Cinque.

Era un lunedì. Non avevamo detto niente a nessuno o quasi. Io mi sono alzato e sono andato in pigiama dal fioraio, a piedi. Ho attraversato il centro di Rubiera a piedi in pigiama con un bouquet in mano, mentre tutti quelli che andavano a scuola e a lavorare mi guardavano come si guarda un alieno. Ho anche incontrato la Mara, che qui a Rubiera è Mara Lucchetta, all’epoca “quella della videoteca” che mi ha visto con il pigiama e il bouquet e mi ha detto “Ma vi sposate?”.

Poi son tornato a casa e mi sono fatto la barba, mentre lei in negozio tagliava i capelli a sua madre, che li tagliava alla sua socia, che li tagliava a lei, in un giro da catena di montaggio iperveloce. Ricordo che mentre mi facevo la barba ho ascoltato “CASA” di Roger Dean Young, un cantautore sfigatissimo che poi gli ho anche mandato un messaggio su myspace dove gli raccontavo questa cosa qui che sto scrivendo adesso e lui mi ha detto che lo avrebbe conservato per sempre.

Poi mi sono vestito, mettendomi il vestito che avevo la sera che ci siamo conosciuti perché avevo detto che avrei fatto così. Lei invece aveva un vestito che non era il tipico abito nuziale, che lo siamo andati a comprare insieme e ricordo ancora le facce delle commesse che “Ma come? Ma lo sposo non deve vedere la sposa e blah blah blah”

Poi sono arrivati i miei e i suoi, i testimoni più la socia di mia moglie e il suo ragazzo e un’amica di mia moglie che dice lei che anche se non erano sorelle era come se lo fossero e quindi non potevano mancare, anche se subito avevamo detto che facevamo solo i genitori, fratelli, sorelle e relativi compagni. Per me andava benissimo, che comunque son persone simpatiche e quindi che problema c’è?

A me lei chiese se non volevo proprio che neanche un mio amico venisse. Io risposi che no, non volevo nessuno a parte il mio testimone (e relativo compagno), così non facevo torto a nessuno e poi per me andava bene, i miei amici avrebbero capito. Se qualcuno non capiva allora era un amico da poco, di quelli che non avrei voluto al mio matrimonio. Infatti nessuno mi ha mai detto qualcosa per non averlo chiamato, che è poi anche normale.

Siamo partiti verso Scandiano, ci siamo fermati un secondo a suonare a casa di una signora che io non so manco chi sia, ma mia moglie le aveva detto “Quando mi vado a sposare ti vengo a suonare a casa” e abbiamo riso molto.

Poi in comune abbiamo aspettato un poco. Siamo andati a Scandiano, perché di lunedì a Scandiano c’è il mercato e così mentre tornavamo alla macchina se avevamo voglia potevamo fermarci a guardare un poco le bancarelle, che a mia moglie piace.

Mentre aspettavamo è passato un mio collega che aveva anche lui preso un giorno di ferie come me. Mi ha visto vestito elegante davanti al comune ed è venuto lì convinto di fare una battuta, dicendomi “Ue, ti sposi?” e rideva. Ci è rimasto di sasso quando gli ho detto “SI”. Gliel’ho dovuto ripetere tre o quattro volte, non ci credeva.

Poi siamo andati dentro tutti e 18 (eravamo in 18, forse in 16, ora non ricordo esattamente, ci dovrei pensare, comprese le bambine di mio fratello), abbiamo cambiato sala mettendoci in una più grande così stavamo più comodi. Abbiamo fatto la formuletta di rito ed eravamo marito e moglie.

Ci siamo fermati nel primo bar che abbiamo trovato e abbiamo fatto l’aperitivo tutti insieme. Poi siamo andati al CAVERN, che non è quello di Liverpool, ma (era) una birreria a Mazzalasino gestita da due amici, che avevano aperto apposta per noi con i loro genitori che avevano provveduto a fare un menu che comprendeva un antipasto, due primi e poi gnocco e tigelle fino allo sfinimento. Al nostro matrimonio volevamo birra buona, sapete com’è.

Quando siamo tornati a casa abbiamo dato ai cani un pezzetto della torta nuziale, che era una Saint Honoré perché io avevo detto che “per me la torta del matrimonio è la Saint-Honoré, poi se vuoi cambiamo ma per me io sceglierei quella”.

Alla fine della giornata, che eravamo tornati a casa, ci siamo guardati un film preso in videoteca, che la Mara ha detto “Oggi offro io” ed è stato il suo regalo di nozze, che sembra poco e invece a noi ci è piaciuto un sacco, anche se oggi non ricordo che film abbiamo visto.

Il momento che ricordo con più personale soddisfazione è stato quando mio nonno, che all’epoca aveva novant’anni e ora non c’è più, che in vita sua ne ha viste di tutti i colori, che ha disertato dalla seconda guerra mondiale tornando a casa a piedi da Verona nascosto rischiando di venire fucilato un paio di volte, mi ha guardato e ha detto “E così questa è una birreria. Ne avevo sempre sentito parlare, ma non ne avevo mai vista una. Bella però.”

E poi ha detto “Grazie Giancarlo, prima di morire mi hai fatto vedere una cosa nuova. Non si finisce mica mai, eh?” e ha riso, mentre “a me mi rideva anche il buco del culo”, come diciamo noi in Emilia quando vogliamo dire “Ero al settimo cielo dalla soddisfazione”.

Il giorno dopo eravamo a lavorare.

Quel giorno lì io me lo ricordo come davvero il più bello della mia vita o quasi, visto che un’affermazione del genere dovrebbe richiedere ore e ore a pensarci bene. Però mi ricordo che fu tutto perfetto. O meglio, non fu per niente perfetto, fu semplicemente tutto COME VOLEVAMO NOI.

Perché quando vedo che ai matrimoni ci sono gli sposi che stanno due ore in pose fintissime che sembrano uscite da un catalogo e arrivano tardissimo perché “DEVONO andare a far le foto” e poi lo sposo arriva e agli amici, sussurrando dice “che due maroni, le foto” e ride… Quando vedo che ci sono quelli che le foto le vanno a fare il giorno prima in uno scenario diverso da quello del matrimonio perché “Le foto del matrimonio DEVONO essere fatte a Venezia” (o a Capri, o quelle robe lì), quando vedo che gli sposi devono stare un’ora a togliere dei soldi facendo una fatica della madonna perché “DEVONO fare gli scherzi” (Gli scherzi ai matrimoni sono un capitolo a parte, personalmente passati i 25 anni ci vorrebbe una legge che ti sbattono dentro per direttissima senza neanche il processo), quando vedo che gli sposi DEVONO camminare in un certo modo, vestirsi mettendosi una cosa rossa, una blu, una verde, una nuova, una vecchia bretone con un cappello e un ombrello di carta di riso e canna di bambù…

Perché poi mi capita di raccontare com’è stato il mio, di matrimonio. A quel punto vedo spesso le facce che partono con espressioni incredule ma incredibilmente felici, come se avessimo fatto una cosa coraggiosissima visto che la frase più ricorrente poi è “Mi piacerebbe, ma noi NON POSSIAMO fare una cosa del genere”.

Beh, quel giorno lì per noi le parole “Non possiamo” e la parola “Dovere” non esistevano (articoli del codice civile a parte).

Sono passati cinque anni oggi e se ci penso mi si stampa ancora un sorriso ebete sulla faccia.

Grazie di aver detto sì, Cri.