Dopo l’apertura per Mark Eitzel in ottobre, il 10 Novembre aprirò per Micah P. Hinson al Teatro Asioli di Correggio.
Son soddisfazioni.
Dopo l’apertura per Mark Eitzel in ottobre, il 10 Novembre aprirò per Micah P. Hinson al Teatro Asioli di Correggio.
Son soddisfazioni.
Questa qui è una canzone nuova. Per un paio di giorni la potete ascoltare e potete vederne il meraviglioso video in esclusiva dal sito di “Sentire Ascoltare”
Si chiama “TRIVENETA” e farà parte di un nuovo disco che uscirà a settembre su etichetta New Model Label e che si chiamerà “LA PRIMA COSA CHE TI VIENE IN MENTE”.
Il pezzo è stato registrato nello studio degli M? a Pratissolo di Scandiano (RE) da Simone Gazzetti, che ha curato anche il missaggio.
Il mastering è di Davide Barbi.
Gli strumenti sono tutti suonati da me.
Il coro è stato fatto da me, Cesare Anceschi, Laura Sghedoni, Luca Verzelloni.
Il video è stato realizzato dal corso di Grafica dell’Istituto d’Arte “VENTURI” di Modena, coordinamento della professoressa Antonella Battilani.
I ragazzi che hanno fatto il video, a giorni hanno l’esame di maturità. Spero proprio che lo passino con un bel voto, perché con pochi mezzi hanno fatto un lavoro bellissimo. Sono loro i veri artisti, non io.
Ognuno di noi, intendo di noi che suoniamo, ha dei momenti nei quale decide di dire basta. Poi passa, in genere. E’ un poco come una batteria di un cellulare, più volte la ricarichi e meno dura, fin quando sei costretto a buttarla e a provare, magari, a cambiare batteria.
Succede che suoni in una band e ad un certo punto gli anni iniziano a farsi sentire e quindi il fatto di non andare da nessuna parte musicalmente inizia a pesare. Inizi a chiederti chi te lo fa fare, di andare a fare le prove ogni settimana per fare cose che nessuno vuole ascoltare.
La risposta, dopo qualche mese dove vai ugualmente e sempre con meno voglia, è che è ora di farla finita. In genere a quel punto uno del gruppo si prende la briga di causare il terremoto. Se il gruppo è compatto e unito, il tizio che dice basta viene rimpiazzato senza grossi problemi e questo potrebbe pure portare un poco di aria fresca e una nuova voglia di fare. Se invece il tizio che causa il terremoto non può venire rimpiazzato senza grandi traumi, allora il gruppo finisce.
A quel punto segue, in genere, un periodo di stop. In questo periodo pensi a quel che vuoi fare, musicalmente parlando. Hai tutto il tempo che vuoi, sei un dilettante della musica, puoi crogiolarti nel tuo dolore per quanto tempo lo ritieni giusto e nessuno si verrà a lamentare.
Ad un certo punto ritrovi la voglia. Ricominci con qualcosa di nuovo. Può essere un altro gruppo, può essere che ti metti a registrare in casa musica da film, insomma… ricominci. Dopo qualche tempo che ricominci, il tuo nuovo lavoro viene portato di nuovo in giro. Riparti dai contatti che avevi quando eri nella band, di solito. Mano a mano riesci ad incasellarti una serie nuova di contatti e di posti dove suonare, magari anche in ambienti che non ti saresti aspettato visto il tuo passato musicale. E’ questo il momento più bello. Quando qualcosa che vedi che hai creato sta crescendo e non sai fino a dove potrai arrivare. Magari arriverai solo un metro più in là, ma questa incertezza, unita allo stupore nel vedere che qualcuno è ancora disposto ad ascoltarti, è una carica che ti fa andare avanti con una gioia incredibile.
Quando ho smesso di suonare con una band e ho cominciato da solo, all’inizio non avevo idea di cosa mi aspettasse. Non sapevo nemmeno bene cosa avrei fatto sul palco. Iniziai in inglese, come avevo sempre fatto, poi visto che da un poco pensavo che forse ero anche capace di scrivere dei testi decenti, iniziai a cantare in italiano.
Durante un concerto a Pistoia capii che il destino di chi canta da solo è di affrontare una platea super rumorosa. Anche quando suoni con una band, in realtà, metà del pubblico si fa i cazzi suoi. Ma tu sei immerso in una mole di suono tale che non li senti, non te ne accorgi. Se te ne accorgi, non sembra comunque una cosa grave.
Quando suoni da solo, ti sovrastano. Se riesci a farli tacere, bene. Se non ci riesci, sei fritto.
E’ una battaglia. Ogni volta. Un giorno vi spiegherò anche le armi con le quali si combatte, questa battaglia. Almeno quelle con le quali la combatto io, non necessariamente le più adatte.
Ci sono momenti in cui la battaglia la vinci, in genere si accompagnano a momenti in cui il tuo nome gira un poco di più rispetto a prima. Magari gira meno di quanto girerà l’anno dopo, ma sei in crescita. Se, per fare un esempio, oggi sei a 30 e domani sei a 35, è più facile che vinci una battaglia rispetto a quando magari l’anno seguente sei a 70, ma ieri eri a 75. Capito? E’ proprio il modo, con il quale vai su a suonare.
Perché quando una cosa cresce, lo senti. Quando una cosa ristagna, ristagna. E’ come quando arrivano i CD la prima volta che fai un cd. Arrivano e sei gasatissimo, il primo giorno li porti negli unici 3 negozi che sono rimasti aperti, giri per le due radio che sono rimaste aperte, mandi post a destra e a manca e sei di buonumore.
Poi, mano a mano che fai un altro disco, poi un altro, poi un altro ancora, l’entusiasmo cala. Magari ne vendi pure di più, magari hai più gente a guardarti quando suoni. Però ti senti che sei “sempre lì, lì nel mezzo, finché ce n’hai stai lì”, come dice quello di Correggio.
Sono i momenti in cui ti chiedi quando arriverà il momento di smettere. I momenti in cui pensi che forse è arrivato, anche se poi trovi qualcosa che ti fa andare avanti ancora. Quel qualcosa che è come una droga il cui effetto dura sempre di meno.
LUNEDI 21 SETTEMBRE renderemo visibile il video di un brano chiamato “IL CHIODO”, che parla proprio di questa cosa qui. E’ girato da Corrado Ravazzini, un amico che con un suo corto chiamato “Perfetto” ha vinto qualcosa come 41 premi in diversi festival di cortometraggi. Protagonista del video sarà Vincenzo Maenza, medaglia d’oro nella lotta greco-romana 48 kg. a Los Angeles 1984, Seoul 1988, argento a Barcellona 1992, campione del mondo e d’Europa. Il più grande lottatore italiano di tutti i tempi, a dirla proprio come va detta.
(Oggi mi sono arrivati i CD del mio nuovo album, si chiama “TROPPO TARDI”. Nei prossimi concerti li avrò con me. Non ci sarà nessuna “PRESENTAZIONE UFFICIALE”, perché in realtà è un concerto come un altro e di prendere per i fondelli le persone mi sono rotto)
Io una volta ero uno di quelli che oggi chiamano hipster, o indie, o come vi pare. Insomma, ero uno snob, un pallone gonfiato pieno di boria. Non che adesso le cose vadano molto meglio, perché comunque quella malattia lì non è che ti passa mai completamente. E’ un poco come la sciatica, che ci sono i giorni che non la senti quasi, i giorni che stai benissimo e ti sembra che ti sia passata, però poi succede che un giorno viene a piovere e c’è umido e TRAC! Un male della madonna. Ecco, con la snobbite (oh, io non so come si chiami in italiano) è un poco così. Però sappiate che una volta era molto peggio. E una volta Rigo Righetti suonava con Ligabue. A me Ligabue non stava simpatico. Non è che non stesse simpatico perché lo conoscevo e quindi potevo dire con cognizione di causa “Quello lì è uno stronzo”. Era uno stronzo e basta, principalmente perché aveva successo e poi soprattutto perché aveva delle canzoni che secondo me, oh…sono sempre state piuttosto deboli. E Rigo, suonando con Ligabue, beh…per me era uno stronzo anche lui. Per la proprietà transitiva della lassativa. Il sillogismo di Guttalax, dopo quello di Aristotele.
Poi un giorno l’ho conosciuto. Non Ligabue, dico Rigo Righetti. L’ho conosciuto e ho scoperto che lo stronzo ero io. Non è mica bello sentire odore di cacca dappertutto di continuo e poi svegliarsi e accorgersi che sei te. Ti rendi conto delle figure (figure di merda, naturalmente) che hai fatto nel corso di un tempo prolungato. E ti penti. Ma ormai è tardi. Sono tutti scappati fuori per la puzza. Mica ti hanno detto niente, che quando uno fa una puzza in ascensore nessuno dice niente, ci si guarda con sguardo imbarazzato e poi tutti zitti. Perché la prima gallina che canta ha fatto l’uovo. E qui, che tutti cantiamo e suoniamo, di pollaio se ne fa già abbastanza. Comunque, quando Rigo ha fatto il primo Campovolo, “Il giorno dei giorni” e tutte quelle robe lì, la cosa é venuta male. Dal palco loro non se ne erano mica accorti, ma non so cosa sia successo di preciso però l’impianto non funzionava mica bene e un casino di gente che era al concerto non ha sentito una mazza, tanto che c’erano dei filmati dove la gente cantava “Alba Chiara” in coro e copriva il Liga e la banda. Il Liga il giorno dopo allora butta un comunicato stampa dove chiede scusa. Mi immagino la vergogna per una cosa così, insomma…son cose imbarazzanti. E’ stato un momento in cui il Liga lo prendevano per il culo tutti. Gli avevano anche rubato in casa, quella sera lì. E noi tutti lo sfottevamo. Io qualche sera dopo suonavo a Sassuolo con la mia band e prima di cominciare ritenni particolarmente spiritoso leggere il comunicato del Liga parola per parola dicendo alla fine “Vai a cagare te e chi c’era” e poi attaccando con il primo pezzo. Il nostro concerto andò bene, ma non se lo ricorda più nessuno. A noi anche se ci si fosse rotto l’impianto, a chiedere scusa non ci voleva neanche il microfono che tanto sentivano tutti, che non erano mica tanti.
La settimana dopo sono nello stesso posto e arriva Rigo assieme a Pellati (il batterista) e a un ragazzo con la chitarra che non conoscevo. Ero lì, mi son detto “Ma dai, sentiamo un poco il bassista del Liga”. Perché per me Rigo era “Il bassista del Liga”, anche se sapevo dei Rocking Chairs e tutto, per me che sono un pallone gonfiato pieno di boria Rigo Righetti era il simbolo del male. Mica come Hitler, diciamo boh…un Kappler, una cosa così. E lo spettacolo più bello Rigo lo ha dato prima di suonare. E’ lì che mi ha steso. Si è seduto con Pellati e quell’altro. Di fianco a me, si son seduti. Non volevo mica origliare, o forse sì. Comunque… non sentire era impossibile. E il tipo del locale è arrivato e gli ha chiesto se andassero bene una piadina e una birra. Loro hanno detto di sì. Il tipo del locale allora ha dato loro dei buoni per bere, che quando suoni nei posti un poco sfigati ti danno i buoni per bere. Ricordo che gliene ha dati meno di quelli che aveva dato a noi e loro non hanno battuto ciglio, si sono presi i loro due buoni a testa, di cui uno durante la piadina e poi ridevano e scherzavano, parlavano tra loro della musica che avrebbero suonato di lì a poco. Io, che non so se vi ricordate vi ho già detto all’inizio che sono uno snob, un fighetto, uno che viene dall’indie e tutte quelle robe lì, mi sono detto che in anni di concertini sfigati come i miei avevo visto suonatori che non erano nessuno fare delle menate vergognose per un paio di buoni birra. Non escludo di averle fatte pure io, qualche volta.
Ebbene, vedere uno che dieci giorni prima suonava di fronte a centinaia di migliaia di persone, che aveva fatto le tournée negli stadi e tutte quelle robe grosse lì e che adesso si sedeva a mangiarsi la sua piadina pensando solo a “Che figata che stasera suoniamo, dai dai dai dai” in una maniera che glielo leggevi proprio in faccia, beh è stata una bella lezione. Ci ero rimasto talmente di sasso che la mia boria ha straripato e sono andato subito dal tipo del locale, che è un mio amico, e gli ho detto “Oh, ma quanto gli dai di cachet a Rigo, Pellati e a quell’altro?” e non mi ricordo quanto mi ha detto, ma mi ricordo che gli dava gli stessi soldi che aveva dato a noi. Con la differenza che loro avevano tirato qualche persona in più, perché ovviamente se fai gli stadi e suoni davanti a delle migliaia di persone di continuo un motivo ci sarà. Io dopo ho incontrato Rigo altre volte, anche se non abbiamo mai suonato insieme. Ma ‘sta cosa non gliel’ho mai confessata.
L’ultima volta che ci siamo visti è stato a vedere Bob Dylan a Milano. Sono lì che aspetto e ad un certo punto vedo Rigo Righetti che passa. Penso “Adesso vado a salutarlo” solo che mi ferma un tipo che conosco e TAC!, mi torna a fregare il bastardo. Si, perché mi ha salutato prima lui. Che sembra poco, ma invece non lo è, che io se avessi suonato davanti a centinaia di migliaia di persone per un casino di tempo come lui secondo me mi salutereste sempre tutti prima voi. A dirla tutta, probabilmente dovrei girare con dei mattoni ai piedi per non camminarvi sopra e pisciarvi sopra la testa dal gran che sono uno stupido pallone gonfiato pieno di boria. Invece a lui no, a lui volare basso gli viene così. Che bastardo, certa gente ha tutte le fortune. Pensa che oggi non mi sta più sulle palle neanche Ligabue, anzi mi sta simpatico. Oddio, continuo a pensare che abbia canzoni che in linea di massima sono piuttosto deboli e poi non ho mica capito perché adesso non suoni più con Righetti, Pellati, Previte e abbia preso tutti quei musicisti americani che tanto poi quando parte una canzone alla radio di Ligabue sembra che suoni sempre uguale.
Forse però è stato meglio così. Non per Rigo, magari. Perché secondo me suonare con il Liga gli faceva comodo mica poco. Però è stato meglio per tutti noi, così che lo possiamo incontrare da vicino anche quando suona, che possiamo vederci uno che canta e suona con una passione che neanche un ragazzino, perché ha capito cosa fa e perché. Perché il segreto è tutto lì. Capire chi sei, cosa fai e perché. Trovarsi. Trovare l’essenza, come direbbe Battiato. E a volte uno se vuole ritrovare l’essenza in quello che fa, ritrovare sé stesso, mica c’è bisogno che vada che ne so… in India o da che non so che santone. Perché le grandi verità della vita, stanno nascoste nei posti più assurdi. Tipo tra una piadina e una birra.
(Stasera, 15/5/2014, ho fatto una serata con Rigo Righetti dove abbiamo chiacchierato di musica e letto alcuni brani dai suoi libri e dal mio blog. Io ho letto anche questo qui, a sorpresa. Ed anche se non le ho viste, direi che debba essere stato piuttosto divertente vedere le nostre facce, la mia e la sua, mentre leggevo)
E’ uscita, sul numero di Dicembre di Buscadero, la recensione de “I sonnambuli” a firma del direttore Guido Giazzi. Una recensione lunga, articolata, che cita parti di testo di alcune canzoni e che è lusinghiera in modo a dir poco imbarazzante. Comincio a credere di aver fatto un bel disco per davvero, quasi quasi.