Trent’anni

Nel 1979 avevo sette anni. Quando avevo sette anni, la chiesa, il catechismo, tutte quelle cose lì, per me erano una gran rottura di palle. Cose noiose, il pregare tutti insieme e il dover dire parola per parola delle formule come “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Un giorno mia madre mi disse che non era mica obbligatorio che io andassi a messa, la domenica. Era la prima volta che sentivo una cosa del genere. Mi dicevano tutti il contrario. Il prete, la maestra, i compagni di classe, mia nonna… Sembrava che la frequentazione del clero fosse obbligatoria e io avevo già capito, nonostante la mia tenerissima età, che erano repressivi e che comandavano loro. Poi la rivelazione di mia madre che mi disse (più o meno) che la domenica mattina io potevo andare a messa oppure “fare quel che mi pareva”.

Da qualche giorno ero entrato in sintonia con una musicassetta (fatevi spiegare da un vecchio) di mio fratello maggiore Corrado, l’uomo al quale devo la mia educazione musicale in tenera età. Si chiamava “RASTAMAN VIBRATION”, era di un tipo chiamato BOB MARLEY e aveva un ritmo che non avevo mai sentito, una cosa strana che ti faceva muovere e stare bene. E quella musica lì si ballava ciondolando in maniera ritmica ma sregolata. Per me “ballare” aveva sempre voluto dire ballare in coppia come vedevo alla festa de l’Unità, oppure ballare come in televisione ballava la Fracci o le ballerine moderne. Coreografie e quelle robe lì. Non ero mica capace. Invece di ballare il REGGAE (che nome fighissimo aveva quella musica, vero?) ero capacissimo: Bastava fare come mi pareva.

Quindi, la gran parte delle mie domeniche mattina era impiegata nello stare in casa da solo, con lo stereo a palla e la musica di Bob Marley. Ballavo e cantavo le canzoni. Mica lo sapevo l’inglese. Imitavo i suoni.

Anche se in seguito avrei imparato un sacco di cose su Marley, sul Tafarismo, anche se odio le religioni tutte e credo che Marcus Garvey sia stato prevalentemente un ciarlatano, anche se ora so che Hailé Selassié non era mica un santo, anzi era un bel dittatorone, anche se so che l’entourage di Marley picchiava i DJ per fargli mettere i suoi dischi in rotazione, eccetera, per me la musica di Bob Marley ha rappresentato il primissimo assaggio della parola Libertà. Libertà non in senso generale, semplicemente la possibilità di essere quello che volevo essere e la sicurezza che tutto sarebbe andato bene.

Un giorno, un paio d’anni dopo, il telegiornale disse che quell’uomo era morto.

Io sapevo che le incisioni sono documenti che restano nel tempo, però d’istinto corsi verso lo stereo e misi su il vinile di “Catch A Fire”, che era l’unico disco che avessi comprato in vita mia, con i soldi di mia madre che dall’alto della sua bontà non si era scandalizzata del fatto che il suo piccolo bambino volesse un disco con in copertina un primo piano di un nero che si fumava uno spinello grande come una carota.

Dicevo, quel giorno misi sul piatto dello stereo il vinile e quando le prime note di “Concrete Jungle” partirono, tirai un sospiro di sollievo. Poi piansi. Da quel giorno sono passati trent’anni.

2 pensieri su “Trent’anni

  1. a me lo dici, che ci avevo le superga tarocche dipinte col pennarello di giallo verde e rosso e gli orecchini di rame a foglia di marijuana.

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