(Dis)Unità

L’Unità chiude.

“Quando chiude un giornale è comunque una sconfitta” è il ritornello che sentiamo ogni volta che un giornale chiude. Quando si tratta di un giornale storico, il ritornello si ripete più di una volta, come nelle canzoni. Quando il giornale è il simbolo di un’appartenenza, il ritornello diventa anche strofa, ponte, assolo e si sente solo quello.

Stiamo tutti a ricordare quando il giornale diede questa o quella notizia. Stiamo tutti a ricordare che nostro padre, nostro nonno…noi no.

E’ questo il punto. L’Unità, ma ogni giornale, ogni cosa in genere, saluta e se ne va quando non interessa più.

E’ un poco come quando noi suonatori da due soldi non andiamo mai a vedere un concerto in uno dei posti dove ci chiamano a suonare e poi un bel giorno, quando il posto chiude, diciamo “Che peccato”, ma in realtà siamo stati noi a far chiudere quel meraviglioso localino che era talmente meraviglioso che non ci siamo mai sognati di metterci piede.

Le cose non si cambiano piangendo e dicendo “Ooooh”. Si tengono vive, oppure muoiono.

Quand’è stata l’ultima volta che avete comprato e letto l’Unità? E la penultima? Ecco, bene. Ecco il motivo. Chiude per quello.

A me oggi non interessa, se chiude l’Unità.

Idem per qualsiasi altro giornale, non è una questione di appartenenza. Non li compro mai, i quotidiani. Al limite dò una letta alla stampa locale in un bar, al sabato, mentre faccio colazione.

Posso anche dire che mi interessa, posso anche dire “come sarebbe bello se mi fosse interessato per davvero”, ma la realtà è che non me ne frega niente, anche se magari mi viene da dire “Che peccato”.

Che peccato, vero?