La prima volta che ho ascoltato i Doors è stata intorno al 1982/1983. C’erano dei video che giravano su “Mister Fantasy” di Carlo Massarini con questa musica allucinante e mio fratello portò in casa un disco dei Doors chiamato “Greatest Hits”. Io non lo sapevo che voleva dire “I grandi successi”, che avevo dieci anni e infatti mi stupivo che c’erano in tanti che avevano fatto un disco con quel titolo lì. Poi iniziai ad imparare l’inglese proprio con i Doors, ma di questo ho già scritto in un post molto vecchio e a quello vi rimando. In quel disco lì c’era una canzone che era la seconda del lato A del vinile e che si chiamava “Light my fire”. Partiva con una introduzione di tastiera e poi dopo una parte cantata partiva una roba lunghissima dove non cantava nessuno e questi suonavano come invasati. “Ma quanto cazzo dura? Ma non cantano più?” e poi ripartiva a cantare e il pezzo finiva. La cosa mi mandava nei matti, con il tempo avrei imparato che la cosa più bella del pezzo era proprio quella parte di mezzo. Poi da lì vennero i dischi ufficiali, che mio fratello comprava uno dopo l’altro. I Doors erano fighissimi e poi avevano canzoni LUNGHE. La mia preferita era e rimane ancora oggi senza dubbio “When the music’s over”. 11 minuti che mi mandarono fuori di testa. C’era tutto quello che potevo desiderare.
Ma non voglio parlare di quanto fossero fighi i Doors e di quanto fosse importante quella tastiera (io le tastiere le odio, ma Ray Manzarek e i Doors rappresentano l’eccezione) nell’economia del suono dei quattro. Non lo voglio fare perchè ritengo che i Doors fossero uno di quei rari casi dove se ne togli uno salta tutto o quasi. Non avrebbero avuto senso con un altro cantante, con un altro tastierista, con un altro chitarrista (No, dico… tutta la musica folk araba, indiana, zingara della chitarra di Krieger?) e con un altro batterista (Densmore era drammaturgia pura. Suonava la batteria spesso seguendo la voce di Morrison e sottolineandone la recitazione o il canto con momenti che ricordano quelli di un circo o di un cabaret. Non è una cosa così usuale. E funzionava).
Dicevo, voglio parlare del mestiere di essere Manzarek. Perchè essere Ray Manzarek è un mestiere a tempo pienissimo. Mi spiego meglio.
I Doors durarono dal 1967 al 1971, poi Morrison se ne andò e ci lasciò le penne subito. Il suo stile di vita rock’n’roll gli consegnò 27 anni di vita in un corpo che ne dimostrava 56 portati male. A quel punto i tre superstiti ci provarono. Fecero il colpaccio. Incisero un disco senza Morrison, cantando loro (Manzarek, spesso). Si chiamava “OTHER VOICES”, altre voci. Il disco fu un flop. Ne fecero pure un altro, si chiamava “FULL CIRCLE” e il cerchio si chiuse davvero qui. I Doors senza Morrison NON SE LI CAGAVA NESSUNO.
Infatti, se andate a vedere nella discografia dei Doors quei dischi lì non figurano neanche. In molti non sanno neanche che esistono.
Poi, visto che bisogna campare, decisero di tirare fuori dei vecchi nastri con il morto che recitava poesie e ci suonarono sopra. Funzionò, il pubblico se la bevve, trovò spazio anche una versione dell’Adagio di Albinoni schitarrata da Krieger su base recitante che ancora oggi grida vendetta.
Ma il vertice assoluto di questo scempio fu toccato in “Full Circle”. Lì c’era un brano chiamato “MOSQUITO” che era una filastrocca che diceva “No me moleste Mosquito, Leat me eat my Burrito, No moleste Mosquito, Why don’t you go home”. Andatevela a sentire su Youtube.
Roba che a confronto lo zecchino d’oro sembra Immanuel Kant.
Fatto? Bene. A questo punto per i Doors superstiti cominciava, grazie ad “An american prayer” e al culto del cantante scomparso, una fitta sequenza di impegni. I ragazzi ricominciavano a suonare dal vivo insieme, senza il cantante. Vennero arruolati cantanti occasionali più o meno noti e quando ad un certo punto diversi anni fa John Densmore decise che aveva fatto abbastanza soldi, venne preso addirittura un nuovo batterista. Senza pietà, più o meno come fanno gli Who (che si chiamano così perchè non sai più CHI suoni).
Il tutto condito da reincisioni di album, VHS che poi diventano DVD che poi escono di nuovo con qualche extra, un film incentrato soprattutto sulla vita dell’amico morto, poi altri documentari, poi interviste continue e il tutto SEMPRE A PARLARE DI QUEI 4 ANNI (scarsi) LI’, dal 1967 al 1971.
Perché appena snoccioli un aneddoto o suoni un accordo sono tutti lì in adorazione. Ma non appena accenni a qualcosa di altro che potresti aver fatto a nessuno frega niente di niente di niente. MAI.
Visto che molti che leggono questo blog sono persone che suonano, prego a lorsignori di provare ad immaginare la loro vita secondo l’applicazione del “Metodo Manzarek”.
Vi ricordate la roba che suonavate (a seconda dell’età che avete) 10, 15, 20 anni fa? Bene, ora immaginatevi che abbia avuto un successo notevole e immaginatevi costretti a suonarla SEMPRE. A parlarne sempre. A parlare di continuo del cantante (o bassista) del vostro gruppo di quanto avevate 18 anni (o 27, a seconda di quel che vi è capitato). Si, proprio di quel tizio che oggi non vedete più e che non sapete manco se ha famiglia, figli… Immaginatevi a parlarne tutti i giorni, tutti vi chiedono qualcosa a riguardo, sempre le stesse cose. E poi la musica. Sempre le stesse canzoni, sempre le stesse. Folle in delirio non appena accennate l’incipit di (mettete il titolo di un vostro pezzo che suonavate quindici anni fa, del quale non vi ricordate manco gli accordi). Visto che probabilmente suonate ancora, immaginate che tutto quello che avete fatto dopo sia TABULA RASA, tanto è vero che avete dovuto rinunciare a pubblicarlo e financo a suonarlo, se volevate campare.
Non è una vita così idilliaca, vero? Una timbratura di cartellino per svolgere sempre la stessa identica mansione. Una specie di “giorno della marmotta” in versione rock’n’roll. Anche perché lo dovrete fare fin quando campate. Sempre, sapendo che ogni canzone che vi andrà di scrivere non troverà mai spazio. Tutti vorranno sempre e solo sentire (e sentire parlare) di quei quattro anni lì. Quattro anni che per voi sono sempre più lontani, tanto che oggi manco ve li ricordate più così bene.
Immaginatevi poi che quando tirate le cuoia per un poco giri la voce che la vostra morte sia una bufala, che parta un mistero simile a quello dell’amico di cui sopra. Insomma, anche nel momento del trapasso vivere nell’ombra.
Ho letto su diversi socialcosi (copyright Marco Manicardi) di persone che, per tessere le lodi del Manzarek gli auguravano di “Ritrovarsi con Jim per suonare insieme (mettete il titolo di un pezzo dei Doors famosissimo).
Personalmente ho voluto troppo bene alla musica dei Doors e quindi a Manzarek per augurargli una punizione da girone dantesco come questa. Ray, se dovesse esistere l’aldilà, ti auguro di poter finalmente cominciare a suonare quel cazzo che ti pare. E se Jimbo dovesse proprio farsi vivo, ti auguro che ti chieda “No me moleste mosquito?” e poi ti dia l’attacco “Uno, dos, tres, quatros” e poi giù a ridere.
Turn off the lights.