faceva i lavoretti in tutto il quartiere, si chiamava Corradini, il nome non l’ho mai saputo. Era il classico tipo che ti si rompe la tapparella e chiami Corradini, mica un tecnico. Poi se Corradini non ci riesce, ti rivolgi ad un professionista.
Lui non si lamentava. Corradini veniva tutte le mattine con la scopa e la paletta e puliva la cabina, dove noi avevamo lasciato regolarmente un poco di merdaio, principalmente perché eravamo dei maleducati del cazzo, anche se all’epoca ci sentivamo molto fighi.
Gli altri “grandi” del quartiere gli dicevano spesso su. Dicevano che a noi bisognava stangarci, bisognava chiamare la polizia, bisognava insegnarci l’educazione a bastonate. Bisognava darci un taglio con noialtri, che vedrai che se andavamo alla cabina degli eroinomani anche noi saremmo diventati così.
Io mi ricordo una volta che lui, davanti a diverse persone che si lamentavano molto forte, rispose più o meno che di avere dei giovani come noi avrebbero dovuti essere tutti molto contenti e che era una bella fortuna, per il quartiere, avere dei giovani come noi.
Le persone che si lamentavano molto forte allora risposero che non era mica tanto una fortuna, noi facevamo un casino infernale, eravamo rumorosi, disturbavamo la quiete pubblica.
A quel punto Corradini disse una cosa che io non dimenticherò mai. Disse (il virgolettato è mio, ma si fa per capirsi)
“Guardate che fin quando i giovani li sentite fare rumore, vuol dire che sapete dove sono e cosa fanno. Quando cominciate a non sentirli più, è in quel momento lì che dovete avere paura. Perché non sapete cosa fanno e se non si fanno sentire, vuol dire che ci tengono a farlo di nascosto. E se lo fanno di nascosto, allora potrebbe essere qualcosa di pericoloso. E quando lo scoprirete, allora magari sarà troppo tardi, poi dopo piangete. Che sono i vostri figli, quelli lì”
Personalmente, quando ho sentito parlare della chiusura del Dal Verme e di altri circoli a Roma, ma anche quando ho sentito della polizia che va a dire a quelli del MissKappa a Udine che devono spegnere il Wi/Fi perché altrimenti gli stranieri vengono ad usarglielo per telefonare a casa, io non ho mica tanto pensato alla cultura, all’arte, a quelle robe lì e ai grandi discorsi (più che legittimi, ci mancherebbe) che sento spesso fare per difendere quel tipo di associazioni. Associazioni che, sarà un caso, cominciano a venire colpite trasversalmente con motivazioni spesso risibili.
La cosa che mi fa davvero incazzare, personalmente, è vedere che noi che facevamo un casino stiamo diventando sempre più “gli altri grandi” ma tra di noi non sembra esserci nessun Corradini. E, quando ci si rompe la tapparella, ci va bene lasciata giù, che non si veda e non si senta niente. Un giorno, forse, non ci sentiranno nemmeno piangere.